CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2013, n. 23317
Tributi – Imposte indirette – IVA – Disconoscimento della fattura – Diritto alla detrazione – Automatica decadenza – Non sussiste
Svolgimento del processo
In seguito ad indagini svolte dalla Guardia di Finanza emergeva che nel corso della esecuzione del rapporto di subappalto di lavori edili intrattenuto dall’appaltatore A.G., titolare della ditta individuale G. con la impresa M.P. subappaltatrice, quest’ultima non aveva annotato nel registro corrispettivi le somme ricevute dal primo ed aveva disconosciuto anche la propria sottoscrizione apposta sulle corrispondenti fatture. Veniva quindi emesso avviso di rettifica nei confronti dell’A. avente ad oggetto il recupero della indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno 1994.
Entrambi i gradi del giudizio di merito si sono risolti a favore del contribuente.
La Commissione tributaria della regione Sardegna, con sentenza 20.3.2007 n. 33, ha rigettato l’appello dell’Ufficio finanziario rilevando che non poteva essere fatta gravare sul contribuente -che aveva stipulato il contratto di subappalto, annotato le fatture passive ed aveva eseguito i pagamenti di lavori mediante bonifici- la omessa registrazione dei corrispettivi nelle scritture contabili della ditta subappaltatrice, in quanto, da un lato, il disconoscimento della sottoscrizione delle fatture da parte del M. non poteva ritenersi dirimente, a fronte della apparente somiglianza della firma con le sottoscrizioni apposte su altri documenti e in difetto di plausibili giustificazioni in ordine alle somme ricevute; dall’altro avendo fornito l’A. convincente spiegazione della difformità degli importi indicati nelle fatture e di quelli bonificati, in quanto i pagamenti ”’dovevano seguire un computo metrico” determinato dall’avanzamento dei lavori.
La sentenza di appello, non notificata, è stata tempestivamente impugnata per cassazione, con cinque mezzi, dalla Agenzia delle Entrate, che, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., ha notificato il ricorso -consegnato all’Ufficiale giudiziario il 5.5.2008- all’incaricato della difesa tecnica presso il domicilio eletto ai sensi dell’art. 17 Dlgs n. 546/1992.
Il contribuente non ha resistito.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo con il quale si deduce la violazione dell’art. 36 co 2 n. 4) Dlgs n. 546/1992 e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 co l n. 4) c.p.c. è inammissibile.
2. La Agenzia fiscale ricorrente ha evidenziato come, a seguito di controllo incrociato dei dati contabili rilevati dalla Guardia di Finanza nei confronti delle ditte A. e M. e riportati nel PVC in data 28.2.1998, con l’avviso di rettifica notificato all’A. in data 5.11.1998 venivano formulati una serie di autonomi rilievi fiscali di seguito indicati:
– registrazione di tre fatture passive emesse dalla ditta M. ma da questa disconosciute e non annotate nei propri registri (rilievo 1)
– omessa registrazione di altre tre fatture passive emesse dalla ditta M. di cui due risultate quietanzate (rilievo 2)
– versamento alla ditta M. di tre accrediti da questa non fatturati, né registrati da alcuna delle due ditte (rilievo 3)
– omessa registrazione di fattura attiva emessa dalla ditta Arra nei confronti del committente Comune di Thiesi (rilievo 4)
– emissione di fattura attiva per un importo inferiore al corrispettivo indicato nel mandato di pagamento emesso dal Comune committente (rilievo 5).
Dal ricorso introduttivo proposto dal contribuente avanti la CTP di Sassari (interamente trascritto nel ricorso per cassazione) emerge che l’A. aveva opposto l’avviso di rettifica contestando i rilievi nn. 4 e 5 (la mancata registrazione della fattura attiva era dovuta a dimenticanza del consulente; la fatturazione per un minore importo era dipesa dal trattenimento della Banca di Sassari di parte della somma a garanzia di un credito); il rilievo n. 1 (le fatture passive emesse dalla ditta M. erano state registrate dall’A., che aveva comunque contestato alla ditta subappaltatrice di aver liquidato i relativi importi senza attendere il computo metrico dell’avanzamento lavori; successivamente, determinati gli esatti importi del SAL, il M. anziché eseguire la variazione ex art. 26 Dpr n. 633/72 aveva emesso altra fattura senza comunicarla all’A.); il rilievo n. 3 erroneamente indicato nel ricorso del contribuente con il n. 2 (le fatture passive, relative agli accrediti corrisposti, erano state regolarmente emesse, ma essendo errato l’importo indicato l’A. era rimasto in attesa della variazione dell’emittente).
