CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 ottobre 2013, n. 22953
Tributi – Imposta di registro e Invim – Processo tributario – Solidarietà – Giudicato Favorevole – Coobbligato – Avvalimento – Effetti
Svolgimento del processo
L’origine della controversia è un atto di compravendita immobiliare con il quale le sig.re M. e R.M. cedevano alla società G.U. s.r.l. un terreno edificabile per il valore dichiarato di L. 315.033.000, che veniva, tuttavia, elevato a L. 839 milioni dall’Ufficio del registro con apposito avviso di accertamento.
L’atto impositivo veniva impugnato, tanto dalla società acquirente per l’imposta di registro e per la solidale responsabilità dell’INVIM, quanto dalle venditrici, per l’INVIM e la responsabilità solidale per l’imposta di registro.
La Commissione adita pronunciava due distinte sentenze, ma con risultato sostanzialmente uniforme: accoglimento parziale dei ricorsi con riduzione dell’accertato a L. 472.278.000.
Le decisioni erano impugnate con distinti appelli dall’Ufficio con i seguenti esiti:
– per la società acquirente: rigetto dell’appello principale dell’Ufficio, accoglimento parziale dell’appello incidentale della società con ulteriore riduzione dell’accertato a L. 350.000.000;
– Per le venditrici: rigetto sia dell’appello principale dell’Ufficio, sia dell’appello incidentale delle venditrici, con conferma del valore in L. 472.728.00.
Né l’Ufficio, né la società acquirente impugnavano per cassazione la sentenza dì appello che aveva tra le parti definito il valore in L. 350.000.000 e che, quindi, passava in giudicato. La società venditrice assolveva successivamente il proprio debito tributario su questa base.
Le venditrici, invece, impugnavano per cassazione le sentenza che aveva nei loro confronti confermato il valore il L. 472.278.000. Quest’ultime, poi, nella more del ricorso per cassazione proponevano istanza di autotutela all’Ufficio del Registro perché fosse applicato anche nei loro confronti il valore di L. 350.000.000 accertato in via definitiva a favore della società acquirente. L’istanza di autotutela era respinta sul presupposto dell’inapplicabilità nella specie della disposizione di cui all’art. 1306 c.c. e conseguentemente l’Ufficio notificava l’avviso di liquidazione la cui impugnazione, che ripropone l’eccezione di applicabilità nella specie dell’art. 1306 c.c., costituisce l’oggetto del presente giudizio.
La Commissione adita accoglieva il ricorso delle venditrici, ritenendo applicabile l’art. 1306 c.c..
Il giudizio d’appello proposto dall’Ufficio veniva sospeso dalla Commissione Tributaria Regionale competente con ordinanza del 7 ottobre 2002 in attesa che fosse definito il ricorso per cassazione proposto dalle venditrici avverso la sentenza d’appello che aveva nei loro confronti confermato il valore il L. 472.278.000 (diversamente da quel che era accaduto per la società venditrice). Il citato ricorso era definito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1381 del 23 ottobre 2001, depositata il 2 febbraio 2002 (in data di molto antecedente all’ordinanza di sospensione da parte della Commissione Tributaria Regionale), sentenza con la quale il ricorso delle venditrici era rigettato, con condanna delle medesime alle spese di lite. A seguito di ciò la Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della decisione di primo grado, confermava ai fini INVIM il valore accertato “in L. 472 milioni” e dichiarava non dovuta “l’imposta complementare di registro” (perché, come argomentava in motivazione, la Commissione era del parere che “il pagamento, resosi definitivo per gli acquirenti, libera(va) gli altri coobbligati da qualsiasi pretesa da parte dell’amministrazione finanziaria”).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso, con quattro motivi, le venditrici M. e R.M., ricorso iscritto al n. R.G. 28511/07, e l’amministrazione, con unico motivo, ricorso iscritto al n. R.G. 28750/07. Nel primo ricorso l’amministrazione non si è costituita, mentre nel secondo ricorso, le contribuenti hanno notificato controricorso.
Motivazione
Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi R.G. nn. 28511/07 e 28750/07, in quanto proposti avverso lo stesso provvedimento. Il secondo ricorso sebbene proposto autonomamente, si converte in ricorso incidentale (v. Cass. n. 26723 del 2011).
Poiché le questioni proposte dalle ricorrenti venditrici con il terzo e quarto motivo comporterebbero, se risolte positivamente, la definizione del giudizio, esse devono essere esaminate per prime.
