CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 settembre 2013, n. 21555
Tributi – Accertamento – Operazioni inesistenti – Soggetto passivo dell’imposizione – Onlus
Svolgimento del processo
La controversia concerne l’impugnazione di più avvisi di accertamento ai fini IRPEG e IVA per l’anno 2005 conseguente ad una verifica della Guardia di Finanza a carico della ONLUS C.V.B. per operazioni inesistenti poste in esse con false fatturazioni allo scopo di ottenere dai diversi enti ospedalieri in convenzione rimborsi di spese non dovuti. L’ente sosteneva di non aver mai realizzato redditi, perché le predette (false) operazioni erano state svolte esclusivamente dall’amministratore per proprio personale vantaggio e questi aveva immediatamente distratto le somme solo formalmente transitate nella contabilità dell’ente stesso, con accertamento della personale responsabilità in sede penale.
La Commissione adita accoglieva il ricorso annullando gli avvisi di accertamento impugnati, ma l’appello dell’Ufficio era accolto, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale l’ente propone ricorso per cassazione con tre motivi. Resiste l’amministrazione con controricorso.
Motivazione
Con il primo motivo di ricorso, la parte ricorrente lamenta la tardiva produzione in giudizio da parte dell’amministrazione della sentenza con la quale altra Sezione della medesima Commissione Tributaria Regionale aveva definito il giudizio tra le stesse parti in ordine all’accertamento riguardante differenti anni d’imposta.
Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto nella sentenza impugnata alcun effetto è ricondotto alla produzione della predetta sentenza ai fini della definizione del giudizio, fondate su autonome valutazioni da parte del giudice di merito.
Nel secondo e terzo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica, l’ente censura, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio dì motivazione, l’omessa e comunque non corretta valutazione da parte del giudice di merito della decisiva circostanza concernente l’assenza di una responsabilità dell’ente medesimo per i reati commessi dal legale rappresentante ed accertati con la sentenza penale le cui risultanze sono del tutto pretermesse nel giudizio. Le censure non sono fondate. Le questioni circa la responsabilità dell’ente nei reati commessi dal legale rappresentante, che dovrebbe essere esclusa da una corretta interpretazione degli artt. 5 e 6 del D.Lgs. n. 231 del 2001, sono estranee alla controversia, che ha ad oggetto esclusivamente la tassabilità delle somme che comunque (e innegabilmente) sono entrate nella contabilità dell’ente e per questo hanno costituito comunque “reddito” o “volume d’affari” a quest’ultimo imputabili.
Il fatto che tali somme siano state, poi, distratte dal legale rappresentante a proprio vantaggio è qualcosa che riguarda il rapporto tra l’ente e il proprio legale rappresentante, per indebita sottrazione di somme al bilancio dell’ente, che avrà diritto al risarcimento del danno nei confronti di quest’ultimo, e non il rapporto tra l’ente e l’amministrazione finanziaria, per l’omesso adempimento degli obblighi fiscali.
Le argomentazioni sviluppate nel ricorso non sono, peraltro, idonee a contrastare l’accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata circa «la colpevole mancanza (da parte dell’ente) di controlli su una gestione ed una contabilità ufficiale, attraverso la quale transitavano somme provenienti da comportamenti illeciti».
Pertanto il ricorso deve essere rigettato. La specificità della fattispecie e l’assenza di precedenti in termini giustificano la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
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