CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 ottobre 2013, n. 22724
Previdenza e assistenza – Contributi assicurativi – Omesso versamento – Verbale ispettivo – Autonoma impugnabilità – Obbligo di motivazione – Necessità
Svolgimento del processo
1.- La sentenza attualmente impugnata accoglie, per quanto di ragione, l’appello di D. G.; titolare dell’omonima ditta individuale, avverso la sentenza di Tribunale di Matera n. 258/09 dell’11 marzo 2009 e, pertanto: 1) in riforma di quest’ultima sentenza, accerta l’insussistenza del credito INAIL, in relazione all’omessa denuncia di dipendenti; 2) compensa per un terzo le spese del doppio grado di merito, ponendo i residui due terzi a carico dell’INAIL e a favore del G..
La Corte d’appello di Potenza, per quel che qui interessa, precisa che:
a) deve essere respinto il motivo di appello con il quale il G. contesta la decisione del primo giudice di respingere la propria eccezione di nullità del verbale di accertamento dell’INAIL per genericità e difetto di motivazione;
b) infatti, l’atto di cui si tratta – che, pur essendo autonomamente impugnabile (ex art. 24 della legge n. 46 del 1999, recte: del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46) è tuttavia un atto prodromico ad una ulteriore iniziativa officiosa – contiene, nella specie, la descrizione delle infrazioni accertate, gli specifici riferimenti testuali alle singole posizioni assicurative dei diversi dipendenti, ai periodi di competenza, alla natura della pretesa dell’Istituto;
c) comunque, se il debitore sceglie di anticipare la propria tutela chiedendo al giudice un accertamento negativo del proprio inadempimento impugnando, in prevenzione, il suindicato verbale, senza attendere il provvedimento esecutivo, non può avvalersi della più vantaggiosa posizione processuale attribuita al destinatario di una ordinanza-ingiunzione o di un decreto ingiuntivo o anche di una cartella esattoriale;
d) in ogni caso, la censura di nullità è del tutto generica, in quanto, a fronte della specificità dei fatti descritti, il G. non evidenzia altrettanto specifici profili di vizio, ma si limita a richiamare la giurisprudenza sui limiti probatori del verbale ispettivo;
e) è infondato anche il profilo di censura con cui si deduce l’illegittimità del verbale in oggetto per violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 13 del d.m. 18 giugno 1988;
f) infatti, il suddetto art. 13 si applica soltanto al provvedimento di mutamento della classificazione, che è una “manifestazione di volontà” ed è quindi un provvedimento della PA, cui è connaturale l’obbligo di motivazione;
g) il verbale di accertamento, invece, deve solo “contenere la contestazione relativa al rilievo accertato, ma non le ragioni di fatto e di diritto”, poste a base della contestazione stessa;
h) infondata è altresì la censura con cui si contesta la classificazione effettuata dagli ispettori delle opere realizzate dalla ditta G. in Metaponto Lido, con la relativa riconduzione alla voce 3321 della tariffa di cui al d.m. cit, anziché alla voce 3322, cui ha fatto riferimento l’interessato, insistendo sulla “non prevalenza” delle opere di cemento armato, rispetto al complesso dei lavori eseguiti;
i) i rilievi del G. non sono conferenti perché non sono le opere in cemento armato a caratterizzare la lavorazione, ma l’intero intervento, che ha comportato la realizzazione di opere in superficie e in scavo, strade e pavimentazione di impianti e strutture;
1) è anche da respingere il motivo di censura del G., riguardante la conferma del credito INAIL per omessa contribuzione in relazione alle “retribuzioni virtuali” ;
m) l’accertamento dell’INAIL su ore di lavoro effettivamente prestate e non retribuite, sia per ferie e permessi, sia per lo straordinario, è stato effettuato dagli ispettori all’esito della diretta percezione della documentazione aziendale;
n) ne consegue che nel verbale non sono contenute sul punto “valutazioni o dichiarazioni raccolte” dagli ispettori, ma dati risultanti all’esito dell’eseguita verifica documentale, sicché il verbale di accertamento fa piena prova delle infrazioni fino a querela di falso;
o) pertanto, esattamente il primo giudice ha attribuito al debitore l’onere di provare il fatto impeditivo del credito azionato, cioè, da un lato, l’effettivo godimento del diritto a ferie e permessi e, dall’altro lato, l’effettiva mancata effettuazione dello straordinario;
p) il G., invece, da un lato, si è limitato a depositare un prospetto che dimostra soltanto l’astratta fruibilità del diritto a ferie e permessi, e, dall’altro, anziché provare, attraverso il deposito dei documenti aziendali, che la indicata percezione degli ispettori sul lavoro straordinario era erronea, ha deciso di avvalersi della prova testimoniale dei dipendenti (che hanno negato di avere svolto lavoro straordinario), la quale “non si sottrae alla censura di genericità”;
q) in sintesi l’appello del G. va accolto parzialmente – cioè solo in riferimento alla rilevata insussistenza di una interposizione dì manodopera vietata tra la Oliviero Costruzioni s.r.l. e la ditta individuale G. – e a ciò consegue la “parziale compensazione delle spese, che seguono per il resto la soccombenza dell’Istituto”.
