CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 settembre 2013, n. 22213
Società di capitali – Società per azioni – Organi sociali – Assemblea dei soci – Deliberazioni – Invalidità – Impugnazione – Delibera di approvazione del bilancio di esercizio – Impugnazione – Sentenza di patteggiamento ottenuta, riconoscendo l’omessa appostazione tra i crediti di somme distratte dalle casse sociali, dall’amministratore unico – Rilevanza ai fini della valutazione della dedotta falsità del bilancio
Svolgimento del processo
U.J., socio dal novembre 1996 della I. s.p.a., conveniva la società dinanzi al Tribunale di Torino impugnando la deliberazione assunta dall’assemblea ordinaria nella riunione del 30 aprile 1999 con la quale era stato approvato il bilancio relativo all’esercizio chiuso al 31.12.1998. Deduceva a sostegno la falsità del bilancio sotto vari profili, tra i quali l’appostazione di perdite superiori (per oltre lire 500 milioni) a quelle che a lui risultavano da una bozza del bilancio consegnatagli dal socio di maggioranza, l’omessa indicazione di utili per oltre lire 480 milioni, molteplici difformità dal reale nelle indicazioni del costo della produzione, degli ammortamenti dei macchinari, dei costi di acquisizione di beni materiali, delle fatture da ricevere. La I. 93 contestava la domanda, chiedendone il rigetto.
Espletata c.t.u., il Tribunale, con sentenza in data 8 marzo 2005, ravvisata la violazione dei principi di chiarezza e verità posti dall’art. 2423 cod.civ., e rilevato che l’attore, pur avendo dedotto anche cause di nullità, aveva nelle conclusioni limitato la sua domanda al solo annullamento, accoglieva tale domanda.
La I. 93 proponeva appello, cui resisteva lo J. proponendo a sua volta appello incidentale per la declaratoria della nullità della delibera per oggetto illecito stante la falsità del bilancio approvato, deducendo di aver proposto anche tale domanda, e per l’accoglimento della domanda di risarcimento danni ritenuta dal primo giudice tardiva.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 7 maggio 2008 e notificata il 2 luglio 2008, ha, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello incidentale, dichiarato la nullità della delibera in data 30.4.1999 di approvazione del bilancio e di esonero dei sindaci da responsabilità, dichiarando assorbito l’appello principale. Ha osservato (per quanto ancora rileva) la Corte di merito: che la corretta interpretazione della domanda, quale si evince dall’atto introduttivo della lite, conduce a ritenere che l’attore abbia proposto una domanda alternativa di nullità e di annullabilità della delibera in questione, avendo prospettato, nella narrativa dell’atto, sia il difetto di chiarezza nella redazione del bilancio (cui conseguirebbe l’annullamento) sia fatti di vera e propria falsificazione dello stesso con l’espressa deduzione della nullità della deliberazione per illiceità dell’oggetto, pur avendo nelle conclusioni chiesto la declaratoria di annullabilità, circostanza di per sé non decisiva. Esaminando quindi la domanda di nullità, la Corte l’ha giudicata fondata, considerando che l’amministratore unico della società ha, in sede di patteggiamento penale ex art. 444 c.p.p. per vari reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni, ha riconosciuto il delitto di falso nel bilancio dell’esercizio chiuso al 31.12.1998 per aver omesso di appostare tra i crediti l’importo di lire 428.000.000 corrispondente ad una somma di danaro indebitamente distratta, giustificandola nella nota integrativa come pagata ad un fornitore in base a fatture in realtà emesse per operazioni inesistenti; e che la società non ha dedotto alcunché per dimostrare che l’accertamento operato in sede penale fosse basato su una falsa ammissione di responsabilità, del resto oggettivamente non plausibile ove correlata al contesto di non chiarezza evidenziato dalla consulenza d’ufficio e dal Tribunale.
Avverso tale sentenza, la I. 93, nelle more trasformatasi in s.r.l., ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso lo J.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo ed il secondo motivo la società ricorrente lamenta che la Corte di merito, interpretando la domanda introduttiva del giudizio di primo grado come diretta alternativamente a chiedere l’annullamento o la declaratoria di nullità della delibera approvativa del bilancio, sarebbe incorsa nella violazione del disposto dell’art. 112 n.4 e dell’art. 345 cod.proc.civ. (avendo accolto una domanda di declaratoria di nullità in realtà non proposta in primo grado, ma solo nell’atto di appello) ed avrebbe in ogni caso giustificato tale valutazione con una motivazione insufficiente ed illogica.