Dalla lettura della sentenza di appello risulta in modo inequivoco che la CTR ha statuito esclusivamente sulla questione relativa al rilievo n. 1 contenuto nell’avviso di rettifica (tre fatture passive con sottoscrizione disconosciuta e non registrate nelle scritture della ditta M.).
3. Tanto premesso il motivo in esame si incentra sulla contestazione mossa alla sentenza di primo grado ed alla sentenza di appello in ordine alla carenza assoluta di motivazione intesa quale requisito di validità del provvedimento giurisdizionale, previsto dall’art. 36 co 2 n. 4) Dlgs n. 546/1992,
Il vizio denunciato deve, tuttavia, ravvisarsi quando la motivazione manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione- ovvero quando essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del “decisum” (cfr. Corte cass. IlI sez. 18.9.2009 n. 20112; id. V sex. 10.11.2010 n. 22845; conf., con riferimento alla violazione di lege ex art. 111 co7 Cost.: Corte cass. V sez. 24.11.2006 n. 24985; id. IlI sez. 3.11.2008 n. 26426; id. IlI sez. 29.1.2010 n. 2043), non anche quando la statuizione definitoria del giudizio sia coerente, come nel caso di specie, con gli argomenti giustificativi che la sorreggono, tenuto conto che i Giudici di appello hanno confermato la decisione di prime cure rilevando espressamente che “la sentenza di primo grado…riguarda soltanto una parte dell’avviso di rettifica…”, avendo dunque bene presente che l’annullamento dell’avviso di rettifica doveva intendersi soltanto parziale, in quanto afferente esclusivamente al rilievo fiscale n. 1 sul quale si era pronunciata la CTP di Sassari.
Rileva il Collegio che dalla lettura della esposizione del motivo sembrerebbe, piuttosto, che la Agenzia fiscale intenda censurare il distinto vizio processuale di omessa pronuncia che implica la violazione, non dell’art. 36 co2 Dlgs n. 546/1992 (attinente ai requisiti di validità della sentenza) ma dell’art. 112 c.p.c. per inosservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Ma anche riguardato, il vizio denunciato, sotto tale profilo (dovendo correggersi la errata indicazione in rubrica della norma assunta a parametro del sindacato di legittimità: cfr. Corte cass. V sez. 3.8.2012 a 14026 ; id. Sez. 2, Sentenza n. 1370 del 21/1/2013), il motivo si palesa egualmente inammissibile per carenza del requisito di specificità (in relazione all’art. 366 co l n. 6 c.p.c: Cass. n. 1915/2004, Cass. n. 5561/2004, Cass. n 6989/2004; Corte cass. SU 6.3.2009 n. 5456, in motivazione paragr 2.1), in quanto, in difetto di trascrizione dei motivi di gravame dedotti dall’Ufficio appellante, non è consentito alla Corte di verificare lo stesso presupposto al quale è ricollegato il denunciato vizio processuale in cui sarebbe incorso il giudice di merito, rimanendo impedito l’accertamento dell’oggetto del giudizio sottoposto alla CTR in considerazione dell’effetto devolutivo del gravame (“tantum devolutum quantum appellatum”) che caratterizza il giudizio di appello: indipendentemente dalla questione della sussistenza di un interesse dell’Ufficio finanziario ad impugnare la omessa pronuncia su alcuni dei motivi del ricorso introduttivo proposto dal contribuente, osserva il Collegio che la mancata trascrizione dei motivi di gravame, non consente di accertare se la impugnazione dell’Ufficio avesse interessato anche gli altri rilievi fiscali, o invece – come sembrerebbe desumersi dalla sentenza della CTR – esclusivamente il rilievo n.1, in relazione al quale soltanto la pronuncia di annullamento di primo grado era supportata da motivazione, ed è stata confermata dal Giudice di appello.
