Corte di Cassazione sentenza n. 2276 del 31 gennaio 2011
IMPOSTE SUI REDDITI – REDDITO D’IMPRESA – ORGANIZZAZIONI CONVEGNI – SPESE PER OSPITALITA’ – PARZIALE DEDUCIBILITA’
massima
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Le spese dirette ad aumentare il volume delle vendite attraverso l’organizzazione di convegni e le spese di rappresentanza costituite da costi per pasti, vitto e quant’altro a fini pubblicitari necessitano di rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle stesse e della loro diretta imputabilità.Le spese sostenute dalle aziende farmaceutiche per organizzare convegni, congressi e conferenze, nella parte relativa ai costi per pasti e vitto possono avere carattere di rappresentanza se previamente autorizzati dal Ministero della Sanità per la loro deducibilità. Sussistono criteri di distinzione tra spese di pubblicità e quelle di rappresentanza.
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Svolgimento del processo
L’Agenzia delle entrate impugna, con un unico motivo, la sentenza della CTR della Lombardia, indicata in epigrafe, che rigettava il gravame di essa e quello della soc. Istituto L. Spa. avverso la decisione n. 356/19/2001 della CTP di Milano, con cui era stato accolto parzialmente il ricorso contro l’avviso di accertamento per Irpeg e Ilor per il 1994, in ordine alla indeducibilità di costi di pubblicità e rappresentanza.
La società contribuente non si è costituita.
Motivi della decisione
Deducendo “violazione di legge per erronea e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, D.L. n. 67 del 1988, art. 19, D.Lgs. n. 541 del 1992, art. 12, e art. 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione”, l’Agenzia si duole che il giudice “a quo” non teneva nel debito conto che la contribuente non avessero fornito la prova che le spese sostenute e portate in deduzione avevano carattere di rappresentanza, e cioè costituissero costi per pasti, vitto e quant’altro a fini pubblicitari, mentre invece dovevano riguardare congressi, convegni, conferenze previamente autorizzati dal Ministero della Sanità per la loro deducibilità. Inoltre questi in particolare dovevano avere rilevante interesse scientifico per lo sviluppo delle conoscenze nei settori della chimica, tecnica farmaceutica, biodinamica, fisiologia e patologia, e perciò non dovevano avere scopo pubblicitario. Nulla di tutto ciò invece era stato provato dall’Istituto L., senza che il giudice di appello avesse enunciato il procedimento argomentativo seguito al riguardo.
Il motivo è fondato, atteso che la CTR non considerava che non tutte le spese sostenute dalla contribuente per la organizzazione di congressi; convegni e quant’altro, come indicate con le lett. C) e D) della motivazione della sentenza, potevano essere oggetto di deduzione, e per di più per l’intero, dovendosi avere invece riguardo alle caratteristiche sopra enunciate. Infatti essa ne condivideva la deduzione senza un’adeguata motivazione, atta a suffragare quanto ritenuto, non consentendo questa di ricostruire l'”iter logico” che aveva indotto il giudice di seconde cure a ritenere le dette spese dirette ad aumentare il volume delle vendite, occorrendo invece una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle stesse e della loro diretta imputabilità (V. pure Cass. Sentenze n. 9567 del 2007, n. 15268 del 27/11/2000). Inoltre va osservato che si deve pure tenere conto del fatto che nell’ambito della distinzione prevista, ai fini della diversa deducibilità, dalla L. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 74, comma 2, le spese di ospitalità sostenute da aziende produttrici di farmaci nella organizzazione di convegni o congressi sono qualificabili quali spese di rappresentanza, deducibili nella misura di un terzo del relativo ammontare, e non come spese di pubblicità o propaganda, integralmente deducibili, atteso che hanno quale effetto quello di accrescere il prestigio della società organizzatrice, ma non costituiscono spese necessarie per l’attività propagandistica o di incentivazione del prodotto. Nell’ambito delle spese di rappresentanza, poi, le spese di vitto non possono essere ricomprese nell’ambito di quelle integralmente detraibili se di valore inferiore alle vecchie 50.000 lire italiane, posto che la norma si riferisce inequivocabilmente a beni ed oggetti materiali distribuiti gratuitamente, e non può ritenersi riferita anche all’offerta del vitto, che non è inquadrabile nella categoria dei beni, ma più propriamente in quella dei servizi, in quanto attiene fondamentalmente all’attività di manipolazione necessaria per la preparazione del cibo e di distribuzione ai commensali (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 21270 del 07/08/2008, n. 11226 del 2007). Nè le spese sostenute dalla contribuente potevano essere qualificate di pubblicità in quanto dirette ad aumentare il volume delle vendite, posto che possono ritenersi inerenti all’attività di impresa, e perciò non sono in contrasto con la disciplina della pubblicità dei farmaci contenuta nella L. n. 833 del 1978, art. 31, solo quando esse abbiano finalità di rilevante interesse scientifico, con esclusione di scopi pubblicitari e ricadano nell’ambito delle disposizioni della L. n. 67 del 1988, art. 19, e dei relativi regolamenti, ed inoltre la società contribuente dimostri tali elementi (V. pure Cass. n. 10959/2007).
Questi principi – contrariamente alla valutazione espressa dal giudice di appello nel proprio provvedimento – non appaiono osservati nella sentenza impugnata.
Quindi in rapporto a tali non corrette valutazioni di merito, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., comma 2, e rigetto del ricorso in opposizione della contribuente.
Quanto alle spese del giudizio, sussistono giusti motivi per compensare quelle del doppio grado, attesa la natura delle questione dedotte, mentre quelle successive seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese del doppio grado, e condanna l’intimata al rimborso delle altre di questo giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorario, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge.
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