2.- Il ricorso di Cosimo Damiano G. domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso, l’INAIL, che propone, a sua volta, ricorso incidentale, volto a censurare il capo della sentenza relativo alle spese processuali.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere disposta la riunione del ricorsi, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
I – Sintesi dei motivi del ricorso principale
1- Con il primo motivo si denunciano: 1) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e ss. d.P.R. n. 1124 del 1965, dell’art. 13 del d.m. 18 giugno 1988 e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; 2) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., illogica, insufficiente, fuorviante e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi del giudizio.
Si sottolinea che nel verbale di accertamento degli ispettori dell’INAlL datato 21 luglio 2000 (di cui si riporta il testo) del tutto immotivatamente si è ritenuto di fare rientrare nella voce della tariffa 3321 – anziché nella voce 3322, in riferimento alla quale la ditta G. aveva assolto al proprio obbligo contributivo – i lavori qualificati come “realizzazione di un sistema di parcheggi in Metaponto Lido”, senza dare alcuna spiegazione in merito a tale qualificazione.
Si ricorda che interessato ha contestato l’addebito vuoi dal punto di vista formale – per totale carenza di motivazione in contrasto sia con l’art. 3 della legge n. 241 del 1990 sia dell’art. 13 del d.m. cit. – vuoi dal punto di vista sostanziale, per l’erroneità dell’applicazione della voce 3321 della tariffa al posto della voce 3322.
La Corte potentina ha respinto entrambi i profili di censura con motivazione poco chiara e illogica, basata sull’assunto secondo cui l’obbligo di motivazione, connaturale ad ogni provvedimento della PA, non riguarda il verbale di accertamento, che deve contenere solo “la contestazione relativa al rilievo accertato, ma non l’esplicazione delle ragioni di fatto e di diritto”.
Si rileva, al riguardo, che il verbale ispettivo in oggetto è un atto amministrativo sottoposto alla normativa propria di tale tipo di atti e che, comunque, l’art. 13 del d.m. cit. non esclude che la “rettifica” o il “mutamento” di classificazione possano essere disposti – come è avvenuto nella specie – con il verbale ispettivo, il quale quindi deve essere, in tal caso, congruamente motivato in rapporto al disposto mutamento di classificazione, incidente sulla posizione soggettiva del debitore ai fini del pagamento del premio INAIL.
Del resto, lo stesso art. 13 non prevede una elencazione degli atti attraverso i quali può essere comunicato all’interessato il mutamento di classificazione, ma stabilisce, in via generale che l’INAIL, dopo aver accertato “in qualsiasi momento” che la classificazione e la relativa tassazione applicate sono errate, “procede alle necessarie rettifiche, dandone comunicazione al datore di lavoro con provvedimento adeguatamente motivato”.
Nella specie non è stata effettuata alcuna comunicazione né l’atto che ha disposto il mutamento di classificazione conteneva alcuna motivazione sul punto.
Peraltro, anche la giurisprudenza di legittimità si è ripetutamente espressa nel senso della necessità, da parte dell’INAIL, di effettuare la suddetta comunicazione e di dotare il provvedimento di riclassificazione – nella presente vicenda rappresentato unicamente dal verbale ispettivo in oggetto – di un’adeguata motivazione al pari dì tutti gli atti amministrativi esplicanti direttamente efficacia nei confronti dei terzi, secondo quanto espressamente stabilito dall’art. 3 della legge n.241 del 1990.
Ne consegue che la decisione al riguardo della Corte territoriale, oltre ad essere del tutto contraddittoria, si pone anche in contrasto con la suddetta giurisprudenza.
Né appare da censurare il fatto che la ditta G. abbia immediatamente impugnato il verbale in argomento, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 46 del 1999, al fine di evitare il consolidamento di una situazione soggettiva del tutto sfavorevole.
2.- Con il secondo motivo si denunciano: 1) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 40 del d.P.R. n. 1124 del 1965 e del d.m. 18 giugno 2010 (recte: 18 giugno 1988) (nella parte relativa all’erronea classificazione, ai fini del pagamento del premio INAIL, dei lavori effettuati dal ricorrente nella voce 3321 anziché nella voce 3322 del Grande Gruppo 3 – Costruzioni edili) nonché dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.; 2) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., illogica, insufficiente, fuorviante e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi del giudizio.
