CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 settembre 2013, n. 22130
Tributi – IVA – Operazioni infragruppo – Costi relativi a prestazioni della società controllata – Mera antieconomicità – Diritto alla detrazione – Sussiste
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate di Firenze emetteva nei confronti della società G. spa un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di IVA per il periodo di imposta 2001, oltre accessori e sanzioni, in dipendenza di costi relativi ad operazioni poste in essere dalla società con la T. s.r.l. ritenute prive dei requisiti di economicità.
2. La società contribuente impugnava l’atto innanzi alla CTP di Firenze che ne dichiarava l’illegittimità.
3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva rigettato dalla CTR della Toscana con sentenza depositata il 3 ottobre 2006.
4. Riteneva il giudice di appello che l’impugnazione proposta dall’Agenzia non aveva aggiunto alcunché rispetto alle questioni già correttamente ponderate dalla CTP, la quale aveva accolto il ricorso della contribuente, poiché l’Ufficio non aveva raggiunto nessuna prova idonea a dimostrare l’inattendibilità delle operazioni dì acquisto dei servizi intercorse tra le società. Evidenziava, ancora, di condividere le motivazioni del primo giudice in ordine all’opportunità di esternalizzare l’attività in vista della ricerca di nuove strategie aziendali, aggiungendo che l’ufficio aveva il potere di disconoscere i costi per fatture non ritenute inerenti a condizione dì fornire prove concrete.
4.1 Nel caso concreto non esisteva nessuna prova che dimostrasse l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti ed era precluso ogni giudizio di congruità circa l’effettuazione di qualsiasi operazione commerciale, transattiva, contrattualistica o di fissazione dei prezzi, dei prodotti e dei servizi resi o ricevuti, rientrando tali aspetti nell’esclusiva sfera imprenditoriale in assenza di dimostrati intenti elusivi o di accordi simulatori non ricorrenti nel caso concreto.
4.2 Peraltro, trattandosi di imposizione indiretta il principio di neutralità dell’IVA doveva escludersi qualsiasi risparmio di spesa nell’ambito del gruppo societario per come presuntivamente ritenuto dall’Ufficio.
5. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso.
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo l’Agenzia lamenta la violazione degli art.75 TUIR e 19 d.pr.n.633/1972.
La CTR, in spregio al contenuto delle disposizioni appena evocata, aveva indebitamente equiparato il tema dell’antieconomicità dei costi a quello dell’inesistenza dell’operazione, omettendo di ponderare tutti gli elementi, dalla stessa Agenzia offerti, che dimostravano l’antieconomicità, in contrasto con quanto stabilito da questa Corte, addossando sulla medesima ricorrente la prova in ordine alla deducibilità dei costi.
7. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di carente o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Lamenta che la CTR aveva omesso di valutare il materiale probatorio dal quale era emerso che le prestazioni svolte dalla T. era state effettuate mediante infrastrutture e attrezzature della società contribuente e sulla base dì accordi che lasciavano la proprietà di materiali prodotti alla società T.
Le prestazioni, inoltre erano state realizzate con personale del quale la società contribuente poteva già avvalersi essendo già dipendente anche di tale società oltre che amministratori e dirigenti della T., ciò che rendeva parimenti difficile l’imputazione dell’attività dai medesimi realizzata all’una piuttosto che all’altra società. Inoltre, la società contribuente avrebbe potuto direttamente incaricare le risorse umane esterne che si erano, peraltro, anch’esse avvalse delle infrastrutture della società G. -Tali elementi, unitamente alla genericità delle prestazioni fatturate incidevano, secondo la ricorrente, sulla certezza dei costi.
Ragion per cui la decisione del giudice di appello era errata.
8. La società contribuente ha dedotto in linea principale l’inammissibilità, sotto diversi profili, delle censure esposte ed in ogni caso la loro infondatezza, in quanto l’Agenzia aveva, per un verso, evocato l’art.75 TUIR, inapplicabile alla fattispecie e, per altro verso, tralasciato di considerare che l’art.19 dpr n.623/1972 richiedeva unicamente il requisito della inerenza dei costi ai fini della detraibilità dell’IVA relative alle operazioni di acquisto della parte contribuente, nemmeno ponendosi la questione della certezza del costo, non essendosi in presenza di operazioni inesistenti.
