CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 ottobre 2013, n. 22412
Licenziamento collettivo – Cessione del ramo d’azienda rimasto inattivo – Risarcimento del danno in capo al cedente – Liquidazione equitativa – Obbligo di ricollocamento in capo al cedente
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Macerata, D.P. conveniva in giudizio l’U. s.r.l., deducendo di aver lavorato alle sue dipendenze presso il punto vendita di Macerata dal 23 giugno 1980 al 31 gennaio 2004 con la qualifica di impiegata IV livello settore commercio. Deduceva altresì che la convenuta, nell’anno 2003, aveva avviato una procedura di mobilità (conclusasi col suo licenziamento) e che, con accordo sindacale del 7 aprile 2004, si era impegnata a consentire il riassorbimento di quattro lavoratori, tra cui la ricorrente, da parte del soggetto eventualmente successore nella titolarità dell’azienda cessata, o, in mancanza di subentro, alla ricollocazione dei lavoratori in nuove unità U., oppure in quelle già esistenti nella Regione Marche.
Esponeva la P. che, con successivo verbale di conciliazione in sede sindacale, ella aveva accettato il licenziamento, fermo restando quanto stabilito nel precedente accordo; che la B. s.r.l. aveva successivamente acquistato il ramo di azienda cessata dall’U., ma non aveva riassunto gli ex lavoratori della cedente in quanto non si era verificato il presupposto necessario della riattivazione del ramo di azienda ceduto, rimasto inattivo.
Lamentava la P. la violazione da parte dell’U. della legge n. 773/91, degli accordi sindacali e degli artt. 1775 e 1375 c.c., e rilevava che con la mancata ricollocazione presso la società subentrante o nelle sedi della stessa U., la convenuta si era resa inadempiente agli obblighi assunti e, peraltro, non aveva corrisposto l’importo pari ad Euro 1.755,00 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.
Chiedeva, pertanto, l’accertamento dell’inadempimento e la condanna dell’U. alla propria riassunzione, con facoltà di optare per le quindici mensilità della retribuzione globale di fatto”, come previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, con le conseguenze patrimoniali e contributive ivi previste.
La ricorrente chiedeva, inoltre, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni ulteriori cagionati dall’illegittimo comportamento, da quantificarsi equitativamente, ed al pagamento del riferito l’importo a titolo di indennità di mancato preavviso. La società U., costituendosi in giudizio, eccepiva: a) l’inefficacia dell’obbligo alla ricollocazione, in quanto tale obbligo era stato previsto a condizione che si verificasse la cessione del ramo di azienda ad altro soggetto o, in subordine, a condizione che si verificasse la riapertura di altre filiali nell’area maceratese ed, ancora in subordine, alla possibilità di ricollocazione in altre unità della Regione Marche; b) che la prima condizione cui l’obbligo di ricollocazione era stato subordinato si era verificata, in quanto altro soggetto era subentrato all’U. nella titolarità del ramo di azienda; c) che la B. s.r.l., cessionaria, si era assunta l’obbligo di ricollocare i lavoratori di cui all’accordo sindacale; d) che l’U. aveva ottenuto l’impegno della B. di riassumere i lavoratori, mentre la riassunzione non era effettivamente avvenuta solo a causa della circostanza oggettiva della mancata riattivazione del ramo di azienda acquisito; e) che nessun obbligo gravava più sull’U. a seguito della cessione, e comunque non erano stati aperti nella provincia di Macerata ulteriori punti vendita, con la conseguenza che non si era verificata neanche la condizione prevista al secondo punto dell’accordo; che non era possibile neanche la ricollocazione in altro punto vendita della Regione, essendo l’unico punto vendita di Ancona sottoposto a procedura di riduzione del personale; che, ove si fosse ravvisata nel caso di specie una promessa del fatto del terzo, l’U. avrebbe comunque adempiuto all’obbligo, attivandosi allo scopo di far riassorbire il personale dalla cessionaria ed ottenendo l’impegno della stessa in tal senso, non onorato in ragione della oggettiva mancata riattivazione del ramo di azienda. La resistente, che deduceva altresì la inapplicabilità della tutela prevista dall’art. 18 dello Statuto e la mancata prova del danno subito da parte della ricorrente, chiedeva dunque il rigetto delle domande formulate dalla P..
