CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 ottobre 2013, n. 23734
Tributi – Immobili – Locazione con patto di futura vendita – Configurazione – Condizioni – Mancata contabilizzazione dei corrispettivi al momento della stipulazione del contratto di locazione – Elusione fiscale – Sussiste
Svolgimento del processo
1. Il nucleo di polizia tributaria del Piemonte sottoponeva a verifica le attività della Gestioni finanziarie e immobiliari G. s.p.a. – società operativa nel settore edilizio ed immobiliare- per gli anni dal 2002 al 2004 e redigeva, all’esito, un p.v.c. sulla cui base l’Ufficio emetteva a carico della società, per quel che qui interessa, l’avviso di accertamento n.R31 03T201 627/2006 procedendo alla ripresa a tassazione, per l’anno 2002, di IVA, IRPEG e IRAP ed irrogando altresì le sanzioni per le violazioni accertate.
2. La contestazione ha riguardato, in particolare: a) l’errata contabilizzazione di rateo passivo di euro 15.500,00 per compensi versati a società terza; b) l’accantonamento al “fondo svalutazione crediti” di crediti derivanti da fatturazioni antecedenti rispetto alla maturazione dei ricavi; c) la mancata contabilizzazione, all’atto della stipulazione, dei corrispettivi relativi ai contratti di locazione con patto di futura vendita e dei contratti di locazione con prelazione di vendita, recuperando a tassazione i tributi IRPEG e IRAP ed irrogando le sanzioni per tardivo versamento IVA; d) la contabilizzazione, ai fini IRAP, tra i costi per servizi le spese sostenute per il collaudo di edifici e per opere di urbanizzazione eseguite da professionisti occasionali; e) l’erroneità delle operazioni di addebito ai clienti, senza previsione dell’IVA ai sensi dell’art. 15 dpr n.633/72, dell’ICI pagata dalla società sugli immobili per il periodo intercorrente tra la consegna degli immobili e l’epoca del rogito e di riaddebito, anch’essi senza IVA, a società cooperative promissarie acquirenti di un’area edificabile, nel periodo intercorso fra la data pattuita nel preliminare e quella della stipula dei contratti definitivi di compravendita; f) l’omessa fatturazione di somme a titolo di caparra confirmatoria superiori a quelle contrattualmente previste, non applicando alle stesse l’IVA; g) l’indebita detrazione dell’IVA operata dalla società sugli utili corrisposti dalla società agli associati in partecipazione che avevano effettuato nell’anno 2002 conferimenti in denaro.
3. La società contribuente e l’Agenzia delle Entrate proponevano ricorso innanzi alla CTP di Torino che confermava la legittimità della pretesa fiscale ad eccezione delle sanzioni irrogate per l’indebito recupero dell’IVA applicata sui compensi agli associati in partecipazione.
4. La società contribuente e l’Agenzia delle Entrate proponevano rispettivamente appello principale ed appello incidentale innanzi alla CTR del Piemonte, la quale confermava integralmente la sentenza impugnata, rigettando i gravami proposti con sentenza pubblicata il 30 settembre 2011.
4.1 Secondo la CTR il primo giudice aveva correttamente considerato che ai fini della contabilizzazione regolata dall’art.75 comma 2 lett.a) dpr n.917/87 andava considerato il momento della stipulazione dei contratti di locazione immobiliare con clausola di trasferimento della proprietà del bene locato “vincolante per entrambe le parti”, non rilevando che il passaggio del dominio fosse successivo. Tale conclusione sarebbe stata comunque corretta, anche a volere considerare l’esistenza di un collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita, proprio in relazione alla causa in concreto perseguita dalle parti, sovrapponibile a quella risultante dall’inquadramento dell’intesa nell’alveo della locazione con clausola di trasferimento della proprietà.
4.2 Quanto alla seconda questione – addebito ICI a carico del promissario acquirente – la CTR osservava che, essendo il proprietario il soggetto tenuto al pagamento del tributo locale anzidetto, l’attività posta in essere dalla società aveva natura sostanziale di corrispettivo dovuto per la vendita ed andava, pertanto, assoggettato all’IVA, ciò trovando conferma nella giurisprudenza delle S.U. di questa Corte in tema di detenzione (e non di possesso) del promissario acquirente.
4.3 Aggiungeva, infine, che l’appello incidentale dell’Ufficio teso ad ottenere la revoca della ritenuta inapplicabilità delle sanzioni ex art. 10 c.3 l.n.212/2000 era infondato, ricorrendo un caso di obiettiva incertezza, dimostrata dalla richiesta di chiarimenti sollecitata dagli ispettori compartimentali sollevata nel 1983 proprio al fine di sollecitare un chiarimento a livello legislativo.
5. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso e ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo. La società contribuente ha quindi proposto controricorso al ricorso incidentale. La società contribuente ha depositato memoria ed ulteriori note scritte all’esito dell’udienza.
Motivi della decisione
6. Con la prima complessa censura, la società ricorrente prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art.75 comma 2 lett.a) dpr n.917/86 e degli artt.2 comma 2 n.2 e 6, comma 1 seconda parte del dpr n.633/72 in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nonché omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che aveva errato la CTR nel qualificare i contratti posti in essere con i singoli privati come locazioni con patto di futura vendita immediatamente vincolanti per entrambe le parti o comunque come collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita.