Inerenza che l’Ufficio non aveva mai posto in discussione nell’accertamento in cui nemmeno si era ipotizzata l’incertezza delle prestazioni fornite dalla T.
8.1 Specificava, quanto al criterio dell’economicità, che lo stesso non era ipotizzabile rispetto alle imposte indirette, al più potendosi ammettere con riguardo alle imposte dirette, infine evidenziando che il giudice di primo grado, le motivazioni del quale erano state richiamate dalla CTR, aveva già esposto in modo compiuto gli elementi idonei a confermare non solo le attività svolte dalla T. e la loro inerenza con quelle della società contribuente, ma anche l’irrilevanza dei profili prospettati dall’Agenzia in ordine alle difficoltà di imputazione delle attività svolte dai soggetti contemporaneamente al servizio di T. e G.
8.2 Nemmeno poteva dubitarsi che, una volta dimostrata l’inerenza dei costì, spettava all’Ufficio provare il contrario, non potendosi soltanto ipotizzare un’antieconomicità, mai dimostrata anche solo sulla base di presunzioni. Aggiungeva, infine, che la motivazione impugnata era pienamente esaustiva.
9. Orbene, i dedotti profili di inammissibilità delle censure colgono solo in parte nel segno, individuandosi, dall’esame complessivo delle censure, le doglianze di fondo prospettate dall’Agenzia incentrate sulla piena legittimità della pretesa fiscale in ragione dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice di appello, addossando sull’amministrazione l’onere di provare l’insussistenza dei costi.
9.1 Quanto invece alla censura relativa al difetto di motivazione della sentenza impugnata, è ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito -cfr.Cass. n. 24255 del 18/11/2011 -. E poi da aggiungere che, anche al di là della suddetta indicazione riassuntiva e sintetica costituente un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, la società ricorrente ha omesso di evidenziare, in maniera chiara e precisa, sia l’esistenza di specifici fatti controversi che il loro eventuale carattere decisivo e, per altro verso, sul deficit motivazionale, le doglianze sono infondate.
9.2 In relazione al secondo motivo la dedotta inammissibilità della censura coglie dunque nel segno.
9.3 Passando all’esame del primo motivo di ricorso, viene all’attenzione di questa Corte la questione concernente la legittimità dell’operato dell’amministrazione finanziaria che provvede alla rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui, chiunque svolga un’attività economica dovrebbe, secondo l’id quod plerumque accidit, indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti, in tal modo valutando negativamente, ai fini fiscali, le condotte improntate all’eccessività di componenti negativi o all’immotivata compressione di componenti positivi di reddito.
9.4 In questa direzione questa Corte, con precipuo riferimento alle imposte sui redditi, ha reiteratamente riconosciuto che rientra nei poteri dell’amministrazione finanziaria la valutazione dì congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio d’impresa, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa-cfr.Cass. n. 12813/2000 (con riferimento all’lLOR); Cass. n. 9497/2008 e Cass. n. 3243/2013, Cass.n.1711/2007 (con riferimento all’IRPEG); Cass. n. 7487/2002; Cass. n. 10802/2002; Cass. n. 5463/2003; Cass. n. 398/2003;Cass. n. 19150/2003;-.
9.5 Alla base di questo indirizzo vi è il convincimento che in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, rimasto inspiegato da parte del contribuente, è pienamente legittimo l’accertamento ai sensi dell’articolo 39, comma primo lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973.
Ragion per cui il giudice di merito che giunga a ritenere illegittimo l’accertamento è tenuto a specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatica di possibili violazioni dì disposizioni tributarie -Cass.n. 1821/2001-.
