Corte di Cassazione sentenza n. 2133 del 29 gennaio 2013
CONTENZIOSO TRIBUTARIO – LITE TRA SOSTITUTO E SOSTITUITO – GIURISDIZIONE AL GIUDICE ORDINARIO
massima
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La giurisdizione relativa alle liti tra sostituto d’imposta e sostituito spetta al giudice ordinario, e non alle Commissioni tributarie. Se il sostituito contesta il diritto di rivalsa esercitato dal sostituto, per mancanza del presupposto di fatto o di diritto, fa valere in giudizio una questione che rientra nei rapporti tra privati, quindi il legittimato passivo non può che essere colui il quale ha esercitato la rivalsa, cioè il sostituto. Il contribuente che ha subito delle illegittime ritenute IRPEF da parte del suo sostituto d’imposta può rivolgersi a quest’ultimo per ottenere la restituzione di quanto erroneamente trattenuto in eccesso rispetto al dovuto.Riguardando la domanda di restituzione una rivalsa esercitata dal sostituto d’imposta sul contribuente sostituito, tale istanza non poteva che essere rivolta al soggetto che ha effettuato l’erronea rivalsa, ovvero all’Istituto pensionistico che ha agito in qualità di sostituto d’imposta.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
Ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:
“L’INPDAP ricorre per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio – accogliendo i rilievi dei sigg. P. e T., pensionati INPDAP, sulle corrette modalità di calcolo dell’importo della trattenuta IRPEF operata sulle somme loro erogate a titolo di capitalizzazione delle rispettive pensioni – ha condannato il medesimo INPDAP a versare a detti sigg. P. e T. la differenza tra l’importo trattenuto alla fonte e quello corrispondente all’IRPEF effettivamente da costoro dovuta sulle suddette somme.
Col primo motivo (riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38) PINPDAP censura la sentenza gravata per aver addossato al sostituto d’imposta, invece che all’Amministrazione finanziaria, l’obbligo di restituire le somme ipoteticamente versate in eccesso a titolo di IRPEF; secondo la ricorrente, infatti, dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 discenderebbe il principio che l’obbligo di restituire le somme indebitamente versate a titolo di IRPEF grava solo sul Fisco e non sul sostituto d’imposta. Il motivo appare manifestamente infondato, avendo questa Corte già chiarito che il lavoratore contribuente che pretenda il rimborso dell’indebito tributario può rivolgere la domanda tanto nei confronti dei sostituto d’imposta quanto nei confronti dell’Amministrazione erariale (sentt. Cass. 8504/09; conf. Cass. 8653/11).
Col secondo motivo (riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3) l’INPDAP censura la sentenza gravata per aver errato nell’applicazione al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16 e 17, nel testo ante 2004. Il motivo va giudicato inammissibile, in quanto non è dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme che si pretendono violate (Cass. 21659/05, 5076/07, 14832/07 e altre). In proposito va sottolineato che la sentenza gravata ha ritenuto applicabile alla fattispecie il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 2, nel testo ante 2004. Nel motivo in esame la ricorrente critica tale statuizione (vedi pag. 8 righi 6 e 7 del ricorso: “La .sentenza gravata appare inoltre erronea laddove ritiene l’applicazione alla fattispecie del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17”), ma non illustra le ragioni della propria critica, nè indica quale sarebbe la diversa norma applicabile; poi, dopo aver fornito alcune indicazioni di fatto sulle percentuali di prelievo contributivo a cui erano assoggettati i dipendenti ex ENPDEP (in ordine alle quali non vi è alcun accertamento nella sentenza gravata), conclude, del tutto apoditticamente, che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe “palesemente errato nell’applicazione della norma corretta alla fattispecie”.
Col terzo motivo (riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5) l’INPDAP denuncia il vizio di omessa/insufficiente/contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: il motivo è inammissibile perchè nel medesimo non si indica il fatto decisivo e controverso in ordine al quale la motivazione della sentenza gravata sarebbe omessa o insufficiente o contraddittoria; vedi Cass., Sez. 5, 2805/11: “il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci sì era limitati a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però, individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si assumeva fosse carente la motivazione medesima)”.
