CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2013, n. 23331
Tributi – IVA – Operazioni triangolari – Esportazione – Prova – Effettiva uscita della merce dal territorio doganale
Svolgimento del processo
1. Oggetto del contendere è rappresentato dalla imponibilità ad IVA di alcune operazioni di cessioni di beni effettuate dalla S.I. s.r.l., riportate da tre fatture emesse nell’anno 1998 dalla società C.T. speciali spa relative a macchinari commissionati dalla S. e destinati a committenti residenti in Siria.
2. L’Agenzia delle Entrate, sostenendo che non era stata rispettata la procedura prevista ai fini della non imponibilità ad IVA delle esportazioni triangolari dall’art.8 comma 1 letta) dpr n.633/1972, ha emesso nei confronti della C.T. speciali spa un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione del tributo IVA sulle fatture emesse dalla C. nei confronti della S. International s.r.l.
3.La società contribuente ha proposto ricorso innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Trento che lo accoglieva, ritenendo l’operazione non assoggettabile ad IVA e compensando le spese.
4. L’appello proposto contro tale sentenza dall’Agenzia delle Entrate veniva respinto dalla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, con sentenza pubblicata il 27 febbraio 2005, che pure respingeva l’appello incidentale proposto dalla società contribuente in ordine alle spese processuali.
5. Riteneva il giudice di secondo grado che l’operazione che aveva dato origine alla contestazione corrispondeva perfettamente allo schema disegnato dall’art.8 comma 1 lett.a) dpr n.633/72, risultando dagli atti prodotti che dette operazioni erano state curate per conto del cessionario dalla cedente in favore del committente utilizzatore finale avente sede in uno Stato estero.
6. Aggiungeva che alla cedente erano intestati i documenti di trasporto e le fatture, “…mentre le altre, emesse successivamente, rispecchiano il contenuto dei primi”- così testualmente la sentenza impugnata-.
7. Precisava, ancora, che il Bill of lading non era affatto dirimente, poiché tali documenti integravano la prova che la merce, esaurita l’operazione doganale, risultava caricata sul vettore marittimo. Evidenziava che le motivazioni esposte nell’atto di appello avevano equivocato sulla natura e sulla conseguente efficacia probatoria degli atti richiamati, sovvertendo la lineare ricostruzione delle operazioni che si ricavava dall’esame della documentazione relativa alla cessione ed al trasporto della merce. Affermava, infine, che era stata correttamente applicata la regola in tema di soccombenza rispetto alle spese processuali.
8. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
9. Con il primo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.112 c.p.c., in relazione agli artt.8 d.p.r.n.633/72 e 360 comma 1 n.4 c.p.c. Secondo l’Agenzia la motivazione della sentenza non consentiva di ripercorrere l’iter logico seguito per giungere all’annullamento dell’avviso di accertamento, integrandosi un’ipotesi di omessa pronunzia. Benché, infatti, dagli accertamenti compiuti fosse emerso che era stata la S., cessionario nazionale delle operazioni di esportazione in regime triangolare, a curare in prima persona il trasporto, commissionandolo direttamente alla casa di spedizione, con la quale aveva mantenuto i rapporti in via di esclusiva, la Commissione tributaria di secondo grado di Trento aveva, invece, ritenuto che le operazioni erano state curate dalla cedente.
Chiariva che la vendita alla S. non poteva essere considerata cessione triangolare non imponibile ai fini IVA, in quanto sia il trasporto che la spedizione all’estero erano state curate direttamente dal cessionario. La sentenza impugnata aveva disatteso la specifica contestazione dell’amministrazione relativa al fatto che la C. non aveva documenti che provavano la triangolazione.
10. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.8 d.p.r.n.633/72, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., avendo la Commissione tributaria di secondo grado di Trento erroneamente inquadrato i fatti oggetto della contestazione. Evidenziava che per fruire del beneficio dell’esenzione IVA era necessario che la seconda cessione dei beni -originariamente acquistati dal primo cedente in Italia- fosse eseguita con il trasporto e la spedizione a cura del primo cedente anche se su incarico dell’acquirente intermedio. In definitiva, requisito indefettibile per l’operatività dell’anzidetto meccanismo era rappresentato dal fatto che fosse il primo cedente, in qualità di mittente, a curare il trasporto e ad emettere il documento di accompagnamento nel quale doveva essere indicato il destinatario e il luogo di destinazione. Nel caso concreto, per contro, dalla documentazione esibita era emerso che il cessionario aveva curato in proprio la spedizione nel paese terzo (Siria) delle merci vendute dalla C., nemmeno avendo la predetta fornito la prova di avere direttamente provveduto al trasporto della merce. Per di più i documenti di trasporto della merce verso il paese terzo erano stati stipulati dalla cessionaria. Aggiungeva che nel corso dei due gradi di giudizio l’amministrazione aveva sempre eccepito che dalla documentazione esibita non era stata provata la cessione triangolare e contestato che le merci spedite dal primo cedente fossero uscite dall’Italia, ma che a fronte di tali contestazioni la sentenza impugnata aveva apoditticamente affermato l’esistenza della fattispecie disciplinata dall’art.8 cit., disattendendo i motivi specifici proposti dall’ufficio.
11. Con il terzo motivo l’Agenzia lamenta il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. il giudice di appello avrebbe reso una motivazione sintetica che non consentiva di ripercorrere l’iter logico giuridico seguito per giungere all’annullamento della ripresa, per di più alterando l’insieme delle circostanze di fatto che l’Erario aveva posto a base dell’accertamento, ritenendo equivoci gli elementi di contestazione esposti in sede di appello, senza tuttavia dare conto di siffatta affermazione.
12. La società contribuente, nel controricorso, esponeva nella prima parte le obbiezioni svolte rispetto all’avviso di accertamento sottolineando, gradatamente, che: a) che i documenti dimostravano l’avvenuta esportazione fuori dal territorio della CEE a cura e a nome del cedente; b) la Circoscrizione doganale aveva chiesto alla S. i documenti inerenti i trasporti, senza riceverli, proprio perché la S. non era stata parte nelle operazioni anzidette, per di più aggiungendo che la casa di spedizioni S.S. srl di Opera che aveva eseguito le operazioni di spedizione, alla quale detta società si era successivamente rivolta per avere spiegazioni, aveva comunicato, con nota del 17.2.2004, indirizzata alla C. ed alla S. per conoscenza, l’avvenuto trasporto della merce fuori dal territorio doganale, nel porto di Genova, ove la merce era stata imbarcata e spedita via mare con destinazione Siria; c) la circostanza che le fatture erano state emesse nei confronti del cedente non era necessaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte- sent.n.5065/1998-; d) le merci, come risultava dalla vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulle fatture emesse dalla C., erano state effettivamente esportate.
12.1 Aggiungeva, rispetto ai motivi di ricorso presentati, che gli stessi erano infondati, facendo riferimento a documenti mai prodotti (CMR) e non considerando la esaustiva motivazione della sentenza impugnata. In memoria la controricorrente ha poi dedotto l’inammissibilità del ricorso per intervenuto giudicato esterno formatosi rispetto alla sentenza emessa dalla Commissione tributaria di secondo grado di Trento n.41/01/10 resa fra le stesse parti e non impugnata, avente ad oggetto il medesimo rapporto giuridico.
13. Ciò posto, ritiene la Corte di dovere esaminare con priorità il primo ed il terzo motivo di ricorso, lo stesso appuntandosi sulle lacune motivazionali della sentenza impugnata. In via assolutamente preliminare va tuttavia evidenziato che palesemente destituita di fondamento risulta la dedotta inammissibilità del ricorso per intervenuto giudicato esterno formatosi fra le stesse parti in relazione alla pronunzia della Commissione tributaria di secondo grado di Trento indicata in memoria dalla controricorrente- ed allegata alla memoria medesima- la stessa non recando l’attestazione del passaggio in giudicato né risultando che l’oggetto del giudizio definito con la sentenza appena ricordata avesse ad oggetto le medesimi esportazioni oggetto dell’accertamento spiccato nei confronti della C. per l’anno 1998- a fronte di operazioni di esportazioni relative all’anno 2002 oggetto dell’altro procedimento al quale si è riferita la C-.