9.6 Orbene, l’Agenzia ha incentrato la propria doglianza sul fatto che la CTR avrebbe erroneamente applicato il regime in tema di onere della prova visto che, risultando elementi precisi in ordine all’antieconomicità della prestazione, era onere del contribuente dimostrare l’infondatezza dei rilievi contro di essa sollevati (v.pag.6 ricorso) Ed era sempre l’Agenzia a chiarire che non era in discussione l’esistenza delle prestazioni fatturate ( …Nessun richiamo era stato effettuato (e neppure poteva o doveva essere fatto) dall’ufficio a presunte operazioni inesistenti, atteso che le riprese fiscali si basavano, contrariamente a quanto statuito dalla CTR, sui caratteri dell’antiecanomicità, del costo, che, in ogni caso, si riteneva sostenuto…)”-cfr.pag.6 ricorso Agenzia.
9.7 Ora, la CTR, nell’esaminare la controversia in cui era in discussione la debenza dell’lVA per costi antieconomici asseritamente sostenuti dalla società contribuente per prestazioni resa da una società controllata, ha ritenuto che l’Ufficio non aveva raggiunto nessuna prova atta a dimostrare la inattendibilità delle operazioni di acquisti dei servizi intercorse fra le società chiamate in causa, aggiungendo che oltre a condividere la motivazione espressa dal giudice di primo grado in ordine alla riconosciuta opportunità di esternalizzazione delle attività operata dalla società contribuente correlata a strategie economiche o aziendali, ricadeva sull’Ufficio l’onere dì dimostrare l’esistenza di operazioni inesistenti, nel caso concreto mancata, non potendo riconoscersi all’Amministrazione una valutazione di congruità delle operazioni commerciali poste in essere dal contribuente. E proprio tale decisione l’Agenzia contesta richiamandosi espressamente all’indirizzo espresso da questa Corte con riguardo all’art.75 TUIR.
9.8 Questa Corte è dunque chiamata a verificare la possibilità ed eventualmente i limiti entro i quali è possibile estendere i principi giurisprudenziali testé affermati al tributo IVA, come noto armonizzato alla disciplina introdotta dapprima con la sesta direttiva CEE – più volte oggetto, nel tempo, di varie modifiche, e, da ultimo, con la dir.2006/112/CEE.
9.9 Non è, anzitutto, possibile, diversamente da quanto prospettato dall’Agenzia, applicare direttamente ed automaticamente i principi espressi in tema di imposizione diretta con riguardo al tema dell’antieconomicità all’interno dell’lVA, a ciò ostando la particolare natura del tributo da ultimo descritto, tutto correlato al principio di neutralità che si esprime attraverso il riconoscimento ad ogni fornitore o prestatore di servizio che ha corrisposto l’IVA per l’acquisto di beni o servizi di detrarre l’IVA relativa ai costi sostenuti secondo il noto meccanismo della detrazione. Infatti, Il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’lVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce, in tal modo, la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’lVA (v., segnatamente, sentenze Gabalfrisa e a., cit, punto 44; 21 febbraio 2006, Halifax e a., C-255/02, Race. pag. 10 1609, punto 78, nonché Mahagében e David, cit., punto 39;Corte giust. 6 settembre 2012, C-324/11 ,Gabor Toth, p.24-.
9.10 Ora, più volte la Corte di Giustizia ha inteso sottolineare la centralità del diritto di detrazione nel meccanismo dell’IVA, diritto che, in linea di principio, non può subire limitazioni, essendo inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o pagata nell’ambito delle sue attività economiche. Ed è proprio questo meccanismo a consentire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale che si interrompe allorché il bene o servizio viene reso al consumatore finale.
9.11 Orbene, l’art.17 della sesta direttiva CEE (rilevante ratione temporis ai fini della presente controversia), riconducendo il diritto a detrazione all’esigibilità ed inerenza dell’acquisto del bene o servizio non contempla alcun diretto riferimento al tema del “valore” del bene o servizio.
Né tale riferimento sembra cogliersi nell’art.19 d.pr.r.n.633/1972. Ciò si spiega, in termini generali, ancora una volta ricorrendo ai principi fondanti il meccanismo dell’IVA che trova proprio il suo equilibrio nel composito meccanismo delle rivalsa e delle detrazione, per effetto dei quali l’erario non subisce alcuna perdita in caso di regolare indicazione dell’IVA nei vari passaggi che caratterizzano la cessione del bene o servizio, qualunque sia il prezzo del bene o del servizio stesso.
