CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2013, n. 21922
Lavoro – Licenziamento – Nuova assegnazione di compiti – Pretesa di ordine scritto – Funzione che travalica le mansioni del dipendente – Disconoscimento del potere organizzativo datoriale
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava la illegittimità del licenziamento intimato in data 28 gennaio 2008 dalla T. s.r.l. alla dipendente A.S.P.; condannava la società appellata a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ed a pagarle un’indennità risarcitoria pari a trentasei mesi della retribuzione globale di fatto, oltre accessori; confermava il rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico. Premetteva la Corte territoriale che la condotta addebitata alla lavoratrice andava ravvisata, alla stregua della lettera di contestazione, nell’avere la P. subordinato la esecuzione dell’attività di correzione del catalogo prodotti su pc, richiestale dal superiore G.B., alla attribuzione con lettera scritta dello specifico incarico e di avere quindi, a seguito della affermazione del B. secondo la quale ella si rifiutava di eseguire la prestazione, alzato la voce alla presenza di colleghi. Osservava che tali essendo i fatti riportali nella lettera di contestazione non poteva tenersi conto delle ulteriori circostanze indicate nella lettera di licenziamento, espressamente considerate dal primo giudice nella verifica dei comportamenti ascritti.
In ordine al primo degli addebiti la Corte territoriale conveniva sul fatto che l’attività richiesta esulava dalla mansioni della lavoratrice – impiegata addetta al marketing- e che era (anche) estranea alla formazione professionale della stessa, richiedendo la spendita di competenze specifiche ben al di là dell’uso del programma Fotoshop conosciuto dalla P.; in questa prospettiva riteneva giustificata la istanza della lavoratrice che l’assegnazione di tali compiti venisse formulata per iscritto, sia in ragione della particolare complessità tecnica del lavoro, confermata dalla prova orale, sia in ragione delle possibili responsabilità in caso di errori nell’esecuzione, sia in considerazione del fatto che i compiti in questione erano estranei alle mansioni di impiegata amministrativa svolte fino a quel momento. Con riferimento al secondo addebito, confermato dalle emergenze in atti, il giudice di appello riteneva ingiustificata la sanzione espulsiva (anche sotto il profilo della sussistenza del giustificato motivo soggettivo) configurandolo come una lieve insubordinazione alla quale il contratto collettivo connetteva l’adozione di sole sanzioni conservative. Pacifico il requisito dimensionale, condannava pertanto la società alla reintegrazione della lavoratrice ed al risarcimento del danno nella misura di trentasei mensilità della retribuzione globale di fatto tenuto conto dei periodi di inoccupazione multanti dalla scheda professionale dalla data del licenziamento a quella della sentenza . Confermava il rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico, riproposta nelle conclusioni del ricorso in appello, evidenziando l’assenza di specifico motivo di gravame a riguardo.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società sulla base di due motivi.
L’intimata ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Parte ricorrente ha depositato catalogo T. richiamato nella sentenza impugnata.
Motivi della decisione
Preliminarmente va rilevata la inammissibilità del deposito, avvenuto in data 19 giugno 2013, del “catalogo T.”, non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 372, comma 2, cod. proc. civ. . Con il primo motivo di ricorso la T. s.r.l. deduce ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5 cod. proc. civ., la motivazione illogica e contraddittoria in ordine a fatto controverso e decisivo rappresentato dalla valutazione di non proporzionalità del recesso datoriale. Censura in sintesi la mancata considerazione di precedenti episodi che assume rivelatori della intenzione della P. di non voler assolvere nei termini contrattuali agli obblighi connessi al rapporto di lavoro. Richiama in particolare gli episodi evocati nella lettera di licenziamento che deduce idonei a connotare in termini di particolare gravità, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la condotta addebitata dovendosi nella stessa ravvisare un sostanziale disconoscimento dei poteri aziendali. Sottolinea il fatto -pacifico- che la P. vantava un curriculum con esperienza nel settore informatico anche in considerazione della circostanza che il datore di lavoro le aveva fatto seguire un corso di specializzazione professionale Photo —shop (avente ad oggetto la definizione delle immagini digitali, tecniche di fotoritocco ecc.) e contesta che l’attività richiestale esulasse dalle mansioni proprie di inquadramento.
Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2104 cod. civ.. Sostiene che in base alla richiamata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 25313 del 2007) il rifiuto di eseguire la prestazione da parte del lavoratore è sempre illegittimo; deduce la illegittimità anche della richiesta che l’ordine sia messo per iscritto.
I motivi stante la evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente . E’ in primo luogo da puntualizzare che parte ricorrente non contrasta l’affermazione della sentenza in ordine alla circostanza che i fatti addebitati nella lettera di contestazione erano solo due e che gli ulteriori episodi richiamati nella lettera di licenziamento esulavano dall’ambito della contestazione. Nel dedurre la omessa valorizzazione ai fini del giudizio di proporzionalità degli ulteriori episodi indicati nella comunicazione di recesso, il primo motivo di ricorso si rivela non auto sufficiente in quanto non chiarisce se ed in che termini, nelle precedenti fasi di merito, era stata formulata la deduzione relativa al rilievo di tali ulteriori circostanze. Nella sentenza impugnata si fa esplicito riferimento ad una serie di fatti indicati nella lettera di licenziamento; costituiva pertanto, ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ. , onere della società ricorrente, nel denunziare la mancata considerazione di detti fatti, indicare dove era stata prodotta la lettera e riprodurne il contenuto. Parte ricorrente non indica, invece, quali sono le precedenti condotte trascurate dal giudice di appello, ai fini del giudizio di proporzionalità e tale carenza non consente alcun controllo sulla decisività della omissione denunziata.
In ordine poi al primo dei fatti addebitati rispetto al quale si contrasta l’affermazione che i compiti richiesti esulavano dalle mansioni proprie della P. sul rilievo che la lavoratrice aveva comunque cognizioni informatiche per aver frequentato il corso per il programma Photoshop, la censura della ricorrente non si confronta con le ragioni della decisione sul punto in quanto il giudice di appello, sulla base di un accertamento di fatto, insindacabile dal giudice di legittimità ove – come nel caso di specie-logicamente e congniamente motivato, ha espressamente affermato che l’attività richiesta, per le sue caratteristiche intrinseche dì complessità tecnica, implicava conoscenze informatiche superiori a quelle del programma Photoshop conosciuto dalla lavoratrice.
In ordine poi alla valutazione di legittimità della condotta della lavoratrice, rileva il Collegio che non appare utilmente invocabile la giurisprudenza di questa Corte evocata dalla società ricorrente, secondo la quale l’eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l’esecuzione del lavoro impartito dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod.civ. da applicarsi alla stregua del principio sancito dall’art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l’art. 1460 del cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell’altra parte ( cfr. tra le altre, Cass. n. 12696 del 2012, n. 29832 del 2008, n. 25313 del 2007). Nel caso di specie infatti non si è in presenza di un rifiuto tout court di eseguire la prestazione ma solo della richiesta di ordine scritto di assegnazione dei nuovi compiti. Il giudice di merito ha ritenuto giustificata tale pretesa valorizzando, tra le altre, la circostanza delle possibili responsabilità, e quindi conseguenze negative per la lavoratrice, in caso di errore nella esecuzione di compiti che aveva accertato essere estranei non solo alle mansioni di impiegata amministrativa ma alla formazione professionale della dipendente. Tale valutazione resiste alla denunzia di parte ricorrente che ne sostiene la incompatibilità con il potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro e con l’efficienza dell’azienda. L’adozione della forma scritta nell’assegnazione di nuovi compiti al dipendente non si pone, infatti, in linea generale, intrinsecamente in contrasto né con i poteri organizzativi e direttivi, facenti capo alla parte datoriale né appare tale da pregiudicare l’efficienza e l’ordinato svolgersi dell’attività di produzione. Nello specifico, tenuto conto della peculiarità della vicenda soprattutto del fatto che le mansioni di nuova adibizione, non rientrando nel bagaglio professionale della P., la esponevano a possibili errori nella esecuzione dei nuovi compiti, la valutazione del giudice di appello che ha affermato la legittimità della richiesta di formalizzazione per iscritto appare rispondente a criteri di logicità e congruità.
Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in € 50,00 per esborsi e 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
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