Passando al merito delle doglianze, ritualmente proposte.
13.1 Orbene, questa Corte ha più volte riconosciuto che in tema di I.V.A., nelle cosiddette “operazioni triangolari” regolate dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, lett. a), e cosi chiamate per la presenza di un cedente e di un cessionario, entrambi residenti nel territorio dello Stato, nonché di un terzo residente all’estero e destinatario della merce, l’esportazione dei beni deve avvenire a cura o a nome del cedente anche se su incarico del cessionario, senza possibilità di inserimento, in tale fase, del cessionario. Inoltre, per espressa previsione, l’esportazione deve risultare da documento doganale ovvero da vidimazione apposta dall’Ufficio Doganale su un esemplare della fattura.
13.2 Questa Corte ha più volte riconosciuto che in tema di I.V.A., nelle cosiddette “operazioni triangolari” regolate dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, lett. a), la prova dell’avvenuta esportazione richiede la dimostrazione dell’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale della Comunità (cfr. Cass. n. 6351 del 2002, 12608 del 2006).
13.3 Sul punto, infatti, si è ripetutamente affermata la necessità, in ordine alla prova dell’esportazione, della documentazione prevista dall’art. 8 cit. (cfr., ex plurimis, Cass. 21946/2007 e 5065/1998); B. non rileva che il trasferimento fisico del bene fuori dall’ambito territoriale dell’UE possa risultare da elementi conoscitivi indiretti, dovendo l’onere della prova della presentazione delle merci alla dogana di destinazione, essere fornita con mezzi, aventi carattere di certezza ed incontrovertibilità, quali possono essere attestazioni di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, mentre documenti di origine privata, come ad esempio la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituisce prova idonea allo scopo (Cass.n. 12608/2006; Cass.n. 13221/2001 e Cass. n.6351/2002).
13.4 Conseguentemente, qualora dal cedente siano state emesse le fatture relative alla merce destinata all’esportazione e su tali fatture, intestate al cessionario residente nel territorio dello Stato, risulti la vidimazione dell’Ufficio Doganale comprovante l’uscita della merce dal territorio doganale, devono ritenersi soddisfatte le condizioni richieste dalla legge per ritenere sussistente una operazione triangolare e, quindi, una cessione all’esportazione esente da imposta (Cass. n.5065/1998; Cass.n. 22233/2011).
13.5 Si è pure aggiunto che siccome la prova dell’esportazione a fini IVA coincide, nella sostanza, con quella prevista dalla normativa doganale, ove sia dimostrata l’obiettiva impossibilità di produrre la prescritta documentazione vidimata, può essere consentita la prova dell’uscita del bene ceduto fuori dall’ambito territoriale dell’UE nei modi previsti dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 346 anche a mezzo di:a)attestazioni e certificazioni rilasciate da una dogana o da altre pubbliche amministrazioni estere; b) attestazioni apposte da autorità estere su documenti doganali emessi a scorta di merci introdotte nel territorio doganale “a condizione di reciprocità”; c) idonei documenti di trasporto internazionale. Tali conclusioni interpretative,del resto, sono in piena sintonia con l’esigenza di rigorosa prevenzione antifrode-cfr. sempre Cass.n.21809/12-.
13.6 Orbene, sulla base di queste premesse, le dedotte carenze motivazionali prospettate dall’Agenzia ricorrente colgono nel segno.