I due motivi, esaminabili congiuntamente attesa la stretta connessione, non meritano accoglimento. Quanto ai dedotti errores in procedendo, la Corte d’appello ha persuasivamente argomentato sulla interpretazione della domanda, rettamente applicando la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. tra molte: n. 2467/06; n. 17760/06; n. 3012/10; n. 19630/11), che il Collegio condivide, secondo la quale il giudice, ai fini dell’interpretazione della domanda giudiziale, deve prendere in esame l’intero contenuto dell’atto stesso, non potendo limitarsi al significato letterale delle sole conclusioni. E, nella specie, i chiari riferimenti alla nullità per illiceità dell’oggetto della deliberazione approvativa del bilancio falso, contenuti nella narrativa dell’atto di citazione ed evidenziati dalla Corte d’appello (peraltro senza trovare smentita in ricorso), hanno condivisibilmente condotto la Corte stessa a ritenere in tal modo sufficientemente espressa la volontà dell’attore di far valere tutte le cause di invalidità della delibera stessa, non solo “la declaratoria di annullabilità” richiesta (peraltro, con espressione giuridica inesatta) nelle conclusioni finali. La tesi sostenuta nel motivo, basata sul contenuto delle conclusioni dell’atto di citazione, si mostra dunque priva di fondamento.
I motivi in esame sono inoltre inammissibili, per la parte in cui denunciano vizi di motivazione senza distinguerli dai pretesi errores in procedendo (cfr. S.U. n. 8077/12) e senza neppure formulare la sintesi richiesta dall’art. 366 bis cod.proc.civ., nella specie applicabile ratione temporis.
2. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 445 cod.proc.pen. e dell’art. 2729 cod.civ., e in ogni caso il vizio di motivazione. Lamenta che la Corte d’appello abbia fondato la propria decisione in ordine alla sussistenza delle falsità dedotte su una sentenza di patteggiamento che, da un lato, non può considerarsi una vera e propria sentenza di condanna, dall’altro è intervenuta all’esito di un giudizio penale in cui essa società ricorrente non era parte.
2.1. Va tuttavia osservato che la Corte di merito non ha fondato il proprio convincimento su una (insussistente) efficacia definitiva nel giudizio civile di un accertamento di responsabilità compiuto dal giudice penale: ha piuttosto tenuto conto del patteggiamento quale fatto storico che, in quanto espressione della condotta dell’amministratore unico della società ricorrente che ha predisposto il bilancio in questione – e non quale criterio giuridico di riferibilità della sentenza penale alla società stessa, ha ritenuto, in concreto, idoneo a fornire validi elementi di valutazione, nel contesto delle risultanze complessive degli accertamenti condotti in sede civile, in ordine alla dedotta falsità del bilancio stesso. Una valutazione, questa, che rientra senz’altro nel libero convincimento riservato al giudice di merito dal codice di rito (art. 116 cod.proc.civ.). Quanto poi alla denuncia di vizi di motivazione, valgono le considerazioni già esposte in ordine alla inammissibilità, per tale parte, delle precedenti doglianze.
3. Il quarto motivo, con il quale – in relazione alla medesima statuizione della sentenza d’appello – viene denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 cod.proc.civ., e in ogni caso il vizio di motivazione, è inammissibile, per difetto del quesito di diritto e della sintesi richiesti dall’art. 366 bis cod.proc.civ.
4. Considerazioni analoghe valgono per il quinto motivo, con il quale si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2379 e 2377 cod.civ., e in ogni caso il vizio di motivazione. L’illustrazione del motivo – da un lato – non contiene alcuna sintesi del fatto controverso in relazione al quale si deduce il vizio di motivazione, dall’altro si conclude con un quesito di diritto (“nell ‘ipotesi di ricorso agli ammortamenti anticipati, relativi a singoli cespiti acquisiti dalla società nell’anno di riferimento del bilancio, trovano applicazione le disposizioni sulla invalidità della delibera di approvazione dello stesso, laddove l’amministratore unico abbia dato separata indicazione delle aliquote applicate e giustificazione circa l’opportunità di ricorrere ai medesimi?”) del tutto inidoneo in quanto non ha alcuna pertinenza con la ratio decidendi della sentenza impugnata. Anche tale motivo deve quindi ritenersi inammissibile.
5. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con la conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in complessivi € 5.200,00 -di cui € 200,00 per esborsi- oltre accessori di legge.