Si sottolinea che la Corte potentina ha respinto il motivo di appello riguardante l’erronea classificazione suindicata senza procedere ad alcuna comparazione tra le due voci contributive in argomento e sulle lavorazioni da inserire rispettivamente in esse, sulla base della documentazione esibita dalle parti e delle risultanze delle prove testimoniali.
In particolare, la Corte territoriale non ha considerato che i lavori compresi nella voce 3322 del d.m. 18 giugno 1988 sono proprio quelli indicati nell’art. 2 del contratto e capitolato di appalto con riferimento alla “realizzazione di un sistema di parcheggi a Metaponto Lido” (nel periodo 1 gennaio 1998-31 dicembre 1999), mentre nella voce 3321 della tariffa sono comprese lavorazioni diverse, di maggiore spessore strutturale che la ditta G. non ha mai eseguito e che l’INAIL non ha mai provato in giudizio che siano stati svolti in prevalenza dal ricorrente stesso, come del resto confermato dai testi escussi.
Né va omesso di rilevare che nella tariffa di cui al d.m. 12 dicembre 2000 è stata fornita una chiara esplicitazione delle lavorazioni ivi comprese, con l’elencazione dei seguenti lavori: “opere interessanti la sovrastruttura stradale: massicciate, strati di sottofondazione, di fondazione, pavimentazioni e manto di usura; stabilizzazione, trattamenti e tappeti; aree parcheggio, rivestimenti sperimentali; marciapiedi e opere minori (banchine, parapetti, ecc.)”, cioè includendo in tale voce proprio i lavori effettuati in via prevalente ed assorbente dalla ditta G. nella specie.
3.- Con il terzo motivo si denunciano: 1) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d.l. n. 244 del 1995, convertito dalla legge n. 341 del 1995 nonché, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su un punto controverso rappresentato dal rigetto della censura riguardante il credito INAIL per omessa contribuzione sulle “retribuzioni virtuali”; 2) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 cod. civ, e degli artt. 115, 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. nonché, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi del giudizio.
In merito alla suindicata statuizione sulla contribuzione per le “retribuzioni virtuali”, il ricorrente sostiene che la Corte potentina sia incorsa nel seguente “duplice errore interpretativo e applicativo”: 1) assimilazione delle due diverse e distinte pretese contributive, rispettivamente riguardanti da un lato le ed. retribuzioni – o meglio contribuzioni – “virtuali” di cui all’art. 29 del d.l. n. 244 del 1995 cit. e dall’altro le presunte ore di lavoro straordinario non retribuite; 2) affermazione secondo cui l’accertamento sulla omessa contribuzione INAIL sulle ore di lavoro effettivamente prestate e non retribuite sia stato effettuato dagli ispettori all’esito della diretta percezione della documentazione aziendale, sicché il verbale ispettivo avrebbe al riguardo pieno valore probatorio.
A tale ultimo riguardo si sottolinea che nel verbale stesso non vi è alcuna esplicitazione delle modalità con le quali la predetta rilevazione sulla documentazione aziendale sarebbe stata eseguita al fine di pervenire alle disposte conclusioni sanzionatorie, sicché il verbale non potrebbe essere fornito sul punto di alcuna “fede privilegiata”. Infatti, essendo il richiamo in esso contenuto allo “esame della documentazione aziendale” del tutto privo delle doverose esplicitazioni, in realtà esso sarebbe il frutto di “valutazioni e convinzioni personali e soggettive” degli ispettori e come tale sfornito di rilevanza probatoria.
Quanto, poi, alla distribuzione dell’onere probatorio, il ricorrente sottolinea di aver esibito in giudizio un prospetto dimostrativo che – diversamente da quanto affermato dalla Corte potentina -contiene l’elencazione nominativa, analitica e specifica delle posizioni personali di ciascun lavoratore e non una prospettazione meramente astratta.
Il contenuto di tale prospetto, mai contestato dall’INAIL, ha ricevuto conferma dalle prove testimoniali e è del tutto coerente con quanto indicato nel libro paga e nel libro presenze della ditta.
Ne consegue che tale documentazione non avrebbe dovuto essere ignorata dalla Corte d’appello, tanto più che, in base ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che la sussistenza del “credito contributivo” di un istituto previdenziale, “preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall’Istituto con riguardo ai fatti costitutivi rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria” (si cita, fra le altre, Cass. 18 maggio 2010, n. 12108).
Anche sul punto, quindi, la Corte potentina si è discostata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, attribuendo tout court fede privilegiata al verbale ispettivo – che nulla poteva provare, per quel che si è detto – ed effettuando un’illegittima e arbitraria inversione dell’onere della prova, in contrasto con i principi fondamentali che regolano il processo, a partire dal principio della parità delle parti, di cui all’art. 111 Cost.
4.- Con il quarto motivo si denunciano: 1) in relazione all’art. 360, n, 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115, 116 cod. proc. civ.; 2) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ,, insufficiente, travisata, illogica, apparente e contraddittoria motivazione in merito all’addebito contributivo relativo alle presunte ore di lavoro straordinario dei dipendenti della ditta ricorrente.