9.12 Principio, quest’ultimo, bene espresso dalla Corte europea, secondo la quale la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante (v., Corte giust. 20 gennaio 2005, causa C-412/03, Hotel Scandic Gàsabàck, punto 22).
9.13 Si è, nella medesima direzione, precisato che qualora beni e servizi siano forniti a un prezzo artificialmente basso o elevato fra parti che godono entrambe interamente del diritto a detrazione dell’IVA, non può sussistere, in tale fase, alcuna elusione o evasione fiscale, È solo a livello del consumatore finale che un prezzo artificialmente basso o elevato può comportare una perdita di gettito fiscale-cfr.Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/U, Balkan p.47, -.
9.14 Peraltro, tanto secondo l’art. 11 par.1 lett.a) della sesta direttiva CEE che per l’art.73 della dir.2006/112/CEE che l’ha riproposto senza rilevanti modifiche, la base imponibile per la cessione di un bene o la prestazione di un servizio effettuate a titolo oneroso è costituita dal corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine dal soggetto passivo e tale corrispettivo costituisce il valore soggettivo, ossia realmente percepito e non un valor stimato secondo criteri oggettivi -Corte giust. 26 aprile 2012, cit. p.43; Corte giust. 5 febbraio 1981, Cooperatieve Aardappelenbewaarplaats, 154/80, punto 13; Corte giust. 20 gennaio 2005, Hotel Scandio Gàsabàck, C-412/03, punto 21, e Corte giust. 9 giugno 2011, Campsa Estaciones de Servicio, C-285/10, punto 28). 9.15 Tali principi, d’altra parte, sono stati ribaditi dalla Corte di Giustizia anche con specifico riguardo alle operazioni infra gruppo.
9.16 Sul punto, sì è infatti ritenuto che “… ove un corrispettivo sia stato concordato ed effettivamente versato al soggetto passivo come contropartita diretta per il bene ceduto o il servizio prestato, tale operazione dev’essere qualificata come operazione a titolo oneroso, anche nel caso in cui essa sia effettuata tra soggetti collegati e il prezzo concordato ed effettivamente versato sia manifestamente inferiore al prezzo normale di mercato. La base imponibile di un’operazione di questo tipo deve, dì conseguenza, essere determinata conformemente alla regola generale stabilita dall’art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva” – cfr.Corte giust., 9 giugno 2011, causa C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio SA p.27-
9.17 E’ peraltro da precisare che l’ordinamento comunitario non ha mancato di prevedere, nel tempo, delle limitazioni a tale principio ma sempre collegate all’ipotesi che la persona interessata all’operazione non goda del diritto alla detrazione e che, dunque, possa derivare un danno all’erario per effetto dei comportamenti abusivi posti in essere dai contribuenti coinvolti nella filiera nelle operazioni commerciali.
9.18 In tali ipotesi, infatti, emerge in modo chiaro il pericolo di perdite di gettito per l’Erario che proprio l’art.80 della dir.2006/112/CEE ha inteso elidere prevedendo, al par.1 che ” Allo scopo di prevenire l’elusione o l’evasione fiscale, gli Stati membri possono, nei seguenti casi, prendere misure affinché, per la cessione di beni e la prestazione di servizi a destinatari con cui sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro, la base imponibile sia pari al valore normale:…”.
9.19 Ora, la giurisprudenza comunitaria non ha mancato di chiarire che le ipotesi contemplate dall’art.80 cit. sono tassative, tanto che una normativa nazionale non può prevedere, sul fondamento di tale disposizione, che la base imponibile sia pari al valore normale dell’operazione in casi diversi da quelli elencati nella stessa, in particolare qualora il soggetto passivo benefici del diritto a detrarre interamente l’IVA- cfr. Corte giust. 26 aprile 2012, cause riunite C-621/10 e C-129/U, Balkan p.52-.
9.20 Alla stregua della ricostruzione sopra esposta sì tratta allora di determinare in che misura l’antieconomicità possa essere presa in considerazione ai fini del riconoscimento o meno del diritto a detrazione.
9.21 Occorre anzitutto ribadire che la soluzione della questione non è direttamente condizionata dalla giurisprudenza nazionale, già ricordata ed espressamente richiamata dalla CTR, in tema di imposte sui redditi.