Né può soccorrere alla Agenzia ricorrente la qualificazione giuridica del vizio di legittimità come “error in procedendo” in relazione al quale la Corte è anche “giudice del fatto”, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito-, atteso che, come è stato ripetutamente affermato, anche in tal caso si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Corte cass. IlI sez. 23.1.2006 n. 1221; id. sez. lav. 7.3.2006 n. 4840; id. V sez. ord. 23.7.2009 n. 17253), essendo pertanto tenuta la parte ricorrente ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Corte cass. sez. lav. 21.5.2004 n. 9734; id. sez. lav. 23.3.2005 n. 6225, Con riferimento all’onere di trascrizione dei motivi di impugnazione ove si censuri la sentenza che ha pronunciato la inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi di gravame: cfr. Corte cass. I sez. 20.9.2006 n. 20405; id. sez. lav. 10.11.2011 n. 23420; id. MI sez. 10.1.2012 n. 86).
4. I motivi dal secondo al quinto possono essere esaminati congiuntamente in quanto tutti concernenti il rilievo fiscale n. 1 sul quale la CTR ha statuito riconoscendo il diritto del contribuente alla detrazione IVA.
5. La Agenzia ricorrente censura la sentenza per violazione degli artt. 19 e 21 Dpr n 633/72 (secondo motivo), degli artt. 21 co 7 Dpr n. 633/72 e dell’art. 654 c.p.p. (terzo motivo), degli artt. 216 c.p.c. e 2697 c.c. (quarto motivo) in relazione all’art. 360 co l n. 3) c.p.c, nonché per vizio di omessa motivazione in relazione all’art. 360 co l n. 5) c.p.c. (quinto motivo).
6. L’esame delle censure richiede alcune precisazioni preliminari.
7. Con riferimento alla fattispecie in questione (contratto dì appalto e versamento dei corrispettivi in acconto), occorre distinguere nell’ambito della normativa comunitaria applicabile “ratione temporis” (Sesta direttiva 77/388 del Consiglio in data 17.5.1977 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla imposte sulla cifra di affari), il diritto alla detrazione ex art. 17 paragr. 2 lett. a), il cui esercizio è subordinato -ai sensi dell’art. 18 paragr. 1 lett. a)- al possesso da parte del soggetto passivo di una fattura redatta in conformità alle prescrizioni dell’art. 22 paragr. 3, dalla prova dei fatti costitutivi di tale diritto, che non viene espressamente regolata dalla direttiva comunitaria ma la cui disciplina può desumersi da quelle disposizioni comunitarie che prescrivono al soggetto passivo -che porta in detrazione la imposta- determinati adempimenti formali, ed in particolare dall’art. 22 paragr. 2 (obbligo di tenuta dì una contabilità che garantisca la riscossione della imposta e consenta i relativi controlli da parte dell’Amministrazione) e paragr. 3 lett. a, b, c (obbligo per il soggetto che eroga la prestazione e, corrispondentemente, per il soggetto in favore del quale la prestazione è eseguita, rispettivamente, di emissione e ricezione, nonché di conservazione della fattura -che deve essere redatta con distinta indicazione del “prezzo al netto della imposta, corrispondente per ogni aliquota diversa nonché se del caso, la esenzione”-), nonché dall’art. 22 paragr. 8, che autorizza gli Stati membri a stabilire altri obblighi ove ritenuti necessari ad “assicurare la esatta riscossione del imposta e ad evitare le frodi” .
8. Il complesso normativo predetto è stato, infatti, interpretato dalla Corte di Giustizia che ha inteso chiarire che “…(28) E’ vero che l’art. 22 della sesta direttiva non contiene alcuna norma che disciplini specificamente la prova del diritto a detrazione da parte del soggetto passivo. (29) Tuttavia, dalle summenzionate disposizioni, che attribuiscono agli Stati membri il potere di prevedere ulteriori indicazioni relative alla fattura e qualsiasi altro obbligo necessario per garantire l’esatta riscossione dell’imposta e per prevenire le frodi, risulta che la sesta direttiva riconosce agli Stati membri il potere di stabilire le norme relative al controllo dell’esercizio del diritto a detrazione e, in ispecie, il modo in cui il soggetto passivo deve comprovare tale diritto. Come ha sottolineato l’avvocato generale nei paragrafi 26 e 27 delle conclusioni, questo potere ricomprende quello di prescrivere la produzione dell’originale della fattura all’atto di verifiche fiscali e quello di autorizzare il soggetto passivo a produrre, se non ne è più in possesso, altre prove inconfutabili attestanti che l’operazione oggetto della domanda dì detrazione è realmente avvenuta. (30) Occorre dunque concludere che, in mancanza di norme specifiche relative alla prova del diritto a detrazione, gli Stati membri hanno il potere di prescrivere la produzione dell’originale della fattura per comprovare tale diritto, nonché quello di ammettere, se il soggetto passivo non ne è più in possesso, altre prove attestanti che l’operazione oggetto della domanda di detrazione è realmente avvenuta “(cfr. Corte giustizia sentenza 5 dicembre 1996, causa C-85/95, John Reisdorf e/ Finanzamt Koln-West).