Si rileva che la Corte potentina ha respinto la censura del G., riguardante la conferma del credito INAIL per omessa contribuzione in relazione alle ore di straordinario prestate e non assoggettate a contribuzione affermando che il relativo l’accertamento dell’INAIL sarebbe stato effettuato dagli ispettori all’esito della diretta percezione della documentazione aziendale.
Tale “fantasiosa” statuizione, sarebbe del tutto viziata in quanto non corrispondente alla realtà documentale e processuale.
Infatti, come si legge nello stesso verbale in oggetto, la relativa contestazione è stata effettuata dagli ispettori principalmente sulla base delle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori, non confermate in giudizio in sede di prova testimoniale e, come tali, prive di valore probatorio, secondo la giurisprudenza di legittimità, la quale, con costante orientamento, afferma che alle dichiarazioni riportate nei verbali ispettivi come rese dai lavoratori dipendenti dall’azienda, cui si riferisce un verbale ispettivo di un Istituto previdenziale, non hanno valore probatorio decisivo in sé, secondo il regime delle prove delineato dal nostro ordinamento.
Peraltro, nella specie, le dichiarazioni dei lavoratori raccolte a verbale erano di segno opposto rispetto alle conclusioni che ne hanno tratto gli ispettori e concordavano, invece, con la documentazione depositata in giudizio dalla ditta.
In questa situazione, la Corte d’appello ha ritenuto di confermare l’addebito contributivo basandosi su un laconico riferimento all’effettuato “esame della documentazione aziendale”, sfornito di ogni specificazione e smentito dalle altre prove raccolte.
II — Sintesi del ricorso incidentale
5.- Con il ricorso incidentale l’INAIL sostiene che la Corte territoriale abbia motivato in modo inadeguato e irragionevole la statuizione con la quale ha posto a carico dell’Istituto due terzi delle spese giudiziali del doppio grado di merito, compensando tra le parti il residuo terzo, benché la soccombenza dell’Istituto sia stata minima, avendo riguardato solo uno dei cinque motivi di appello proposti dalla controparte.
Per le suddette ragioni l’Istituto chiede a questa Corte di modificare la suddetta decisione, disponendo la totale compensazione, tra le parti, delle spese del doppio grado di merito.
III – Esame delle censure
6.- I primi due motivi del ricorso principale – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
Le censure proposte con i suddetti motivi si incentrano sulle statuizioni della sentenza impugnata relative a: a) la negazione dell’obbligo di motivazione del verbale di accertamento ispettivo dell’INAIL; b) la conferma della classificazione delle lavorazioni effettuate dal ricorrente da parte degli ispettori dell’INAIL nella voce 3321 della tariffa di cui al d.m. 18 giugno 1988, anziché nella voce 3322, cui aveva fatto riferimento l’interessato ai finì del pagamento dei contributi INAIL.
6.1.- Per quel che riguarda l’obbligo di motivazione del verbale di accertamento ispettivo, va osservato che la Corte d’appello, pur muovendo dall’esatta premessa secondo cui il verbale in oggetto è un “provvedimento”, come tale autonomamente impugnabile ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, tuttavia non ha tratto da questa premessa esatte conseguenze.
La Corte potentina, infatti, sostiene, in parte anche contraddittoriamente rispetto alla suindicata premessa, che: 1) l’atto di cui si tratta è un atto prodromico rispetto ad una ulteriore iniziativa officiosa, sicché se il debitore sceglie di anticipare la propria tutela chiedendo al giudice un accertamento negativo del proprio inadempimento impugnando, in prevenzione, il suindicato verbale, senza attendere il provvedimento esecutivo, non può avvalersi della più vantaggiosa posizione processuale attribuita al destinatario di una ordinanza-ingiunzione o di un decreto ingiuntivo o anche di una cartella esattoriale; 2) comunque, al verbale stesso non si applica l’art. 13 del d.m. 18 giugno 1988, prevedente l’obbligo di motivazione, perché tale disposizione concerne solo il provvedimento di mutamento della classificazione – che è una “manifestazione di volontà” ed è quindi un provvedimento della PA cui è connaturale l’obbligo di motivazione – mentre il verbale di accertamento, deve solo “contenere la contestazione relativa al rilievo accertato, ma non le ragioni di fatto e di diritto”, poste a base della contestazione stessa.
6.2.- Le suddette statuizioni non sono condivisibili.
