CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 ottobre 2013, n. 22735
Lavoro subordinato – Licenziamento individuale – Reintegrazione nel posto di lavoro – Accertamento della permanenza del rapporto – Condanna all’adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto – Domanda di prepensionamento successiva alla reintegra
Svolgimento del processo
La Rete Ferroviaria Italiana spa ha proposto opposizione al precetto con cui R.C. aveva intimato alla stessa società il pagamento delle retribuzioni dovutegli in forza della sentenza del Tribunale di Reggio Calabria che, annullando il licenziamento intimato al lavoratore, ne aveva disposto la reintegrazione nel posto di lavoro con la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate sino alla data della reintegra.
Il Giudice adito ha accolto l’opposizione, con sentenza depositata in data 5.4.2006, dichiarando non dovute la C. le somme indicate nel precetto sul rilievo che le stesse si riferivano a retribuzioni maturate successivamente al primo ottobre 1993 – data dalla quale il C. era stato collocato a riposo, su sua richiesta, in base alla normativa sul prepensionamento – e quindi a retribuzioni maturate successivamente al verificarsi di un evento che aveva determinato la cessazione del rapporto di lavoro.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.C. affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso la Rete Ferroviaria Italiana spa.
Quest’ultima ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata con il controricorso dalla società resistente, trattandosi di fattispecie alla quale trova applicazione ratione temporis (la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 5.4.2006) la disciplina stabilita dall’art. 616 c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 14 della legge n. 52 del 2006, che ha sostituito, a decorrere dal 1.3.2006, il precedente regime dell’appellabilità con quello della non impugnabilità della sentenza (con conseguente possibilità del ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost.).
1. – Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 617 c.p.c. e vizio di ultrapetizione in relazione all’art. 112 c.p.c., sostenendo che dinanzi al giudice dell’esecuzione sarebbe stata chiesta dalla società solo la sospensione dell’esecuzione e che comunque l’opposizione sarebbe stata proposta oltre il termine stabilito dall’art. 617 c.p.c.
2. – Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ribadendo che l’opposizione mirava esclusivamente alla sospensione dell’esecuzione e che pertanto la domanda proposta con l’atto di riassunzione (“dichiarare la nullità dell’atto di precetto … e comunque non dovute le somme da questi richieste”) doveva considerarsi come domanda nuova e quindi inammissibile.
3. – Con il terzo motivo, nel denunciare “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione del Tribunale nella parte in cui il primo giudice ha ritenuto che la richiesta di prepensionamento (accettata dal datore di lavoro) avesse determinato una valida risoluzione del rapporto di lavoro, con conseguente impossibilità di pretendere la corresponsione delle retribuzioni maturate in epoca successiva al verificarsi di tale evento.
4. – I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi tra loro, sono infondati.
E’ sufficiente rilevare al riguardo che l’opposizione al precetto, tendente a contestare, come nella specie, il diritto dell’istante di procedere ad esecuzione forzata, configura, anche quando l’esecuzione sia già iniziata, opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., alla quale non si applicano i termini di cui all’art. 617 c.p.c., che sono applicabili invece nel caso di opposizione agli atti esecutivi.
Né è configurabile, nella specie, il vizio di ultrapetizione denunciato dal ricorrente, avendo il giudice (sia quello dell’esecuzione che quello competente per l’opposizione) correttamente provveduto a qualificare la domanda giudiziale (che tendeva evidentemente a contestare il diritto della parte istante di agire in executivis) come opposizione all’esecuzione, e non potendo dubitarsi che l’accoglimento integrale di tale opposizione (diretta, è bene ripeterlo, a contestare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata) non poteva avere altra conseguenza che quella di una pronuncia di accertamento che il processo esecutivo non poteva essere iniziato e di annullamento, quindi, dell’atto contro il quale l’opposizione era rivolta..
5. – Anche il terzo motivo deve essere respinto. Questa Corte ha già affermato (cfr. Cass. n. 10515/97 e, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 10628/2003) che l’ordine di reintegrazione del lavoratore subordinato illegittimamente licenziato costituisce una condanna (generica) del datore di lavoro all’adempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro (e quindi ad adeguare la situazione di fatto a quella di diritto rappresentata dalla riattivazione del normale presupposto dell’esecuzione del rapporto) ed altresì contiene l’accertamento dell’inidoneità del licenziamento ad estinguere il rapporto stesso al momento in cui è stato intimato; accertamento questo che però non si estende anche ad intervalli di tempo successivi, sicché l’ordine di reintegrazione e la condanna al pagamento delle retribuzioni per il periodo successivo al recesso datoriale restano condizionati alla permanenza del rapporto dopo il licenziamento e alla possibile incidenza di ulteriori (e successivi) fatti o atti idonei a determinare la risoluzione del rapporto
6. – Nel caso di specie, il Tribunale, applicando correttamente il principio di diritto sopra indicato, ha accertato, per l’appunto, il verificarsi di un evento sopravvenuto idoneo a determinare la risoluzione del rapporto, e a partire dal quale non poteva più trovare applicazione la condanna al pagamento delle retribuzioni, individuando tale evento nell’avvenuta accettazione, con decorrenza dal 1.10.1993, della domanda di prepensionamento presentata dal C. in data 28.7.1993, ed escludendo, in conseguenza, che la sentenza di condanna potesse estendere i suoi effetti al periodo successivo al primo ottobre 1993.
Si tratta quindi della valutazione di una specifica questione di fatto, devoluta al giudice del merito e non censurabile in questa sede di legittimità, nella quale, del resto, non è stata denunciata l’esistenza di eventuali vizi di motivazione della sentenza impugnata.
7. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, ed a tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo, facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella A ivi allegata, in vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in € 50,00 oltre € 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
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