9. Tanto premesso l’argomento addotto dalla Agenzia (quarto motivo) secondo cui la ditta A. avrebbe operato la detrazione IVA in mancanza di fatture passive regolarmente emesse, essendo state “disconosciute dal cedente” e da questi non registrate, si fonda sull’errato presupposto in diritto secondo cui il mancato riconoscimento della sottoscrizione apposta sulle fatture, compiuto dall’emittente M. nel corso dei controlli incrociati eseguiti dalla Guardia di Finanza, opererebbe e produrrebbe gli stessi effetti dell’art. 214 c.p.c., sicché ove il contribuente avesse voluto avvalersi di tali documenti avrebbe dovuto proporre istanza di verificazione ai sensi dell’art. 216 c.p.c.
La tesi non ha pregio in quanto la privazione della efficacia probatoria di una scrittura privata mediante disconoscimento, presuppone che la stessa sia prodotta nel processo per essere utilizzata come mezzo di prova “contro colui al quale la scrittura è attribuita” (il quale assume, pertanto, la posizione di contraddittore necessario), ovvero contro gli eredi od aventi causa dell’autore, non trovando applicazione le indicate norme processuali al di fuori del giudizio: ne segue che, sia nell’ambito di un procedimento di verifica fiscale, che nei rapporti tra soggetti (contribuente ed Amministrazione finanziaria) rispetto ai quali l’(apparente) autore della scrittura è terzo, il “disconoscimento” della sottoscrizione, compiuto in via extraprocessuale da quest’ultimo, si risolve in una mera allegazione negativa di un fatto (e cioè nella negazione del fatto estrinseco della provenienza dello scritto dal soggetto che lo ha sottoscritto e che, apparentemente, figura come autore), allegazione che potrà assumere diversa rilevanza probatoria nell’eventuale giudizio tra contribuente ed Amministrazione (nel quale l’autore dello scritto non sia stato evocato come parte convenuta), secondo la valutazione che verrà compiuta dal Giudice di merito in ordine alla efficacia dimostrativa dei fatti principali e secondari attribuita al complesso dei mezzi istruttori sperimentati nel giudizio, ma alla quale non possono in nessun caso essere ricondotti gli effetti propri degli artt. 214 e 216 co l c.p.c, non essendo attribuiti effetti di prova legale al “disconoscimento della scrittura privata” compiuto al di fuori del processo (vedi, con riguardo agli effetti endoprocessuali del “disconoscimento-verifica” della scrittura privata, il precedente di Corte cass. IlI sez. 17.5.2007 n. 11460, in cui si puntualizza che “// riconoscimento tacito della scrittura privata, secondo il modello previsto dall’art. 215 cod. proc. civ., opera esclusivamente nel processo in cui essa viene a realizzarsi, esaurendo i suoi effetti nell’ammissione della scrittura come mezzo di prova, con la conseguenza che la parte interessata, qualora il documento sia prodotto in altro giudizio per farne derivare effetti diversi, può legittimamente disconoscerlo, non operando al riguardo alcuna preclusione” -salvo il giudicato formatosi sulla autenticità della scrittura, in conseguenza di riconoscimento espresso od accertamento all’esito della verificazione- ).