6.2.1.- In primo luogo, si deve osservare che dal combinato disposto dell’art. 24, comma 3, e dell’art. 25, comma 1, del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 si desume che il debitore-datore di lavoro ha un interesse qualificato ad impugnare in sede giudiziaria l’atto di accertamento amministrativo dell’Istituto previdenziale, relativo a contributi o premi non versati, in quanto tale impugnativa produce l’effetto di inibire l’iscrizione a ruolo del credito dell’ente previdenziale, che verrà eseguita solo “in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”, pur non producendosi, simmetricamente, alcuna decadenza per l’ente previdenziale sino al 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui il provvedimento giudiziale è divenuto definitivo, ai sensi dell’art. 25, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 46 del 1999 cit (vedi, per tutte: Cass. 14 ottobre 2009, n. 21791).
Ne consegue che – diversamente da quel che avviene nel caso di impugnativa dell’atto di accertamento in sede amministrativa, per il quale ai sensi del comma 4 dell’art. 24 cit, l’iscrizione a ruolo deve avvenire comunque, a pena di decadenza, entro i termini previsti dall’indicato art. 25, comma 1, restando originariamente in capo all’ente solo la facoltà di sospendere, con provvedimento motivato, la riscossione, facoltà soppressa, con la decorrenza ivi stabilita, dall’ arre. 30, comma 10, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 – nel caso di impugnazione in sede giudiziaria (quale è la presente) il legislatore prevede una normativa che appare finalizzata a favorire la scelta del contribuente “di anticipare la propria tutela giurisdizionale”, anche nell’ottica di razionalizzare le iniziative di tipo giudiziario, riducendone i costi anche per gli enti previdenziali, senza peraltro pregiudicarne la possibilità di iscrivere a ruolo i propri crediti, sia pure dopo la valutazione delle relative pretese – al momento dell’emissione dell’atto di accertamento non ancora definitive, in sede amministrativa – da parte dell’autorità giudiziaria.
È, quindi, evidente che, se il debitore decide di effettuare la suddetta impugnazione in sede giudiziaria dell’atto di accertamento in oggetto il suo diritto difesa, ai sensi dell’art. 24 Cost., deve essere adeguatamente garantito, nel senso che deve essere posto in condizioni di conoscere le ragioni dell’accertamento in modo tale da poter apprestare specifiche e puntuali contestazioni.
6.2.2.- Per quel che riguarda l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi in generale, in base a consolidati e condivisi orientamenti della giurisprudenza di questa Corte e della giurisprudenza amministrativa:
a) la motivazione – che, dal punto di vista formale, deve essere considerata come un requisito di legittimità del provvedimento amministrativo – dal punto di vista sostanziale è un requisito posto a garanzia del diritto di difesa, il comporta che la valutazione dell’entità e della struttura della motivazione necessaria al suddetto ultimo fine deve essere effettuata, caso per caso, senza formalismi, nel contesto complessivo del procedimento, nell’ambito del quale si devono collocare, logicamente e giuridicamente, tutti i presupposti – intesi come fatti storici – che hanno presidiato fattività procedimentale e che erano comunque storicamente conosciuti dall’interessato nell’ambito di un rapporto di causa-effetto (vedi per tutte: Cons. Stato 9 ottobre 2012, sez. IV, n. 5257);
b) in particolare, la sufficienza del corredo motivazionale è un aspetto dell’atto amministrativo che va valutato caso per caso, non essendo possibile riferirsi ad uno schema rigido, fisso ed immutabile, adottando il quale può dirsi assolto, da parte dell1 Amministrazione, l’onere della motivazione. Infatti, la profondità dell’impianto giustificativo varia in ragione del variare degli effetti dell’atto, dei suoi destinatari e dell’incidenza dell’interesse pubblico perseguito sugli interessi privati. Tuttavia, ciò da cui non si può prescindere perché un provvedimento impugnato resista alle censure concernenti la parte motiva è che siano palesate le ragioni giustificatrici della decisione assunta in concreto, non potendo la motivazione esaurirsi in mere enunciazioni generiche (TAR Campania, Napoli, sez. I, 4 dicembre 2012, n. 4889).
Ne risulta smentito, quindi, l’assunto della Corte territoriale, secondo cui la motivazione del provvedimento amministrativo consisterebbe sempre nell’esposizione delle “ragioni di fatto e di diritto poste a base del provvedimento” stesso, tesi che, fra l’altro, porterebbe ad una inedita equiparazione della motivazione degli atti amministrativi rispetto a quella dei provvedimenti giurisdizionali di tipo decisorio.