In definitiva si propone al Collegio il rigetto del ricorso”.
Gli intimati sigg.ri T. e P., contribuenti, si sono costituiti con contro ricorso, mentre l’Agenzia delle entrate e il Ministero dell’economia e della finanze non si sono costituiti in questa sede.
La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.
Sia i contribuenti che l’INPS, quale successore ex lege dell’INPDAP, hanno depositato memorie difensive.
Il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide le argomentazioni esposte nella relazione.
In particolare – per quanto concerne la critica mossa nella memoria difensiva dell’INPDAP (ora INPS) al principio, enunciato nelle sentenze di questa Corte nn. 8504/09 e 8653/11, secondo cui il lavoratore contribuente che pretenda il rimborso delle somme indebitamente versate ai Fisco dal sostituto d’imposta può rivolgere la propria domanda tanto nei confronti del sostituto d’imposta quanto nei confronti dell’Amministrazione erariale – il Collegio osserva che questo principio discende direttamente dalla soluzione di recente offerta da questa Corte alla questione se spetti al giudice ordinario o al giudice tributario la giurisdizione sulle controversie tra il sostituto d’imposta e il contribuente sostituito.
Come è noto, infatti, con le sentenze 15031 e 15032 del 2009 le Sezioni Unite di questa Corte, modificando l’opposto precedente indirizzo, hanno stabilito che la giurisdizione sulle controversie tra il sostituto d’imposta e il contribuente sostituito spetta al giudice ordinario.
Tale principio – da ritenersi ormai consolidato, essendo stato ribadito con la sentenza 2312/10 e, da ultimo, con la recentissima sentenza 19289/12 – non è applicabile nella presente controversia ai fini della questione di giurisdizione, perchè sul punto questa Corte si è già definitivamente pronunciata con la sentenza n. 18034/08 (emessa in epoca anteriore al revirement di cui alle suddette sentenze 15031 e 15032 del 2009), cassando con rinvio la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio che aveva declinato la propria giurisdizione e affermando la giurisdizione del giudice tributario.
Del suddetto principio, tuttavia, non si possono trascurare le implicazioni ai fini del merito; l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia tra il sostituto d’imposta e il sostituito si fonda, infatti, sul rilievo che l’oggetto di tale controversia non è il rapporto pubblicistico tributario – che necessariamente corre tra il Fisco ed il contribuente (sia esso il sostituto d’imposta o il sostituito) – bensì un rapporto privatistico, ossia il rapporto di rivalsa del sostituto sul sostituito.
La controversia tra il sostituto e il sostituito ha dunque ad oggetto il diritto di rivalsa del primo contro il secondo, ossia nasce, per usare le parole della sentenza 15031/09, “o dal fatto che il sostituito contesta il diritto di rivalsa esercitato dal sostituto – per mancanza del presupposto di fatto (omesso versamento diretto della ritenuta) o per mancanza del presupposto giuridico (il sostituto non doveva versare la ritenuta) – ovvero dal fatto che il fisco pretenda, dal sostituto o dal sostituito, mediante notifica di un allo impostavo, un maggior versamento rispetto a quello effettuato ed il destinatario di tale pretesa intenda rivalersi sull’altro soggetto. In tutti questi casi, la lite nasce perché le parti privale, nei loro rapporti diretti (privati), ritengono che siano state erroneamente interpretate e/o applicate le norme che regolano quei rapporti, e non rileva che successivamente il fisco eserciti una azione ex autoritate, in relazione alla quale le parti possono difendersi direttamente (nei confronti dell’ente impositore) dinanzi al giudice speciale tributario”. Se, dunque, la domanda di ripetizione proposta dal sostituito si risolve nella contestazione della sussistenza dei presupposti (nella specie: del presupposto giuridico) della rivalsa che il sostituto d’ imposta ha esercitato trattenendo alla fonte la somma riversata al Fisco, è evidente che il relativo legittimato passivo non può che essere colui che quella rivalsa ha esercitato, vale a dire il sostituto d’ imposta.
Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000 per onorari, oltre Euro 100 per esborsi.
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