Corte di Cassazione sentenza n. 22785 del 12 dicembre 2012
RAPPORTO DI LAVORO – AVVOCATO – ALBO PROFESSIONALE – CANCELLAZIONE – PROCEDIMENTO E SANZIONI DISCIPLINARI
massima
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Con riferimento alla reiscrizione all’albo degli avvocati di colui che ha subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trova applicazione, in via di interpretazione analogica, l’art. 47 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, secondo cui l’avvocato radiato dall’albo non può esservi nuovamente iscritto prima che siano trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione, essendo la cancellazione meno grave della radiazione; tuttavia, la durata del tempo decorso dalla cancellazione può essere autonomamente valutata ai fini dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta “specchiatissima ed illibata” che l’art. 17 del medesimo provvedimento legislativo richiede per l’iscrizione all’albo.
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FATTO
L’avv. C.A., cancellato dall’albo degli avvocati di Foggia con provvedimento disciplinare del 20 settembre 2008, a seguito della sanzione penale da lui subita per avere introdotto sostanze stupefacenti in carcere ed averle cedute ad un proprio assistito, si vide respingere dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia la richiesta di reiscrizione nell’albo, presentata nel marzo 2011 ed integrata nel maggio successivo. Anche il ricorso proposto avverso tale decisione ebbe esito negativo, giacché il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza depositata il 30 aprile 2012, reputò che la reiscrizione nell’albo non potesse esser disposta prima del decorso del termine di cinque anni da quando era divenuta esecutiva la precedente delibera di cancellazione, dovendo trovare applicazione analogica la disciplina a tal riguardo prevista dalla legge professionale per l’ipotesi di reiscrizione dopo la radiazione.
Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso l’avv. C.
Nessuna difesa ha svolto in questa sede il consiglio dell’Ordine degli avvocati di Foggia
DIRITTO
Il ricorso è fondato, giacché puntualmente si riallaccia all’insegnamento di questa corte secondo cui, in presenza di una domanda di reiscrizione nell’albo degli avvocati di colui che abbia in precedenza subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trova applicazione, in via d’interpretazione analogica, il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 47.
Quest’ultima norma dispone che l’avvocato radiato dall’albo non può esservi nuovamente iscritto prima che siano trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione, ma, essendo la cancellazione concepita dal legislatore come sanzione meno grave della radiazione, non sussistono le condizioni per postularne l’applicazione anche quando il professionista che chiede la reiscrizione era stato in precedenza cancellato e non radiato, benché la durata del tempo frattanto decorso possa essere autonomamente valutata ai fini dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta “specchiatissima ed illibata”, che l’art. 17 del medesimo provvedimento legislativo richiede per l’iscrizione nell’albo (in tal senso Sez. un., 12 maggio 2008, n. 11653).
Non v’è ragione per discostarsi nel presente caso da questo orientamento.
Occorre solo aggiungere che dalla motivazione posta a base della decisione Consiglio Nazionale Forense non è dato desumere, neppure per implicito, che il collegio giudicante abbia valutato la durata del tempo trascorso tra la cancellazione e la richiesta di reiscrizione nell’albo ai fini di escludere il prescritto requisito della condotta “specchiatissima ed illibata”.
Se è vero, infatti, che nella parte finale della motivazione dell’impugnata sentenza si richiama l’opinione secondo cui solo dopo il decorso del periodo di cinque anni previsto per la reiscrizione conseguente alla radiazione sarebbe possibile verificare il concorso dei requisiti voluti dall’art. 17 del citato decreto, è vero altresì che tale considerazione è volta a sorreggere la tesi dell’applicabilità analogica del suindicato termine quinquennale anche nell’ipotesi di precedente cancellazione del professionista dall’albo – tesi che, nella sua portata generale, è viceversa da disattendere, per le ragioni già prima indicate – e non appare invece in alcun modo frutto di una valutazione della fattispecie concreta.
L’impugnata sentenza deve perciò essere cassata, con rinvio della causa al Consiglio Nazionale Forense perché la riesamini alla luce del principio di diritto sopra richiamato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia.
P.Q.M.
La corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza, con rinvio della causa al Consiglio Nazionale Forense, e condanna il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
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