Con il terzo motivo, le contribuenti denunciano un vizio di motivazione rapportandolo al mancato esame da parte del giudice a quo della richiesta di esse ricorrenti di estinzione del giudizio per l’inattività della parte onerata di formulare istanza di trattazione per la prosecuzione del giudizio sospeso nel termine di decadenza.
Il motivo è inammissibile in quanto viene dedotta sotto il profilo del vizio di motivazione una omessa pronuncia che avrebbe dovuto essere denunciata sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c.
Con il quarto motivo, le contribuenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e 45 D.Lgs. n. 546 del 1992 nonché dell’art. 297 c.p.c., in quanto nel caso di specie avrebbe dovuto essere dichiarata l’estinzione del processo per la mancata presentazione da parte dell’amministrazione (che ne era onerata) dell’istanza di trattazione per la prosecuzione del giudizio nel termine di sei mesi.
Il motivo non è fondato. Nella narrativa del ricorso, le stesse ricorrenti ammettono che l’amministrazione aveva depositato in giudizio una “comunicazione” relativa alla avvenuta definizione del processo “pregiudicante” in data 30 ottobre 2002, quindi dopo una ventina di giorni dal deposito dell’ordinanza di sospensione, con l’evidente funzione di rimuovere la condizione che aveva determinato l’adozione di quella ordinanza. In realtà quest’ultimo provvedimento nemmeno dove essere adottato in quanto il cd. “giudizio pregiudicante” si era già concluso prima che la causa fosse trattata (l’udienza era fissata per il 7 ottobre 2002) e il provvedimento stesso fosse adottato (in pari data), con la conseguenza che il processo in questione non avrebbe dovuto essere sospeso.
Con i primi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente al motivo del ricorso incidentate (per conversione) proposto dall’amministrazione, si discute la questione dell’applicabilità nella specie dell’art. 1306 c.c..
Il ricorso proposto dall’amministrazione è limitato al denegato riconoscimento della differenza tra quanto pagato dalla società acquirente sul valore per quest’ultima resosi definitivo e il maggior valore accertato (anch’esso in via definitiva) nei confronti delle venditrici. Le censure delle venditrici sono infondate. Nel caso di specie, infatti, si è formato, con la sentenza della Corte di Cassazione n. 1381 del 23 ottobre 2001, depositata il 2 febbraio 2002, un autonomo giudicato nei confronti delle contribuenti ai fini INVIM e ciò costituisce circostanza impeditiva all’applicazione dell’art. 1306 c.c. per far valere l’opposizione all’amministrazione del diverso giudicato formatosi nei confronti dell’acquirente ai fini dell’imposta di registro. Ha sul punto affermato questa Corte, con orientamento costante: «In tema di solidarietà tributaria, la facoltà per il coobbligato d’imposta di avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da un altro coobbligato, secondo la regola generale stabilita dall’art. 1306 cod. civ., opera, come riflesso dell’unicità dell’accertamento e della citata estensibilità del giudicato, sempre che non si sia già formato un giudicato contrario sul medesimo punto. Pertanto, il coobbligato non può invocare a proprio vantaggio la diversa successiva pronuncia emessa nei riguardi di altro debitore in solido, nel caso in cui egli non sia rimasto inerte, ma abbia a propria volta promosso un giudizio già conclusosi (in modo a lui sfavorevole) con una decisione avente autonoma efficacia nei suoi confronti» (Cass. n. 14814 del 2011).
Infondata è anche la censura dell’amministrazione. La sentenza impugnata non ha applicato, con riferimento all’imposta di registro, l’art. 1306 c.c., la cui applicabilità ha, invece, negato, con riferimento all’INVIM resasi definitiva nei confronti delle venditrici. La sentenza impugnata ha ritenuto che il pagamento dell’imposta di registro da parte dell’effettivo debitore d’imposta – ossia l’acquirente – abbia liberato il venditore che risponde del debito dell’acquirente (esclusivamente) in via solidale: l’avvenuto pagamento da parte del debitore (effettivo) d’imposta determina, ai sensi dell’art. 1292 c.c., l’estinzione ipso iure del debito anche nei confronti del coobbligato in via solidale.
Pertanto, i ricorsi, riuniti, devono essere rigettati.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi R.G. n. 28511/07 e R.G. n. 28750/07 e li rigetta. Compensa le spese.