CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2013, n. 23324
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Omessa tenuta delle scritture contabili – Conseguenza – Disconoscimento di deducibilità dei costi per difetto del principio di inerenza
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria regionale delle Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello principale, proposto dall’Agenzia delle Entrate, e rigettava quello incidentale, proposto dal contribuente, avverso la sentenza di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da B.R. avverso avviso di accertamento relativo ad Irpef ed Ilor dell’anno di imposta 1996, aveva demandato all’Amministrazione finanziaria la rideterminazione del reddito con riconoscimento dei costi effettivamente sostenuti.
In particolare, i Giudici territoriali rigettavano tutti i motivi di appello incidentale relativi alla notificazione dell’avviso di accertamento e del processo verbale di constatazione nonché alla mancanza di motivazione dell’avviso.
Affermavano, nell’accogliere l’appello principale, che la mancata tenuta delle scritture contabili aveva portato quale naturale corollario che, ai sensi dell’art. 75 T.U.I.R., eventuali costi mancavano del principio di inerenza, mentre il contribuente nessuna prova di segno positivo aveva fornito al proposito. Egualmente legittimi, in mancanza di scritture contabili dovevano ritenersi sia la ripresa di maggiori ricavi che il disconoscimento del valore delle rimanenze.
Avverso la sentenza R.B. ha proposto, affidandosi ad otto motivi, ricorso per cassazione.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
l. Con il primo motivo, articolato ai sensi dei n.ri 3, 4 e 5 dell’art.3 dell’art.360 c.p.c, il ricorrente censura il capo della sentenza con il quale il Giudice di secondo grado aveva disatteso il motivo di appello incidentale relativo alla giuridica inesistenza ovvero radicale nullità della notificazione dell’avviso di accertamento perché eseguita da soggetti assolutamente privi di potere e di legittimazione al compimento di tale attività. In particolare, il ricorrente evidenzia di avere contestato in tutti gli scritti difensivi che i soggetti che avevano eseguito la notificazione avessero la qualità di messo comunale.
1.1. Non sussiste il vizio di omessa pronuncia denunciato ai sensi del n.4 dell’art.360 c.p.c. Come noto, detto vizio si configura solo quando manchi qualsiasi statuizione su un capo della domanda o su un’eccezione di parte sì da dar luogo all’inesistenza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto. La differenza tra l’omessa pronuncia di cui all’art.112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversa di cui ai n.5 dell’art.360 c.p.c. si coglie, infatti, nel senso che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia.
Nel caso in esame la Commissione Tributaria regionale si è espressamente pronunciata sull’eccezione, formulata con il ricorso introduttivo e ribadita in atto di appello, ritenendo che fosse onere dei contribuente che tale eccezione aveva formulato fornirne la prova.
1.2 Il mezzo, poi, nella parte in cui si denunciano i vizi di cui al n.5 dell’art.360 c.p.c, è inammissibile. Ed invero, la sentenza impugnata viene censurata contemporaneamente di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione laddove non appare revocabile in dubbio che una motivazione mancante non può essere insufficiente ovvero contraddittoria; ma, soprattutto, il motivo è inammissibile alla luce del principio sopra illustrato, non essendo stato neppure prospettato il fatto decisivo che, ove valutato/ avrebbe potuto condurre ad una diversa soluzione della controversia.
1.3 Non ricorre la dedotta violazione di legge. Nel capo censurato,la Commissione Tributaria Regionale ha rilevato come il contribuente avesse contestato solo “la legittimità del potere del messo” e che l’eventuale inesistenza della notificazione non poteva avere alcun riflesso sulla validità dell’accertamento”. Così argomentando il Giudico di appello si è mosso sul solco interpretativo già tracciato da questa Corte con sentenza n.16407/2003 la quale ha statuito che la nullità di un atto non dipende dalla illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un pubblico ufficio, ma dall’impossibilità oggettiva di individuare l’identità del firmatario, senza che rilevi la soggettiva ignoranza di alcuni circa l’identità dell’autore dall’atto. Pertanto, nel caso di sottoscrizione illeggibile della relata di notificazione di un avviso di accertamento, spetta al contribuente, superando la presunzione che il sottoscrittore qualificatosi nell’atto come titolare di un pubblico ufficio (nella fattispecie, messo comunale) – aveva il potere di apporre la firma, dimostrare la non autenticità di tale sottoscrizione o l’insussistenza della qualità indicata, con la conseguenza che, in assenza di una tale dimostrazione, va escluso il vizio di nullità (o di inesistenza) della notificazione.
