Corte di Cassazione sentenza n. 22816 del 08 giugno 2011
RAPPORTO DI LAVORO – REATO DI MINACCE E INGIURIE – DATORE DI LAVORO – DIMISSIONI DI UNA LAVORATRICE
massima
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È responsabile un datore di lavoro per minacce e ingiurie ai danni di una dipendente, in quanto quest’ultima si era rifiutata di sottoscrivere una lettera di dimissioni.
La mera pluralità di episodi vessatori (nella specie, trattavasi di percosse, ingiurie e minacce) non è di per sé sufficiente a integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, in assenza di un dolo che abbracci ed unifichi le diverse azioni e che ricolleghi a unità i vari episodi di aggressione alla sfera morale e psichica del soggetto passivo (Cass. pen., Sez. VI, 26/02/2009, n. 14409). Però, nel caso di specie, la Corte afferma che:
a) l’espressione “ti farò schiattare” non solo è di uso comune, ma è riportato su tutti i dizionari della lingua italiana con l’inequivoco significato “ti farò crepare”;
b) l’espressione “vergognosa” è stata correttamente valutata nel contesto ed aveva il chiaro ed univoco significato ingiurioso.
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FATTO e DIRITTO
… ricorre tramite difensore avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 23 aprile 2009 che in riforma di quella assolutoria pronunciata da quel giudice di pace, l’aveva ritenuto responsabile dei reati di minacce e ingiurie in danno di … .
Secondo l’ipotesi di accusa il … datore di lavoro della parte lesa, aveva ingiuriato e minacciato la predetta, prospettandole un trattamento sistematicamente vessatorio; secondo la sentenza impugnata la ragione di detto comportamento era nel rifiuto opposto dalla giovane alla richiesta del … di sottoscrivere una lettera di dimissioni.
Deduce il ricorrente la nullità della sentenza impugnata per vizi di motivazione in ordine alla ricostruzione del fatto e alla valutazione delle prove.
In particolare a suo avviso il Tribunale aveva fondato l’affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della … ritenendole riscontrate dalla produzione di un foglio spiegazzato sul quale era vergata una lettera di dimissioni non sottoscritta e dalla testimonianza indiretta della testimone …, elementi a suo dire assolutamente inidonei a confortare gli assunti della parte lesa ed aveva ritenuto erroneamente che l’espressione “ti farò schiattare” potesse costituire il reato di minaccia, mentre invece il significato del verbo schiattare sarebbe incerto non risultando, a suo dire, registrato su alcun dizionario della lingua italiana, nè tantomeno valenza offensiva aveva l’invettiva “sei una vergognosa”.
Il ricorso è inammissibile.
Quanto alla ricostruzione del fatto ed alla valutazione degli elementi di prova ritenuti dal Tribunale confermativi dell’ipotesi di accusa, va osservato che la censura sostanzialmente prospetta il riesame del merito che in questa sede di legittimità è precluso se, come nel caso di specie, la sentenza impugnata abbia dato conto delle ragioni della decisione con motivazione ragionevole e condivisibile,comunque immune da vizi logici o contraddizioni valutando come elemento di riscontro anche la testimonianza del ….
Quanto poi alla rilevanza penale delle espressioni su menzionate, il ricorso è manifestamente infondato atteso che contrariamente a quanto assume il ricorrente, l’espressione “ti farò schiattare” non solo è di uso comune, ma è riportato su tutti i dizionari della lingua italiana con l’inequivoco significato “ti farò crepare”; l’espressione “vergognosa” poi è stata correttamente valutata nel contesto ed aveva il chiaro ed univoco significato ingiurioso che la sentenza impugnata ha ritenuto.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500.00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500.00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 25 febbraio 2011.
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