CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 settembre 2013, n. 21958
Tributi – Contenzioso tributario – Giudicato esterno – Sostituto d’imposta – Eccezione ad hoc – Necessità
Svolgimento del processo
M.B. impugnò l’avviso di accertamento con il quale venivano recuperate a tassazione IRPEF le somme corrispostegli nel 1985 dal datore di lavoro a titolo di contributo differenza canone di locazione in relazione al suo trasferimento in un’altra città.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 11241 del 2000, cassò con rinvio, per vizio di motivazione sulla ritenuta imponibilità delle somme percepite, la sentenza che aveva rigettato la domanda del contribuente.
Davanti al giudice del rinvio, adito con ricorso in riassunzione depositato il 17 ottobre 2001, il B., con memoria depositata il 22 marzo 2006 in prossimità dell’udienza di discussione, invocò l’estensione, ai sensi dell’art. 1306 cod. civ., del giudicato, costituito dalla sentenza di questa Corte n. 798 del 2000, conseguito in altro giudizio dal debitore solidale, la banca sua datrice di lavoro in qualità di sostituto di imposta, nei confronti della quale, ritenuta la natura risarcitoria delle somme corrisposte a titolo di differenza canoni di locazione, era stato annullato l’accertamento, nel quale era inclusa anche la posizione di esso B..
Nei confronti della decisione della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, di rigetto della domanda del contribuente, per non essere stata ravvisata solidarietà nel debito d’imposta fra sostituto e sostituito, e di parziale accoglimento dell’appello dell’amministrazione, M.B. ricorre per cassazione sulla base di un motivo, depositando successivamente memoria illustrativa.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi, cui il contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione
I ricorsi, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza, vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
Con l’unico motivo del ricorso principale, denunciando “violazione ed erronea disapplicazione delle norme ed i principi di diritto positivo civile e tributario relative alla solidarietà passiva e, in particolare, violazione e falsa applicazione -anche al di fuori dell’ipotesi di solidarietà passiva in senso proprio – dell’art. 1306, secondo comma, c.c.. Inadeguata motivazione del capo di sentenza impugnata (ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.)”, il contribuente assume che correrebbe un rapporto di solidarietà passiva fra sostituto e sostituito anche nel caso di ritenuta d’acconto, nei confronti del soggetto creditore comune, ovvero dell’ amministrazione finanziaria, con conseguente applicabilità dell’art. 1306, secondo comma, cod. civ., qualora la sentenza invocata da uno dei condebitori solidali abbia deciso la controversia fra l’amministrazione e l’altro condebitore per ragioni oggettive inerenti la tassabilità della some ricevuta dal sostituito; e che, quand’anche si ritenga inesistente un rapporto passivo di solidarietà fra sostituto e sostituito, sarebbero comunque applicabili, anche nell’ipotesi di ritenuta d’acconto, i principi della solidarietà, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, e quindi, in particolare, l’art. 1306, secondo comma, cod. civ., data l’identica matrice ed origine dei rispettivi obblighi fiscali.
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato l’amministrazione, denunciando violazione dell’art. 1306 cod. civ. e degli artt. 57, 58 e 63 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, assume che, anche qualora potesse parlarsi di solidarietà fra sostituto e sostituito, l’eccezione di giudicato ex art. 1306 cod. civ, proposta dal contribuente avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile e non infondata, atteso il carattere chiuso del giudizio di rinvio, limitato alle questioni oggetto dei motivi di impugnazione formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata.
Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 54, 57, 58 e 63 del d.lgs. n. 546 del 1992, sostiene, in subordine, che la detta eccezione, relativa a giudicato concernente la tassabilità della somma in questione formatosi, antecedentemente alla proposizione della riassunzione, tra il sostituto d’imposta e l’amministrazione, avrebbe dovuto essere proposta dal contribuente con l’atto di riassunzione e non essere avanzata successivamente con memoria di udienza.
Il ricorso principale è infondato.
Il giudice del rinvio, con dispositivo conforme al diritto, ha infatti disatteso la domanda di estensione del giudicato favorevole formatosi nei confronti della banca datrice di lavoro e sostituto d’imposta, accogliendo, in ordine a tale capo, l’appello dell’amministrazione finanziaria; la sentenza è tuttavia erroneamente motivata in diritto sul punto, sicché dovrà correggersene la motivazione, nei termini che seguono, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.