2. Con il secondo motivo – articolato sempre ai sensi dei nn.3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c – il ricorrente censura il capo della sentenza con il quale il giudice di secondo grado aveva disatteso il motivo di appello incidentale relativo alla giuridica inesistenza ovvero nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per essere stata effettuata la notificazione mediante la sola affissione dell’avviso del deposito nell’albo del Comune anzicchè nei modi e con le formalità di cui all’art.140 c.p.c.
2.1. Anche per detto mezzo deve rilevarsi l’insussistenza del vizio ex art. 360, n.4, c.p.c. per le ragioni già sopra svolte.
2.2. In ordine, invece, alla dedotta violazione di legge la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel ritenere che in tema di notificazione degli atti in materia tributaria, qualora risulti che il contribuente sì sia trasferito in località sconosciuta, il messo notificatore, prima di procedere alla notifica ai sensi dell’art. 60, primo comma, lettera c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, deve effettuare ricerche nel comune dove è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune; la notificazione ai sensi della predetta disposizione può essere tuttavia ritenuta valida anche nell’ipotesi in cui risulti “a posteriori” che il trasferimento era intervenuto nell’ambito dello stesso comune, sempre che al momento della notificazione, nonostante le ricerche effettuate nell’ambito dello stesso comune dal messo notificatore (la cui sufficienza va valutata dal giudice di merito con apprezzamento sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo motivazionale), permanessero ignoti il nuovo indirizzo ed il relativo comune per circostanze non addebitabili né opponibili all’Amministrazione, ad esempio, per il decorso di un termine troppo breve tra il trasferimento e la notificazione e/o l’inottemperanza del contribuente agli oneri posti a suo carico dalla disciplina in materia di mutamenti anagrafici (Sez. 5, Sentenza n. 1440 del 22/01/2013 -Sentenza n. 14030 del 27/06/2011). Nella specie, per quello che risulta dalla sentenza, la notificazione ex art. 60 venne effettuata sulla base della dichiarazione del custode dello stabile ove era il domicilio fiscale (la cui variazione non è stata comunicata) “trasferito ignorandosi dove”. A fronte di ciò il mezzo è, comunque, inammissibile per difetto di specificità. Il ricorrente, infatti, pur avendo dedotto di avere prodotto in giudizio un certificato anagrafico dal quale risulterebbe la permanenza della sua residenza nel Comune di Milano, omette di riportarne il contenuto impedendo a questa Corte la necessaria verifica in ordine alla decisività del fatto la cui valutazione sarebbe stata omessa la valutazione.
2.3. E, peraltro, il motivo si appalesa comunque inconducente, essendo pacifico in atti (come risultante dalla sentenza impugnata nella narrativa del fatto e dedotto dalla controricorrente) che nella specie si sia verificata la sanatoria ex art.156 c.p.c. ritenuta applicabile da questa Corte anche alla notificazione degli avvisi di accertamento (cfr. tra le tante Cass.n.14925/2011, Cass.n15554/09).
3. Con il terzo motivo -articolato come gli altri ai sensi dei nn. n.3, 4 e 5 dell’art.360 c.p.c.- il ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Commissione Regionale lombarda nel ritenere che fosse sufficiente e legittima la mera comunicazione del processo verbale e non la sua notificazione mentre con il quarto motivo -afferente violazione di legge e omessa pronuncia- si deduce l’errore in cui sarebbe incorso il Giudice di appello nel ritenere legittimo l’avviso di accertamento, pur in mancanza di allegazione del p.v.c., e ciò in aperta violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente.
3.1 I motivi sono infondati alla luce dei principi costantemente affermati da questa Corte per cui “in tema di contenzioso tributario, la consegna del processo verbale di constatazione è equipollente alla notificazione in quanto idonea a soddisfare l’esigenza di certezza, sottesa alla forma speciale prescritta dal legislatore nella disposizione richiamata, stante la medesima efficacia di piena conoscenza dell’atto da parte dell’interessato” (Cass.n. 14366 del 30/06/2011) per cui non sussiste l’obbligo di allegazione qualora l’atto sia comunque conosciuto dal contribuente (cfr. SS.UU. n. 11722 del 14/05/2010).
4. E’ infondato anche il quinto motivo con il quale il ricorrente reitera l’eccezione di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento perché facente un acritico richiamo al contenuto del p.v.c. evidenziando come la Commissione Tributaria Regionale si sarebbe, sul punto, limitata ad una affermazione apodittica di infondatezza dell’’eccezione.