La valutazione “calibrata” della motivazione comporta che il difetto di motivazione assume rilievo quando – menomando in concreto i diritti del cittadino ad un comprensibile esercizio dell’azione amministrativa – costituisce un indizio sintomaticamente rivelatore del mancato rispetto dei canoni di imparzialità e di trasparenza, di logica, di coerenza interna e di razionalità; ovvero appaia diretto a nascondere un errore nella valutazione dei presupposti del provvedimento (vedi tra le altre: Cons. Stato 9 ottobre 2012, sez. IV, n. 5257). Ma tale valutazione prescinde dalla lunghezza della motivazione, che può anche essere succinta, se sia sufficiente a consentire al destinatario dell’atto amministrativo di ricostruire esattamente l’iter logico seguito dalla PA procedente. Tanto più che la congruità della motivazione non può valutarsi in astratto, esigendo piuttosto una verifica da compiersi volta per volta e, specialmente, da calibrare in relazione alle peculiari caratteristiche del singolo provvedimento emanato (mutando sensibilmente l’obbligo di motivazione, a seconda della natura vincolata, o no, dell’atto finale del procedimento), delle particolari circostanze della vicenda amministrativa su cui esso incide e dei “fatti” pienamente conosciuti sia dal destinatario dell’atto sia dall’amministrazione adottante, in ordine ai quali non s’impone quindi un onere di puntuale indicazione (Cons. Stato, sez. V, 11 novembre 2005, n. 6347).
6.2.3.- Gli stessi principi si applicano anche ai verbali ispettivi degli Istituti previdenziali, la cui motivazione deve essere, di volta in volta, “calibrata” in modo tale da assicurare il rispetto del diritto di difesa del destinatario, cui si collegano i canoni di imparzialità e trasparenza della PA, sanciti dall’art. 97 Cost.
Al riguardo, nella giurisprudenza di questa Corte è stato condivisibilmente affermato che dall’art. 13 del d.m. 18 giugno 1988 cit. si desume che l’adeguata motivazione del provvedimento di riclassificazione INAIL è espressione di un principio generale valido per tutti gli atti amministrativi esplicanti direttamente efficacia nei confronti dei terzi, secondo quanto espressamente stabilito dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (Cass. 26 settembre 1998 n. 9660; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12754; Cass. 13 giugno 2011, n. 12916).
Tale principio, ovviamente, trova applicazione anche quando – come accade nella specie – la riclassificazione è contenuta in un verbale di accertamento, dovendosi considerare al riguardo superato l’orientamento espresso – prima dell’entrata in vigore dell’art. 24 del d.lgs. n. 46 del 1999 – da Cass. 20 aprile 1993, n. 4597, secondo cui “ai fini dell’accertamento dell’omesso versamento dei contributi dell’assicurazione obbligatoria, i risultati delle indagini e dei controlli espletati dall’Ispettorato del lavoro si configurano come atti interni del procedimento per la contestazione dell’infrazione e la richiesta di adempimento dell’obbligo da parte degli istituti previdenziali, e non sono soggetti ad alcuna particolare formalità; queste sono prescritte solo per il verbale di addebito notificato dai predetti istituti, che per la sua natura di atto esterno e per il suo contenuto deve rispondere, come tutti gli atti amministrativi esplicanti direttamente efficacia nei confronti dei terzi, all’esigenza generale di motivazione riconosciuta dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241”.
Ne consegue che, nella specie, non si può dubitare del fatto che il verbale ispettivo di cui si tratta sul punto relativo alla “rettifica” della classificazione dei lavori di “realizzazione di aree di parcheggio” svolti dal ricorrente dalla voce 3322 della Tariffa (sulla cui base il G. aveva pagato i contributi) alla voce 3321, avrebbe dovuto essere motivato in modo adeguato a garantire l’esercizio del diritto di difesa del destinatario, anche nella fase dì immediata impugnazione dell’atto, ai sensi dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 46 del 1999.
Tanto più che si deve considerare del tutto irrilevante – dal suddetto punto di vista – la facoltatività della proposizione di tale impugnazione anticipata, in quanto come di recente affermato dalla Corte costituzionale, “rientra, senza dubbio, nella discrezionalità del legislatore organizzare la disciplina del processo e conformare gli istituti processuali” (ex plurimis: Corte cost. sentenze n. 17 del 2011; n. 230 e n. 50 del 2010, “tuttavia, una volta che tale discrezionalità sia stata esercitata e l’istituto, o gli istituti, siano stati introdotti nell’ordinamento, è anche necessario assicurarne la conformità alla Costituzione, a prescindere dal carattere, facoltativo o meno, della tutela giurisdizionale ad essi affidata” (Corte cost sent. n. 119 del 2013).
6.3.- Del pari non condivisibile è la conferma, disposta da parte della Corte d’appello, della “rettifica” della classificazione dei lavori di “realizzazione di un sistema dì parcheggi a Metaponto Lido” (svolti dal ricorrente nel periodo 1 gennaio 1998-31 dicembre 1999), nel senso di includerli nella voce 3321 della tariffa di cui al d.m. 18 giugno 1988, anziché nella voce 3322 (del Gruppo 3 – Costruzioni edili), cui aveva fatto riferimento l’interessato ai fini del pagamento del premio INAIL.