Il Tribunale di Macerata rigettava tutte le domande attoree, rilevando che le condizioni per la ricollocazione non si erano obiettivamente verificate e che la ricorrente non aveva fornito la prova del danno asseritamente subito.
Avverso tale sentenza proponeva appello la P..Resisteva la società U..
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata il 29 giugno 2010, in parziale accoglimento del gravame, condannava l’U. al pagamento in favore della P., dell’importo corrispondente a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria sino alla data della sentenza, equitativamente determinato a titolo di risarcimento del danno da inadempimento. Compensava per un quinto le spese del doppio grado, ponendo il residuo a carico dell’U.
Per la cassazione propone ricorso la P., affidato a due motivi.
Resiste la U. s.r.l. con controricorso contenente ricorso incidentale, parimenti affidato a due motivi, nonché la Rinascente/U. s.r.l. ed il Gruppo C. s.p.a. con controricorso.
Motivi della decisione
Debbono pregiudizialmente riunirsi i ricorsi proposti avverso la medesima sentenza, ex art. 335 c.p.c.
1.- Con il primo motivo la P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1372, 1362 e 1363 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).
Lamenta che la Corte di merito violò le regole di ermeneutica contrattuale soffermandosi solo sulla circostanza del se gli accordi contrattuali prevedessero o meno l’applicazione al caso di specie dell’art. 18 L. n. 300\70, esclusa dal giudice di appello per la pacifica circostanza dell’assenza di controversia in ordine alla legittimità ed efficacia del licenziamento irrogato alla P.. Quest’ultima si duole ancora che la terza clausola contenuta nell’accordo 26 gennaio 2004, stabiliva che: “si prevede in alternativa, nel caso in cui non fosse realizzabile quanto detto nel presente punto, comunque la ricollocazione, dopo li periodo di mobilità, nei negozi U. della provincia o regione Marche”, con la conseguenza che, qualora le altre condizioni non si fossero verificate, la ricorrente aveva comunque diritto ad essere riassunta dall’U., lamentando che in tal senso la Corte di merito avrebbe dovuto interpretare la clausola contrattuale in questione. Il motivo è infondato.
La stessa ricorrente rammenta che l’accordo prevedeva che nell’ipotesi in esame, era prevista, sostanzialmente in subordine nel caso in cui non fosse realizzabile quanto precedentemente detto”, pag. 21 ricorso), la ricollocazione, dopo il periodo di mobilità, nei negozi U. della provincia o regione Marche. La Corte di merito ha tuttavia accertato che l’U. si rese inadempiente rispetto all’obbligo (principale) di adoperarsi al fine di consentire alla P. di riacquistare un posto di lavoro (possibile) attraverso il cessionario del ramo di azienda, escludendo così l’obbligo di cui alla terza subordinata clausola di cui all’accordo in questione (che presupponeva l’impossibilità delle precedenti ipotesi). Per tale ragione ha condannato la società al risarcimento del danno in dispositivo quantificato.
In effetti la stessa ricorrente si concentra unicamente sull’obbligo residuale dell’U. alla riassunzione, evidenziandone peraltro l’aspetto risarcitorio, senza adeguatamente considerare e contestare che tale obbligo era subordinato all’impossibilità della realizzazione delle due ipotesi precedenti, e comunque non indicando in quale sede U., che ne ha sempre negato l’oggettiva possibilità (sia per non essere stati aperti nella provincia di Macerata ulteriori punti vendita, sia in quanto l’unico punto vendita di Ancona era sottoposto a procedura di riduzione del personale), ella avrebbe potuto essere ricollocata.
Al riguardo ben può farsi applicazione del principio, più volte affermato da questa S.C. in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, secondo cui il lavoratore, pur non essendo gravato di uno specifico onere probatorio, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione della concreta possibilità di reimpiego (Cass. n. 3040VL1; n. 6559\10; n. 4068\08, etc).
La ricorrente sembra infine lamentare la misura del risarcimento del danno stabilita dal giudice d’appello, di cui al motivo che segue.
2. Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).
