CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2013, n. 23321
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Imputazione temporale dei componenti di reddito – Principio di competenza economica – Costi per provvigioni – Condizioni – Certezza e determinabilità nella debenza e nell’ammontare
Svolgimento del processo
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava, previa riunione, gli appelli proposti dall’Agenzia dell’Entrate avverso la decisione di primo grado che aveva accolto i ricorsi riuniti proposti dalla (…) e (…) e dei singoli soci avverso gli avvisi di accertamento e conseguenziali cartelle dì pagamento con i quali erano state rettificate le dichiarazioni dei redditi della società ai fini Irap ed Iva per l’esercizio sociale 2002 e, conseguentemente, quelle dei soci (…) e (…), in proprio e quale erede di (…), ai fini Irpef.
La Commissione Tributaria Regionale laziale, respinte le eccezioni di inammissibilità delle impugnazioni sollevate dai contribuenti, nel merito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento, riconosceva la legittimità dell’emissione nell’anno 2002 delle fatture aventi ad oggetto costi per provvigioni passive, relative ai sub agenti, ritenendo non sussistente la violazione del principio di competenza.
Eguale motivazione veniva svolta dalla Commissione Regionale relativamente ad altri costi per provvigioni passive.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, Agenzia delle Entrate.
Hanno resistono con controricorso la società ed i soci.
Motivi della decisione
l. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione dell’art. 75 d.p.r. 917/86 per avere la commissione Tributaria Regionale ritenuto, in ordine al primo rilievo contenuto nell’avviso di accertamento (provvigioni in favore di (…) e (…)), che la deduzione del costo dovesse avvenire alla data del materiale esborso di denaro laddove, secondo la norma invocata, le regole di imputazione temporale dei componenti di reddito seguono il principio di “competenza economica” ovvero del momento in cui il costo perviene a “maturazione”, cioè con l’ultimazione della prestazione.
Nel caso specifico, secondo la ricorrente, non vi era dubbio che le prestazioni rese dai subagenti si riferissero ad anni di imposta precedenti al 2002 in quanto il rapporto con il (…) era cessato nel giugno 2000 e la fattura della (…) recava la dicitura “provvigioni 2001”.
1. Il motivo è infondato apparendo sufficiente, all’uopo, dare continuità al principio già affermato da questa Corte (Cass. n.23361/2006 secondo cui “In tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’art. 75, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, disponendo che i ricavi ed i costi di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare vanno imputati all’esercizio in cui si verificano tali condizioni, esclude la deducibilità di provvigioni non ancora certe e determinate nella loro debenza e nel loro ammontare, in quanto contrattualmente condizionate al buon fine delle prestazioni, non ricorrendo, fino al momento in cui dette prestazioni non siano ultimate effettivamente, il requisito della certezza, normativamente prescritto ai fini dell’imputabilità ai costi di esercizio”. Tale principio ha trovato ulteriore seguito nella sentenza n.9539 del 29/04/2011 di questa Corte la quale ha affermato che in tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 15 febbraio 1999, n. 65 che ha modificato, in attuazione della direttiva comunitaria 13 dicembre 1986, n. 653, l’art. 1748 cod. civ., per determinare il momento in cui le provvigioni dell’agente possono essere dedotte come costi bisogna far sempre riferimento all’art. 75, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, con la conseguenza che esse sono deducibili nell’esercizio corrispondente al momento in cui il contratto promosso dall’agente è eseguito o avrebbe dovuto essere eseguito.
1.2. Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale ha espressamente motivato la decisione impugnata (in ordine all’epoca di maturazione delle provvigioni per la promozione di ordini di acquisto di capi di abbigliamento) in linea con i superiori principi, e con accertamento in fatto non censurato.
1.3. Ne consegue l’infondatezza del motivo avendo la Commissione Tributaria laziale fatto applicazione del principio di competenza di cui all’art.75 co 1, del d.p.r. 917/86 con riferimento al maturare delle provvigioni e non al “materiale esborso del costo” come dedotto in ricorso.
2. Con il secondo motivo -afferente la medesima violazione di legge di cui al primo motivo- si censura la sentenza impugnata per avere, con riferimento al rilievo n. 5 contenuto nell’avviso di accertamento, ritenuto che il costo relativo al contratto con la (…) (subagente) non avrebbe potuto essere determinato prima dell’emissione della relativa fattura, laddove, invece, dal contenuto dell’accordo e dal tetto massimo di spesa in esso fissato non vi era dubbio che tale costo fosse già certo e determinabile ed avrebbe dovuto essere dedotto nella misura di un terzo per ciascun anno.
2.1. Il motivo è infondato per le medesime ragioni in diritto svolte con riguardo al primo motivo.
2.2. Il mezzo, peraltro, non involge l’accertamento in fatto compiuto dal Giudice di appello in ordine all’oggettiva indeterminabilità del costo alla data dell’accordo laddove la CT.R- ha espressamente motivato che l’importo complessivo del compenso, quantificato solo con riferimento al tetto massimo da corrispondere a fine rapporto, veniva concordato nella percentuale del 12% dell’ammontare delle provvigioni maturate nell’ultimo triennio e, pertanto, non determinabili preventivamente ed ha aggiunto che detto massimo avrebbe potuto subire variazioni di segno negativo in dipendenza dell’esito incerto del mercato durante il periodo interessato non consentendo a priori l’esatta quantificazione del costo deducibile anno per anno: ciò anche in considerazione delle già menzionate particolari modalità operative seguite in quel settore commerciale”.
Anche tale capo di sentenza, pertanto, risulta motivato in linea con i principi di diritto tracciati da questa Corte, e sopra illustrati, onde la sentenza impugnata va immune da censuta.
3. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte il ricorso va, quindi, rigettato.
4. In ossequio al principio della soccombenza, le spese -liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M.n.140/2012- vanno poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione in favore dei controricorrenti, in solido, delle spese processuali che liquida in complessivi euro 2.100, oltre euro 200 per esborsi ed accessori di legge.
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