Va, infatti, sottolineato al riguardo che la Corte potentina è pervenuta alla suddetta conclusione senza procedere ad alcuna comparazione tra le due voci contributive in contestazione e tra le lavorazioni da inserire rispettivamente in esse, ma limitandosi a considerare non conferenti le argomentazioni dell’assicurato sulla “non prevalenza” delle opere di cemento armato, rispetto al complesso dei lavori eseguiti e rilevando che la lavorazione di cui si tratta era da classificare tenendo conto dell’intervento effettuato nel suo complesso, caratterizzato dalla realizzazione di opere in superficie e in scavo, strade e pavimentazione di impianti e strutture.
Viceversa, la Corte d’appello avrebbe dovuto analizzare attentamente le due suddette voci e, a questo fine, avrebbe altresì dovuto prendere in considerazione le “Istruzioni tecniche” dell’INAIL alla tariffa del 2000 (operativa dal 1° gennaio 2000), dalle quali testualmente risulta che, nell’ambito del Grande Gruppo 3, “alla voce 3322 è stato dato un carattere di maggiore generalità sintetizzando la dizione ed eliminando alcune esemplificazioni,- sono state inoltre inserite alcune lavorazioni, quali la realizzazione di aree parcheggio e di opere minori (banchine, parapetti, ecc.), che in passato avevano posto problemi di uniformità classificativa”.
Ne consegue che, nella tariffa del 2000, la voce 3322 comprende – come sottolinea anche il ricorrente – “opere interessanti la sovrastruttura stradale: massicciate, strati di sottofondazione, di fondazione, pavimentazioni e manto di usura; stabilizzazione, trattamenti e tappeti; aree parcheggio, rivestimenti sperimentali; marciapiedi e opere minori (banchine, parapetti, ecc.)”, che sono pacificamente quelle svolte dal G., come risulta anche dalla sentenza impugnata.
È vero che tale ultima tariffa, contenente la suddetta modifica della voce 3322 – di grande rilievo nel presente giudizio – è stata approvata con d.m. 12 dicembre 2000, sulla base del d.lgs. 23 febbraio 200, n. 38 ed è stata dichiarata operativa dal 1° gennaio 2000 ed è anche indubitabile che dalla relativa normativa transitoria risulta che la tariffa del 2000 è stata concepita per essere applicata solo prò futuro, ma ciononostante la suindicata disposizione modificativa e chiarificativa può essere utilizzata per la definizione della presente controversia (arg. ex Cass. SU, 11 giugno 2001 n.7853).
Va, infatti, considerato che discutendosi, nella specie, della classificazione dei lavori dì realizzazione di una area di parcheggio (con le annesse opere di costruzione di banchine, parapetti, ecc.), pur se svolti in un periodo antecedente l’entrata in vigore della tariffa del 2000, nella valutazione del provvedimento dì rettifica o di riclassificazione (emesso, peraltro, quando la nuova tariffa era già operativa da molti mesi) non si poteva non prendere in considerazione il fatto che lostesso INAIL aveva deciso di inserire le anzidette lavorazioni nella voce 3322 (cui aveva fatto riferimento il ricorrente per pagare i premi), sul rilievo che si trattava di lavorazioni che “in passato avevano posto problemi di uniformità classificativa”.
Pertanto, non è corretta la statuizione della Corte d’appello in merito all’esattezza della classificazione dei lavori in argomento nella voce 3321 della tariffa di cui si tratta, né è plausibile ed esaustiva la relativa motivazione.
7.- Il terzo e il quarto motivo del ricorso – anch’essi da esaminare insieme, data la loro intima connessione – devono essere, invece, respinti.
7.1.- Nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nelle intestazioni di entrambi i suddetti motivi, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicché la violazione degli artt, 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n, 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).
Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
7.2.- Peraltro, le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello – all’esito di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, secongruamente motivato, come accade nella specie – risultano anche conformi agli orientamenti consolidati e condivisi di questa Corte in materia del valore probatorio dei verbali redatti dal pubblico ufficiale incaricato delle ispezioni circa l’adempimento degli obblighi contributivi.
Tali orientamenti si possono sintetizzare come segue: i suindicati verbali ispettivi possono assumere un valore probatorio disomogeneo, che si risolve in un triplice livello di attendibilità: 1) il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; 2) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; 3) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi,ai fini della decisione dell’opposizione proposta dal trasgressore, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dall’ufficiale giudiziario (Cass. 20 marzo 2007, n. 6565; e, in senso conforme: Cass, 27 ottobre 2008, n. 25842; Cass. 9 luglio 2002, n. 9963; Cass. 18 aprile 1998, n. 3973).
Da ciò si desume che per le circostanze di fatto che il verbalizzante segnali di aver accertato nel corso dell’accertamento per averle apprese de relato la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, ma ciò non esclude che il materiale raccolto dal verbalizzante debba essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, senza però attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento, addossando così al debitore ricorrente l’onere di fornire la prova dell’insussistenza dei fatti contestatigli. Ciò vale anche in sede di giudizio di accertamento negativo, visto che, pure in questo tipo di giudizio, in base all’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in tale giudizio (Cass. 4 ottobre 2012, n. 16917).