13.7 Ed infatti, la motivazione posta dal giudice di secondo grado a corredo del rigetto dell’appello proposto dall’Agenzia risulta totalmente carente e non consente in alcun modo di evidenziare l’iter logico seguito dal giudice di appello per giungere alla conferma della decisione di primo grado che aveva annullato la ripresa a tassazione emessa nei confronti della società contribuente. A fronte di una specifica contestazione, formulata dall’Agenzia ab origine e riproposta in appello-come risulta da pag.22 del controricorso-, in ordine all’insussistenza dei presupposti circa l’esistenza di una cessione triangolare, che come si è visto si appuntano sull’avvenuta esportazione delle merci dalla quale la società contribuente nel corso della fase di merito- come dalla stessa attestato a pag.15 del controricorso, nel quale la C. dava atto di essersi messa in contatto con la S.S. s.r.l. di Opera proprio per accertare le modalità di trasporto della merce ed a pag.18, in cui la controricorrente dichiarava che le esportazioni erano regolarmente avvenute attraverso l’uscita della merce dalla Dogana di Genova accompagnata dai documenti doganali- la Commissione tributaria di secondo grado di Trento si è limitata ad affermare la ricorrenza dei presupposti per applicare l’art.8 d.p.r. n.633/72, sfuggendo quanto meno ad alcuni dei temi di indagine che erano stati posti a fondamento dell’accertamento e che assumevano, per le considerazioni in diritto sopra esposte, rilievo dirimente rispetto all’accoglimento o meno dell’appello proposto dall’Agenzia, proprio in ordine all’avvenuta esportazione delle merci in territorio extra UE secondo le rigide modalità specificate dalla giurisprudenza sopra ricordata ai par. 13.2-13.5.
13.8 Ed infatti, il riferimento alle polizze di carico (Bill of lading) che pure compare nella sentenza impugnata non è in grado di dimostrare l’effettiva esportazione della merce sulla base di documentazione regolarmente vidimata dall’Ufficio doganale.
13.9 Parimenti insoddisfacente risulta l’iter motivazionale in ordine alla dedotta contraddittorietà ed equivocità del gravame proposto dall’Agenzia, cosiccome criptica appare la decisione impugnata laddove afferma che “…dai documenti di trasporto in atti e dalle fatture emesse si desume che i primi sono intestati alla ricorrente ed hanno quale destinazione Genova, mentre le altre, emesse successivamente, rispecchiano il contenuto dei primi”. Si tratta, a ben considerare di un’argomentazione che la Commissione tributaria di secondo grado di Trento probabilmente intendeva utilizzare per dimostrare che le operazioni erano state compiute dalla prima cedente senza tuttavia nulla aggiungere alla questione relativa alla effettiva esportazione della merce secondo i canoni di cui si è detto.
13.10 Si impone, pertanto, un nuovo esame da parte del giudice di merito, il quale dovrà peraltro considerare, ove dovesse risultare l’effettiva esportazione della merce in modo conforme alla giurisprudenza sopra evocata, che la giurisprudenza di questa Corte è ormai ferma nel riconoscere che l’espressione letterale “a cura” del cedente, contenuta nell’art. 8, comma 1, lett. a) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, o quella corrispondente “per suo conto”, contenuta nell’art. 15, comma 1, della direttiva 77/388/CEE (sesta direttiva), vanno interpretate in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente – e cioè al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente – decidere di esportare i beni in un altro “Stato membro”.Dette espressioni, pertanto non consentono di ritenere che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo, semmai richiedendo, quale elemento essenziale, la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero Cass.n. 13951/2011; Cass.n.21956/2010; Cass. n. 6114/2009, 2590/2010 -. Va ulteriormente precisato, infatti, che a conforto di tale precisazione ultima questa Corte ha anche aggiunto-Cass. n. 24964/2010- che lo stesso art. 13 L. n. 413 del 1991, “interpretativo” del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, lett. A), “prevede d’altro canto che gli spedizionieri o i trasportatori possano emettere la fattura nei confronti del cedente o di altri soggetti e quindi, come è stato sottolineato in Cass. 5065/98, dello stesso cessionario”.
13.11 In definitiva, il giudice del rinvio dovrà considerare che ciò che è essenziale per configurare una triangolazione esente da IVA non è che vi sia la prova che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto piuttosto che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti – Cass. 4098/2000 e Cass. n. 24964/2010-.
14. Sulla base delle superiori argomentazioni, la sentenza deve essere cassata, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, con rinvio alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento per nuovo esame sulla base dei principi sopra esposti.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti i primi due Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, la quale pure provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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