4.1. Non sussiste, infatti, la dedotta omessa pronuncia per le considerazioni sopra svolte cosiccome non sussiste neppure la dedotta violazione di legge alla luce del principio costantemente affermato (da recente questa Sezione, sentenza n. 21119 del 13/10/2011) per cui in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie relativo ad avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria, la motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute ne. verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.
5. Con il sesto motivo – afferente violazione di legge ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art.360 n.ri 3, 4 e b c.p.c. – il ricorrente deduce il difetto di motivazione della sentenza impugnata laddove, a fronte della specifica eccezione che l’Ufficio non avesse offerto la prova dell’effettiva sussistenza di ricavi nel 1997, anzicchè nel 1996 come sostenuto da esso ricorrente, la Commissione lombarda si era limitata ad affermare che “è perfettamente motivata la ripresa di maggiori ricavi perché i ricavi vanno contabilizzati nell’anno di competenza, cioè al momento della cessione dei beni”. Sussisteva, inoltre, sempre secondo il ricorrente la violazione dell’art. 2697 c.c. in quanto la maturazione del ricavo in un anno diverso da quello dichiarato e risultante dalla fattura registrata era fatto costitutivo della pretesa tributaria onde andava provato dall’Ufficio.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza non avendo il ricorrente riportato il contenuto degli scritti difensivi di primo e di secondo grado in seno ai quali avrebbe sollevato la questione di cui lamenta l’omessa pronuncia.
7. Con il settimo motivo il ricorrente- denunziando violazione di legge, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – deduce come la C.T.R., malgrado esso contribuente avesse specificatamente contestato di avere omesso di tenere il libri obbligatori .(avendo comunque provveduto a detti adempimenti sia pure in ritardo ed evidenziato che nel verbale sottoscritto l’ente impositore aveva ritenuto valide le doglianze del contribuente) abbia inopinatamente motivato in ordine alla prima contestazione che i costi neri erano stati documentati dal contribuente mentre non aveva dato alcun rilievo a quanto riconosciuto dall’Ufficio nel corso del procedimento per adesione. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, i costì erano stati espressamente riconosciuti dall’Ufficio che ne aveva dato atto nel verbale prodotto in atti.
7.1. Il motivo è inconducente non apparendo idoneo a inficiare la correttezza della motivazione adottata sul punto dalla Commissione Tributaria regionale la quale dall’’omessa tenuta delle scritture contabili, sia pure per un certo periodo, ha tratto la corretta conseguenza della mancata inerenza dei. costi che “solo una corretta rilevazione contabile avrebbe potuto dare”. La Commissione regionale lombarda, peraltro, ha anche argomentato, con motivazione non fatta oggetto di specifica censura che il contribuente non aveva fornito alcuna prova dei costi sostenuti né che avesse prodotto alcuna documentazione a supporto. Correttamente, inoltre, non è stato attribuita valenza di riconoscimento dell’illegittimità dell’avviso di accertamento al contenuto del verbale sottoscritto in occasione del procedimento per adesione (non perfezionatosi per mancata accettazione del contribuente) non potendosi attribuire allo stesso, per la sua natura di istituto teso alla deflazione dell’instaurarsi del contenzioso, alcuna valenza confessarla.
8. Con l’ultimo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata di violazione di legge ed omessa pronuncia per avere il Giudice di appello solo apparentemente motivato sulla dedotta illegittimità del provvedimento irrogatitive delle sanzioni siccome non motivato con la seguente affermazione : il mancato adeguamento (all’ obbligo di tenuta della contabilità) comporta delle sanzioni che non necessitano di motivazione essendo un portato dell’infrazione commessa.
8.1. Il motivo è infondato. Non sussiste l’omessa pronuncia avendo la Commissione lombarda, come sopra illustrato, fornito motivazione sul la questione dedotta cosiccome non sussiste la dedotta violazione dell’art. 17, 1 comma del d.lgs. n.472/1997, riferendosi la norma alla motivazione dell’avviso di accertamento e, comunque, essendo sufficiente ai fini della motivazione la contestazione dell’omessa tenuta delle scritture obbligatorie cui consegue per legge (art.9 d.lvo n.471/1997) l’irrogazione di sanzione.
9. In conclusione il ricorso va rigettato.
10. In ossequio al principio di soccombenza le spese processuali, liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al D.M. n.140/2012, vanno poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali che liquida in complessivi euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.
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