Lamenta che il risarcimento equitativo del danno, operato dalla Corte di merito, può essere utilizzato dal giudice a condizione che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile la prova del danno nel suo preciso ammontare, e che inoltre il giudice dia conto dei criteri seguiti per la sua quantificazione.
Si duole che la Corte di merito, pur avendo accertato l’esistenza del danno subito dalla lavoratrice a causa del colpevole inadempimento all’obbligo di ricollocazione, avesse poi senza alcuna logica ragione, liquidato tale danno nella misura di quindici mensilità, senza adeguatamente motivare al riguardo.
Anche tale motivo risulta infondato.
Ed invero la ricorrente non tiene conto, al di là dei principi generali richiamati, che l’onere della prova dell’entità del danno grava sulla lavoratrice, onere che risulta totalmente inadempiuto, né, in contrasto col principio dell’autosufficienza, viene chiarito per quale ragione la quantificazione operata dal giudice di appello sarebbe erronea per difetto.
3. Con il primo motivo del ricorso incidentale, la società U. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e seguenti c.c., in relazione al punto 4 dell’accordo sindacale 7 gennaio 2004 ed al verbale di conciliazione del 26 gennaio 2004. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi in relazione all’art. 2697 c.c., oltre ad erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.).
Lamenta che la Corte di merito ritenne, erroneamente interpretando i canoni di ermeneutica contrattuale, che dal menzionato punto 4 dell’accordo derivasse un obbligo dell’U. ad imporre alla società cessionaria B. l’assunzione. Lamenta ancora che il giudice di appello, ritenne erroneamente l’U. inadempiente rispetto all’obbligo di consentire alla P. di recuperare il proprio posto di lavoro, gravando erroneamente l’U. di un insussistente onere probatorio circa un fatto rientrante nella sfera giuridica di altro soggetto (la società B.), senza considerare che qualunque obbligazione si estingue, ex art. 1256 c.c., laddove per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Si duole inoltre che la Corte di merito non valutò adeguatamente la menzionata conciliazione sindacale del 26 gennaio 2004, con la quale costei, a fronte della corresponsione della somma ivi indicata, “rinunciava a qualsiasi pretesa che possa trovare origine e\o fondamento a qualsiasi titolo legale e\o contrattuale di risarcimento danni”.
Il motivo è infondato.
Premesso che nella specie non si versa, e comunque non risulta adeguatamente dedotta e tanto meno provata, in ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, e che ben può configurarsi un’obbligazione nei confronti dì un terzo, la Corte d’appello ha evidenziato che la somma percepita in sede di conciliazione sindacale del 26 gennaio 2004, ineriva, accettazione del licenziamento da parte dell’U. e non già i danni derivanti dalla successiva mancata ricollocazione al lavoro, obbligo gravante direttamente sulla società U..
4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale l’U. denuncia la violazione dell’art. 12 delle preleggi in relazione agli artt. 112, 346 e 329 c.p.c., oltre ad erronea ed insufficiente motivazione ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
Lamenta che la P., in appello, lungi dal reiterare tutte le domande formulate in primo grado, chiese esclusivamente l’applicazione dell’art. 18 L. n. 300\70 e non già i diversi danni riconosciuti dal giudice di primo grado, con la conseguenza che il giudice d’appello, riconoscendo questi ultimi, aveva violato il disposto di cui all’art. 112 c.p.c.
Il motivo è inammissibile.
Ed invero l’U. non chiarisce il contenuto dell’atto di appello della P., risultando peraltro dalla sentenza impugnata che essa richiese il risarcimento del danno correlato alla mancata riassunzione (ciò che già esclude, come sopra rammentato, l’applicazione della norma statutaria).
Deve al riguardo notarsi che in caso di denunciato error in procedendo la S.C. è giudice anche del fatto processuale, alla condizione, tuttavia, che la censura sia stata proposta in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (cfr. per tutte, Cass. sez.un. 22 maggio 2012 n. 8077).
Ad analoghe conclusioni deve giungersi quanto al denunciato vizio di motivazione, non munito, in contrasto col principio di autosufficienza, di specifiche critiche alla motivazione censurata e pertanto alle ragioni per cui essa sarebbe erronea.
5. I ricorsi debbono pertanto rigettarsi.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa tra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
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