Ne segue che nel giudizio tributario in cui si controverta in merito al diritto del contribuente di portare in detrazione l’IVA, sull’assunto dell’Ufficio finanziario che la sottoscrizione apposta sulla fattura è stata “contestata” dalla ditta emittente (soggetto terzo estraneo al giudizio), se da un lato non può neppure ravvisarsi un onere di disconoscimento della sottoscrizione apposta dal terzo sulla fattura, ex art. 214 c.p.c., a carico della Amministrazione finanziaria (l’onere del disconoscimento della scrittura privata grava, infatti, esclusivamente sul soggetto che appare essere autore della sottoscrizione, e non già sul soggetto -nella specie la PA- che contesta l’opponibilità del documento, sul presupposto della apocrifa sottoscrizione apposta da un terzo), dall’altro non può neppure -corrispondentemente- configurarsi alcun onere gravante sul contribuente di richiedere, ai sensi dell’art. 216 c.p.c, la verifica della autenticità della fattura sottoscritta dall’emittente, in quanto “‘quando il contenuto della scrittura privata “inter alios” venga contestato, il documento non viene in rilievo come prova legale e la verità o meno del suo contenuto, dimostrabile con ogni mezzo di prova, è affidata al libero apprezzamento del giudice” (cfr. Corte cass. III sez. 9024 del 30/04/2005. Cfr. Corte cass. sez. lav. 9.7.1996 n. 6258; id. II sez. 27.11.1998 n. 12066; id. II sez. 14.2.2002 n. 2149; id. III sez. .6.2004 n. 10968; id. IlI sez. 8.1.2010 n. 76; id. SS.UU. 23.6.2010 15161).
10. Pertanto la dichiarazione di disconoscimento della sottoscrizione resa dal M. ai verbalizzanti nel corso della verifica fiscale, diversamente da quanto ritenuto dalla Agenzia ricorrente, non determina ex se il venir meno della fattura quale documento giustificativo della detrazione IVA operata dall’Ami (non essendo questi onerato della proposizione della istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c), ma deve considerarsi semplicemente alla stregua di uno tra gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio a sostegno della pretesa tributaria e sottoposti alla valutazione probatoria del Giudice di merito.
11. Infondata deve ritenersi anche la censura (terzo motivo) volta a far valere la violazione del giudicato penale ex art. 654 cp.p. sul presupposto che la sentenza del Tribunale penale di Sassari in data 19.1.1999 n. 7, divenuta irrevocabile, prodotta in grado di appello, aveva rilevato che “non sussistevano le condizioni per una immediata pronuncia assolutoria ex art. 129 c.p.p. in relazione ai reati in contestazione alla luce dell’accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza” che aveva condotto alla imputazione dell’Arra per i reati tributari concernenti la evasione IVA mediante annotazione della fatture nn. 8, 9 e 12 /1994, di complessivo importo pari a lire 500.000.000, emesse dal M., in quanto relative ad operazioni inesistenti.
Tanto premesso, rileva il Collegio la insussistenza della prospettata violazione del giudicato penale, stante l’autonomia -determinata dal venir meno della norma processuale penale che istituiva la ed. “pregiudizialità necessaria”, e quindi defintivamente sancita dall’art. 20 del Dlgs 10.3.2000 n. 74-che caratterizza il giudizio penale ed il giudizio tributario, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992) che non operano nel processo penale e, dall’altro, possono valere anche presunzioni legali (od anche presunzioni prive dei requisiti prescritti dall’art. 2729 ce.) inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna (cfìr. Corte cass. V sez. 24.5.2005 n. 10945; id. 8.10.2010 n. 20860). Deve pertanto ribadirsi il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare”‘ (cfr. Corte cass, V sez. 21.6.2002 n. 9109. Vedi: Corte cass. V sez. 83.2001 n. 3421; id. 25.1.2002 n. 889; id. 19.3.2002 n. 3961; id. 24.5.2005 n. 10945; id. 12.3.2007 n. 5720; id. 18.1.2008 ti. 1014 -in materia di fatturazione per operazioni inesistenti: ribadisce che la efficacia del giudicato concerne solo circostanze fattuali specifiche, ma non può estendersi anche agli elementi di valutazione dì quei fatti-; id. 17.2.2010 n. 3724; id. 8.10.2010 n. 20860; id. 27.9.2011 n. 19786; id. 23.5.2012 n. 8129).
