CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 settembre 2013, n. 21820
Rapporto di lavoro – Natura subordinata – Individuazione e valutazione delle fonti di prova devoluta al giudice di merito – Testimonianze inattendibili e inconcludenti – Non sussiste
Svolgimento del processo
Con ricorso, ritualmente depositato, O. M. esponeva:
– di avere lavorato alle dipendenze della M. SAS dal 1°.03.1998 al 30.03.1999 con mansioni di addetto alle pulizie del cinema M.R. per sette giorni la settimana e complessive 30 ore di lavoro;
– di avere ricevuto una retribuzione fissa mensile;
– di essere stato licenziato verbalmente;
– di essere stato inadeguatamente retribuito. Ciò premesso, chiedeva – previa declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – che venisse dichiarata l’illegittimità del licenziamento verbale con conseguente condanna della società convenuta al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno nella misura di tutte le retribuzioni medio tempore maturate, nonché la condanna della stessa società al pagamento della somma di € 4.885,32 per differenze retributive. Il Tribunale di Roma con sentenza del 29.01.2004, riconosciuta la natura subordinata del rapporto, condannava la società al pagamento della somma richiesta per differenze retributive, ma rigettava la domanda relativa al licenziamento.
Tale decisione, a seguito di appello della M. SAS, è stata riformata dalla Corte di Appello di Roma, che con sentenza n. 1183 del 2008 ha rigettato la domanda proposta dal M. in primo grado.
La Corte territoriale ha ritenuto che dalle risultanze istruttorie non emergessero elementi idonei a dimostrare l’assunto dell’appellato riguardante la natura subordinata del rapporto di lavoro in questione, atteso che i due testi escussi avevano riferito di circostanze loro confidate dal M., tra l’altro facendo anche confusione sul nome del cinema con il quale le prestazioni sarebbero state poste in essere.
Il M. propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 CPC. La M. SAS non si è costituita.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 2697 Cod. Civ., sostenendo che il giudice di appello ha violato e non correttamente applicato la normativa in materia di prove, essendosi limitato in modo superficiale, semplicistico e meccanico ad applicare alla fattispecie criteri e requisiti tipici relativi ai rapporti di lavoro subordinato, senza alcun esame dei fatti di causa emersi in fase di istruttoria di primo grado.
In particolare il M. rileva che i testi escussi, pur non essendo stati precisi su chi dava gli ordini ad esso ricorrente e disciplinava l’esecuzione del lavoro, avevano confermato che egli, nel periodo, nelle ore e nelle giornate settimanali indicati nell’atto introduttivo, aveva svolto attività lavorativa presso il cinema gestito dall’appellante recandosi tutte le mattine a orari fissi sul luogo di lavoro Il ricorrente aggiunge che tale situazione era stata contestata tardivamente dalla controparte. Con il secondo motivo il M. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 CPC, rilevando che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto non attendibili i testi per avere essi, tra l’altro, equivocato e confuso il nome del cinema dove esso ricorrente aveva svolto la propria attività lavorativa. Tale circostanza, ad avviso del ricorrente, non era decisiva, giacché il suo lavoro si era svolto presso l’uno o l’altro cinema gestiti dalla società M.. Con il terzo motivo il M. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 CPC, per non avere il giudice di appello valutato le prove come emerse nella fase istruttoria di primo grado, compreso il comportamento processuale delle parti, e per non avere fornito sul punto alcuna motivazione.
2. Gli anzidetti motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati. Secondo costante orientamento di questa Corte è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta tra le risultanze probatorie – di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua motivazione del criterio adottato (ex plurimis Cass. sentenza n. 9834 del 1995; Cass. sentenza n. 10896 del 1998).
La Corte territoriale nel caso di specie ha fatto corretta applicazione del richiamato orientamento giurisprudenziale, giungendo al convincimento della non idoneità degli elementi raccolti sulla esistenza e sulle concrete modalità dell’eventuale rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti. Al riguardo ha richiamato le dichiarazioni dei due testi escussi, evidenziandone, come già detto, la non attendibilità per avere riferito circostanza loro confidate dallo stesso M. e confondendosi sul nome del cinema presso cui il ricorrente avrebbe lavorato.
Quest’ultimo da parte sua si è limitato a sottoporre all’esame di questa Corte una diversa valutazione delle risultanze delle prove testimoniali rispetto a quella del giudice di appello, sorretta da congrua e logica motivazione, e quindi non censurabile in sede di legittimità.
3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Nessuna statuizione sulle spese, non essendosi costituita l’intimata M..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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