CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 ottobre 2013, n. 23063
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Difficoltà produttive del datore – Soppressione del posto – Ripartizione delle mansioni fra i lavoratori rimasti in servizio
Svolgimento del processo
A.D. appellava la sentenza del Tribunale di Milano del 9 ottobre 2009, con cui vennero respinte le sue domande: a) di declaratoria di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli dalla C.I. s.p.a. in data 7 luglio 2008, con effetto dall’11 luglio 2008, data di cessazione della sua malattia, con le conseguenze di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, oltre alla condanna della società al pagamento delle retribuzioni dovutegli dal 7 luglio all’11 luglio del 2008; b) di declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 17 luglio 2008 e di condanna della società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. Il Tribunale, rilevato che in data 7 luglio 2008 la società aveva intimato al ricorrente un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, esonerandolo dal servizio durante il preavviso; che il licenziamento era rimasto inefficace per il periodo di malattia sino alla data dell’11 luglio; rilevato che successivamente venne licenziato per giusta causa a seguito di contestazione disciplinare, ritenne infondata la domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, avendo la società provato l’effettiva riduzione dell’utile tra il dicembre 2006 ed il dicembre 2007 e che dopo meno di un anno dal licenziamento del ricorrente la società aveva aperto una procedura di mobilità per sette dipendenti; rilevò inoltre che l’istruttoria aveva evidenziato che le mansioni del ricorrente dopo il licenziamento erano state svolte da dipendenti già in servizio e non assunti ex novo.
Del pari il Tribunale ritenne infondata l’eccezione di ‘repechage’ presso lo stabilimento di B., dove l’organico era completo e stabile da molti anni, o presso l’ufficio spedizioni dal quale era stato già spostato a seguito di lamentele. Ritenne invece non provati i fatti posti a fondamento della contestazione cui fece seguito il licenziamento per giusta causa.
Proponeva appello il D.; resisteva la società C.I.. La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 1 °giugno 2011, accoglieva solo parzialmente il gravame, condannando la società a corrispondere all’appellante la retribuzione dovuta dal 7 al 17 luglio 2008.
Riteneva il giudice di appello che, pur essendo stato intimato il primo licenziamento per g.m.o. in data 7 luglio 2008, mentre il D. era assente per malattia, essendo stato esonerato dal prestare servizio durante il preavviso, stante la natura meramente obbligatoria e non reale di questo, il licenziamento era possibile e legittimo, in quanto giustificato dalla dedotta crisi aziendale.
Condannava tuttavia la società al pagamento della retribuzione sino al 17 luglio 2008, “essendovi in atti la documentazione attestante la malattia sino a tale data”.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il lavoratore, affidato a due motivi.
Resiste la C.I. s.p.a. con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo il D. censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonché per violazione dell’art. 2110 c.c.
Lamenta che la Corte di merito ritenne erroneamente che “gli effetti sospensivi della malattia erano preclusi ove si attribuisca efficacia obbligatoria al preavviso”, posto che simile concetto non poteva applicarsi ad un licenziamento inidoneo, sin dalla sua intimazione, a produrre effetti trovandosi il lavoratore pacificamente in malattia.
2. Il motivo è parzialmente fondato, non conducendo tuttavia alla cassazione della sentenza impugnata. Ed invero non v’è dubbio che, anche attribuendo efficacia meramente obbligatoria al preavviso, e dunque effetto risolutivo immediato al relativo licenziamento intimato con la dispensa dal prestare servizio durante il suddetto periodo (da ultimo, Cass. n. 36\2011, n. 22446\10, n. 21216\99, con la conseguente irrilevanza della successiva malattia del dipendente, ciò non può verificarsi allorquando il lavoratore sia già assente per malattia e, in costanza di essa, venga intimato un licenziamento con preavviso. L’art. 2110 c.c. prevede infatti l’irrecedibilità dal rapporto durante lo stato di malattia, salvo, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinario, il licenziamento per giusta causa (ex multis, Cass. n. 11674\05).
Altre tipologie di licenziamento restano invece, secondo un altrettanto pacifico orientamento giurisprudenziale e dottrinario, inefficaci sino alla cessazione della malattia [ex multis, Cass. n. 9896\06) La sentenza impugnata non si è attenuta a tale principio, ritenendo legittimo il licenziamento per g.m.o. intimato durante l’assenza per malattia per il fatto, qui giuridicamente irrilevante, che la società avesse esonerato il lavoratore dal prestare servizio durante il preavviso.
Avendo tuttavia la Corte di merito condannato la C.I. al pagamento delle retribuzioni sino alla cessazione della malattia, essa ha in sostanza aderito al riferito principio (inefficacia del licenziamento del lavoratore in malattia sino alla cessazione di quest’ultima), conseguendone la sola correzione della motivazione, ex art. 384 c.p.c., risultando conforme a diritto il dispositivo.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
Il ricorrente lamenta che la contrazione degli utili addotti dalla società era rimasta indimostrata ed anzi smentita dalla documentazione in atti.
2.1.- Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato.
Ed invero esso difetta di autosufficienza, non avendo il ricorrente chiarito il contenuto della invocata documentazione.
Per il resto occorre osservare che la Corte di merito ha adeguatamente accertato che da un incremento dei ricavi pari al 49% del 2006, la società era passata, nel 2007, ad un incremento del 14%. Il ricorrente lamenta che tale decremento fu causato esclusivamente da una erronea scelta imprenditoriale, ma la doglianza non può essere accolta, non potendo il giudice sindacare scelte imprenditoriali e di mercato, tutelate dall’art. 41 Cost.
Risulta poi incontestata la documentata contrazione delle commesse ricevute dal gruppo T. dedotta dalla società. La doglianza per cui (di conseguenza) egli fu l’unico licenziato risulta in contrasto con gli accertamenti compiuti dal Tribunale prima e dalla Corte d’appello poi, che hanno evidenziato che a fronte dell’accertata difficoltà produttiva, anche testimonialmente provata, le mansioni del ricorrente vennero suddivise tra altri lavoratori, ripartizione che, se presenti oggettive difficoltà economiche o produttive, questa Corte ha già ritenuto legittima (ex aliis, Cass. 1° giugno 2012 n. 8846; Cass. 24 maggio 2011 n. 11356; Cass. 21 novembre 2011 n. 24502). La Corte di merito, così come il Tribunale, hanno poi evidenziato che dopo alcuni mesi dal licenziamento del ricorrente, la società aprì una procedura di mobilità per sette dipendenti di qualifica operaia. Ciò, se non vale di per sé a giustificare il precedente licenziamento del ricorrente, conforta tuttavia l’obiettiva difficoltà produttiva in cui versava la società e sopra riferita così come accertata in sede di merito.
3. Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, pari ad €.50,00 per esborsi ed €.3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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