12. Debbono invece ritenersi fondate le altre censure (secondo e quinto motivo) rivolte a denunciare la omessa considerazione da parte della CTR di elementi probatori decisivi (accertamenti in fatto compiuti dal Giudice penale nella sentenza divenuta irrevocabile) e la inesatta valutazione di quelli utilizzati a supporto del “decisum” (in quanto la fattura n. 12/1994, unica rivenuta presso la ditta M., ed utilizzata dall’A. ai fini della detrazione d’imposta, risultava emessa nei confronti di altro soggetto -Comune di Bosa-; la non corrispondenza degli importi indicati nelle fatture con gli importi dei bonifici dei pagamenti eseguiti alla ditta M. non trovava riscontro probatorio).
I Giudici di merito, da un lato hanno omesso del tutto di verificare la rilevanza dei fatti accertati in sede penale ai fini della soluzione della controversia tributaria; dall’altro hanno ritenuto apoditticamente adeguate le giustificazioni fornite dall’A. circa la non coincidenza degli importi fatturati e bonificati (secondo il contribuente la ditta M. avrebbe emesso le fatture anteriormente alla definizione delle contestazioni tra la ditta committente e quella subappaltatrice sul computo metrico di avanzamento lavori: il computo metrico -secondo l’A.- avrebbe comportato una liquidazione inferiore agli importi indicati nelle fatture), non ravvisando, da un lato, che tali giustificazioni trovavano smentita almeno in una delle predette fatture, rinvenute presso la ditta M., che risultava emessa nei confronti di altro soggetto, e non considerando, dall’altro, che, come ribadito dalla Corte di Giustizia, il diritto alla detrazione non può essere esercitato in modo difforme dal titolo che lo legittima, e cioè dalla indicazione della imposta come liquidata nella fattura, in quanto, come emerge dall’art. 20 paragr. 1 lett. a), Sesta direttiva n. 77/388/CEE, quando la detrazione d’imposta “è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha diritto”, perché la imposta indicata in fattura è in tutto od in parte non dovuta in relazione alla specifica operazione posta in essere, sì rende necessario procedere alla rettifica (cfr. Corte giustizia sentenza 3.12.1989 in causa C-342/87 , Genius Holding BV, punti 15-19 che ha puntualizzato come “l’esercizio del diritto di detrazione non si estende all’imposta dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura”). La Corte di Lussemburgo ha altresì precisato che, in difetto di norme comunitarie espresse, deve ritenersi riservata alla discrezionalità degli Stati membri la disciplina delle modalità della rettifica, al fine di conformare le indicazioni contenute nella fattura al diritto alla detrazione legittimamente esercitabile dal soggetto passivo, con l’unico limite che le misure previste dai singoli ordinamenti non eccedano quanto è necessario ad assicurare la esatta riscossione della imposta ed evitare le frodi (cfr. Corte giustizia sentenza 21.3.2000 in cause riunite C-110/98 e C-147/98, Gabalfrisa, punto 52), ed ha ancora chiarito che la rettifica della fattura non può essere impedita -anche in caso di condotte illecite- ma soltanto nel caso in cui risulti in concreto eliminata ogni situazione di rischio di perdita delle entrate fiscali (o perché la fattura, che rechi la indicazione della imposta superire od inferiore a quella effettivamente dovuta, sia stata ritirata o distrutta dall’emittente, o perché quest’ultimo si sia tempestivamente attivato presso gli Uffici finanziari per elidere in concreto gli effetti della imposta indebitamente fatturata: cfr. Corte giustizia 19.9.2000 in causa C-454/98 Schmeìnk & Cofreth AG, e Manfred Strobel, punti 58-61 e 70).
La sentenza della CTR, che non si è conformata ai principi di diritto del Giudice comunitario e che appare gravemente lacunosa quanto alla rilevazione ed esame delle emergenze istruttorie risulta inficiata dai vizi di legittimità denunciati e deve, pertanto, essere cassata.
13. In conclusione il ricorso deve essere accolto, quanto al secondo e quinto motivo, inammissibile il primo, infondati il terzo e quarto motivo; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa, per nuovo esame, ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Sardegna che si atterrà ai principi di diritto comunitari indicati al paragr. 12 della motivazione, emendando i vizi logici riscontrati e liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame, ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Sardegna che si atterrà ai principi di diritto comunitari indicati al paragr. 12 della motivazione, emendando i vizi logici riscontrati e liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.
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