9.22 E’ noto, come più volte affermato dalla Corte di Giustizia, che il divieto di discriminazione non è che un’espressione specifica del principio generale di uguaglianza nel diritto comunitario, il quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in particolare, Corte giust 18 maggio 1994, causa C-309/89, Codorniu/ Consiglio, Race. pag. 1-1853, punto 26, e 17 luglio 1997, causa C-354/95, National Farmers’ Union e a., Race, pag. 1-4559, punto 61).
9.23 Ora, poiché il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’lVA, non può ritenersi che una soluzione a livello di normativa sull’lVA diversa da quella espressa per i tributi diretti crei un vulnus ai principio di non discriminazione. -cfr.Corte giust. 17 marzo 2007, causa C-35/05-.
9.24 Detto questo, ritiene il collegio che in condizioni normali non sia consentito all’amministrazione di rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall’imprenditore escludendo il diritto a detrazione per le ipotesi in cui il valore dei beni e servizi sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da considerare normale o comunque sia tale da produrre un risultato antieconomico.
9.25 Tale verifica l’amministrazione potrà solamente fare allorché la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell’operazione, oppure di non verità del prezzo o, ancora, di non esistenza dell’inerenza e cioè della destinazione del bene o del servizio acquistati ad essere utilizzati per operazioni assoggettate ad IVA.
9.26 Se dunque l’amministrazione riesce a dimostrare l’antieconomicità manifesta e macroscopica, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o del servizio presenta comunque le caratteristiche per ritenersi reale ed inerente rispetto all’attività svolta.
9.27 Potrà ancora accadere che l’antieconomicità costituisca indizio di abuso del diritto che, com’è noto, presuppone un uso “artificioso” di una forma giuridica e cioè l’uso concreto di essa non per l’affare per il quale essa è tipicamente prevista, ma per uno scopo diverso, univocamente ed esclusivamente rivolto a perseguire un indebito risparmio fiscale.
9.28 Ed invero, è noto che integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento predominante ed assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta (Cass. n. 1465/09; v. anche Cass. n. 8772 e 10257/08; Cass.n.20029/2010).
9.29 Analogamente, si è ritenuto che in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse alla mera aspettativa di quei benefici. Ne consegue che il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, dì ragioni extrafiscali, che non si identificano necessariamente in una redditività immediata dell’operazione medesima ma possono rispondere ad esigenze di natura organizzativa e consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda-cfr. Cass. n. 1372 del 21/01/2011; cfr. altresì, Cass. n. 10807 del 28/06/2012 -. Ed è parimenti assodato che la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e dì alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale, incombe sull’Amministrazione finanziaria, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare la esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.
9.30 Orbene, nel caso di specie, la CTR sì è uniformata ai principi testé esposti non avendo ritenuto automaticamente applicabile la giurisprudenza resa da questa Corte in tema di imposta sui redditi a proposito dell’art.75 TUIR e, per altro verso, ritenendo che in assenza di prova, il cui onere incombeva sull’Agenzia, non era possibile escludere la detraibilità di un costo sicuramente sostenuto dalla società contribuente in mancanza di elementi dai quali potere inferire che la prestazione fosse inesistente, non avendo nemmeno la CTR affrontato il tema dell’abuso del diritto mai sollecitato dall’Agenzia, per come implicitamente risulta dalle parti dello stesso ricorso proposto innanzi a questa Corte sopra riprodotte rivolte a non porre in discussione l’esistenza dei costi.
9.31 Né, ancora, risulta che l’Agenzia abbia anche solo ipotizzato il pericolo di una perdita di gettito fiscale da parte dell’amministrazione, essendo pacifica la regolarità, ai fini fiscali, dei passaggi fra prestatore e committente che non ha cagionato alcuna perdita in danno dell’erario.
9.32 Sulla base di tali considerazioni e nei limiti in cui questa Corte può intervenire rispetto alla censura per violazione dI legge prospettata con il primo motivo, la censura è dunque infondata.
10. Il ricorso va quindi rigettato.
11. Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio di legittimità in relazione all’esistenza di precedenti non univoci.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
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