7.3.- Dalla sentenza impugnata risulta che la Corte d’appello – a parte l’improprietà di alcune espressioni adoperate – si è sostanzialmente attenuta ai suddetti principi nella valutazione del verbale ispettivo di cui si tratta – verbale che, peraltro, non risulta riprodotto, sul punto, nel ricorso, in contrasto con il principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – tanto più che, con riguardo alle cosiddette “retribuzioni virtuali” del settore dell’edilizia, l’onere della prova ha una sua speciale disciplina , come affermato dalla costante e condivisa giurisprudenza di questa Corte, secondo cui:
a) se un istituto previdenziale pretenda differenze contributive da una impresa edile sulla “retribuzione virtuale” ai sensi dell’articolo 29 d.l. 23 giugno 1995, n. 244, convertito dalla legge 8 agosto 1995, n. 341, il relativo onere probatorio è assolto mediante l’indicazione, non contestata, dell’attività edile espletata e con l’invocazione dell’articolo 29 citato, mentre è onere dell’impresa edile allegare, e provare, le ipotesi eccettuative dell’obbligo contributivo previste dallo stesso articolo 29 e dal d.m. 16 dicembre 1996 cui esso rinvia, e il giudice di merito è tenuto a motivare con precisione l’ipotesi eccettuativa ricorrente nella specie (Cass. 15 dicembre 2008, n. 29324; Cass. 13 ottobre 2009, n. 21700; Cass. 4 maggio 2011, n. 4805);
b) infatti, nel settore dell’edilizia l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dei relativi contratti integrativi territoriali di attuazione (cosiddetto “minimale contributivo”), secondo la regola generale stabilita – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dall’art. 29 del d.l. n. 244 del 1995, il quale elenca, altresì, i casi, da considerarsi tassativi, in cui la suddetta regola del minimale è esclusa e delega l’individuazione di altri casi al d.m. 16 dicembre 1996, il quale rinvia per le eccezioni alle previsioni dei contratti. Conseguentemente, stante il carattere tassativo delle eccezioni e il richiamo che il suddetto decreto effettua alla contrattazione collettiva, è onere del datore di lavoro che invoca la ricorrenza di una deroga al minimale indicare la disposizione contrattuale che la prevede (Cass. 11 agosto 2005, n. 16873);
c) in tema di contribuzione dovuta dai datori di lavoro esercenti attività edile, ove la sospensione del rapporto lavorativo derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, permane il relativo obbligo contributivo, dovendosi escludere la possibilità di una interpretazione analogica dell’art. 29 del d.l. n. 244 del 1995, convertito nella legge n. 341 del 1995, in quanto la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei previsti casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali (Cass. 18 febbraio 2011, n. 3969).
Le suesposte considerazioni portano al rigetto del terzo e del quarto motivo.
8.- Appare opportuno dichiarare assorbito l’unico motivo del ricorso incidentale per consentire alle parti di confrontarsi in sede di giudizio rinvio – nel rispetto del carattere “chiuso” di tale giudizio – anche sulle questioni riguardanti il complessivo governo delle spese giudiziali.
IV – Conclusioni
9.- In sintesi, il primo e il secondo motivo del ricorso principale devono essere accolti e il terzo e il quarto motivo dello stesso ricorso vanno invece respinti. Il ricorso incidentale deve essere dichiarato.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Salerno, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:
“l’atto di accertamento amministrativo (nella specie: verbale ispettivo INAIL) di un Istituto previdenziale, relativo a contributi o premi non versati, è un provvedimento amministrativo a tutti gli effetti – oltretutto autonomamente impugnabile in sede giudiziaria ai sensi dell’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 46 del 1999 fisso pertanto deve essere motivato, al pari di tutti gli atti amministrativi esplicanti direttamente efficacia nei confronti dei terzi (ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990), in modo adeguato a consentire al destinatario dell’atto di ricostruire esattamente l’iter logico seguito dall’ente previdenziale al fine di garantirgli l’esercizio del proprio diritto di difesa, anche nella eventuale fase di immediata impugnazione dell’atto, di cui all’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 46 del 1999 cit, essendo irrilevante – ai suddetti fini – che si tratta di una impugnativa facoltativa. Infatti, come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 119 del 2013); se il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, prevede degli istituti processuali, è “necessario assicurarne la conformità alla Costituzione, a prescindere dal carattere, facoltativo o meno, della tutela giurisdizionale ad essi affidata””.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi. Accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il terzo e il quarto motivo dello stesso ricorso. Dichiara assorbito il ricorso incidentale e, in relazione alle censure accolte, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Salerno.
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