Questa Corte ha chiarito che “il rapporto che si costituisce tra il sostituto d’imposta e il sostituito è quello dell’obbligazione solidale passiva con il Fisco, con la conseguente applicabilità dei principi disciplinanti tale tipo di obbligazioni, ivi compreso quello di cui all’art. 1306 cod. civ., riguardante l’estensione del giudicato. A tale conclusione non è di ostacolo né la diversità della fonte normativa delle obbligazioni relative a sostituto e sostituito, né il carattere meramente strumentale di quella del sostituto rispetto all’altra. Infatti, a parte l’espressa previsione della solidarietà nella fase della riscossione – pur limitata al caso della ritenuta d’imposta -, di cui all’art. 35 del d.P.R. n. 602 del 1973, che male si adatta alla concezione autonomistica dei due rapporti di obbligazione, nella specie opera la presunzione, stabilita dall’art. 1294 cod. civ., secondo la quale i condebitori sono ritenuti obbligati in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente, e ciò in ragione dell’unicità della prestazione, almeno fino a concorrenza della ritenuta dovuta dal sostituto” (Cass. n. 10082 del 2003).
Si è altresì precisato al riguardo che “anche in tema di solidarietà passiva d’imposta, il meccanismo previsto dall’art. 1306 cod. civ., costituente una deroga ai principi in materia di limiti del giudicato, non può operare ipso iure. Infatti spetta soltanto al debitore valutare se la sentenza resa nei confronti di un condebitore solidale debba considerarsi a sé favorevole. Si tratta, quindi, di una valutazione che, in assenza di una precisa manifestazione di volontà del debitore, non può essere fatta dal giudice. Anche in tema di solidarietà tributaria, pertanto, l’applicazione dell’art. 1306 cod. civ., presuppone che, nel giudizio di merito il debitore abbia espressamente chiesto che a lui si estendano gli effetti della sentenza resa nei confronti del condebitore, e si tratta, inoltre, di un diritto potestativo sostanziale che presuppone la mancata formazione di specifico giudicato (o comunque di preclusioni processuali) a carico del soggetto che intende esercitare tale diritto” (Cass. n. 1681 del 2000 e n. 2383 del 2006).
La sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei coobbligati in solido, quindi, se passata in giudicato, può bensì acquistare efficacia nei confronti degli altri condebitori, ma solo se questi sollevino tempestivamente la relativa eccezione (e sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali), mentre è escluso che tale efficacia extrasoggettiva del giudicato possa essere rilevata d’ufficio (Cass. n. 27906 del 2011, n. 14696 del 2008 e n. 8816 del 2012): l’accertamento del giudicato, non costituisce infatti patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (cfr. Cass. sez. un. 16 giugno 2006, n. 13916).
Si è conseguentemente affermato che l’estensione soggettiva del giudicato può essere opposta per la prima volta nel giudizio di legittimità solo se esso giudicato si sia formato dopo la conclusione del giudizio di merito (Cass. n. 14696 del 2008 e n. 8816 del 2012, entrambe appena citate), ovvero nel giudizio di merito, purché la sua deduzione non sia tardiva, in quanto relativa ad un fatto sopravvenuto nelle more del giudizio stesso e che la parte appellante non avrebbe potuto allegare prima del momento in cui venga fatto valere in giudizio (Cass. n. 27906 del 2011 cit.).
Nel caso in esame, il giudicato del quale si richiedeva l’estensione soggettiva, costituito dalla sentenza di questa Corte 25 gennaio 2000, n. 798, è anteriore tanto alla sentenza di cassazione con rinvio 28 agosto 2000, n. 11241, che, ovviamente, al ricorso in riassunzione davanti al giudice del rinvio, depositato il 17 ottobre 2001, atto con il quale la società ricorrente avrebbe potuto far valere la decisione sopravvenuta e resa nei confronti del debitore solidale, laddove detto giudicato venne invocato ed opposto con una “ulteriore memoria” del 22 marzo 2006.
In conclusione, il ricorso principale, una volta corretta nei termini indicati la motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ., deve essere rigettato, assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato.
Le spese del giudizio vanno compensate fra le parti, in considerazione della peculiarità della fattispecie.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.
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