6.1 Dette pattuizioni, infatti avevano avuto ad oggetto la conclusione di un reale contratto di locazione con successiva vendita effettiva del bene locato, ai termine della locazione, non potendosi configurare una vendita rateale del bene stesso. Pertanto, le conclusioni assunte dalla CTR sarebbero state corrette solo nel caso in cui le parti avessero concretamente concordato di versare i canoni di locazione in conto prezzo di vendita. Circostanza, quest’ultima, che doveva escludersi nel caso di specie, come risultava dai contratti prodotti nel corso del giudizio, nei quali la macroscopica difformità di importo fra i canoni di locazione – fissati a prezzi di mercato – e prezzo di vendita oltre che l’oggettiva rilevanza dell’importo pattuito come corrispettivo escludeva in radice la sussumibilità delle intese nell’ambito delle vendite rateali di immobili o della locazione con patto di futura vendita. Da qui l’errore in cui era incorsa la CTR nell’applicare alla vicenda la disciplina prevista dall’art. 75 comma 2 lett.a) cit.
6.3 Aggiunge che tali circostanze di fatto erano state ampiamente provate nel corso del giudizio e risultavano incontestate tra le parti, alla stregua dell’art.115 c.p.c. Precisa che il collegamento negoziale pur esistente fra locazione e preliminare di vendita non consentiva, per le ragioni esposte, di applicare il ricordato art. 75 e I’art. 2 comma 2 dpr n. 633/72, avendo pertanto la CTR ricostruito in modo erroneo la ratio delle norme anzidette, chiaramente improntate ad evitare finalità antielusive.
6.4 In via graduata, la società contribuente ha ipotizzato l’omessa motivazione sul fatto che i corrispettivi relativi alla locazione ed alla vendita erano commisurati ai valori di mercato, specificando che se la CTR avesse adeguatamente ponderato tale circostanza, avrebbe dovuto escludere la sussistenza di una vendita rateale.
6.5 Deduce, in ulteriore subordine, la contraddittorietà della motivazione della sentenza la quale, con riferimento alla contestazione relativa all’ICI addebitata ai promissari acquirenti – non impugnata dalla stessa ricorrente innanzi a questa Corte – aveva fatto propria la ricostruzione del rapporto come preliminare ad effetti anticipati, secondo la quale si realizza un collegamento tra comodato e mutuo. Appariva dunque evidente l’incoerenza logica fra le ragioni esposte all’interno della sentenza, una volta che lo stesso giudice aveva ipotizzato un collegamento negoziale fra locazione e vendita quanto agli accordi fra clienti e G. ed al tempo stesso riconosciuto che la medesima intesa potesse qualificarsi come nesso di collegamento fra comodato e mutuo.
7. L’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’infondatezza della censura, evidenziando che il giudice di appello aveva non solo ritenuto inquadrabile la fattispecie nell’ambito della locazione con patto di futura vendita immediatamente vincolante fra le parti- come era del resto confermato dall’allegato 13 al p.v.c.- ma anche ritenuto che, in ogni caso, l’intesa era sussumibile nell’ambito del collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita, idoneo ad ottenere un risultato analogo a quello proprio della locazione con patto di futura vendita.
8. La complessa censura è inammissibile e, comunque, infondata per le ragioni di seguito esposte.
8.1 II preliminare test di ammissibilità, invero, impedisce a questa Corte di vagliare la doglianza nella parte in cui ipotizza una valutazione fattuale dei contratti conclusi fra G. e singoli clienti diretta ad ottenere un risultato diverso da quello al quale è motivatamente e congruamente pervenuto il giudice di appello. Laddove, infatti, la società intende in questa sede sostenere che i contratti in esame, nemmeno, peraltro riprodotti in ricorso, in difformità rispetto a quanto previsto dall’art.366 comma 1 n.6 c.p.c.-, contenendo l’indicazione di corrispettivi fissati ai valori di mercato tanto con riferimento alla locazione che alla successiva vendita, al dichiarato fine di escluderne la sussumibilità nell’alveo della locazione con patto di futura vendita o della locazione collegata a preliminare di vendita intende, in definitiva, condurre la Corte verso una valutazione fattuale degli elementi negoziali che, per converso, è alla stessa impedita.
8.2 In sostanza, il motivo è inammissibile perché introduce la questione della qualificazione giuridica di una clausola contrattuale. Ed è noto che le questioni attinenti all’interpretazione di un contratto, ove – come nella specie – correttamente delibate e decise sono indeducibili in sede di legittimità, in quanto si traducono in una indagine di fatto (v., ex plurimis, Cass.n.28697/2005; Cass. n. 1508/2001).
8.3 Infatti, secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass.n. 17088/2008, Cass. sez. lav. n. 16036/2008; Cass. sez. lav., n. 15795/2008; Cass.n.4178/2007), l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, qualora gli accordi intercorsi tra le parti siano consacrati in un atto scritto, e per vizi di motivazione, qualora quella adottata sia contraria a logica e incongrua, tale, cioè, da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.
8.4 Ora, proprio con specifico riferimento al collegamento negoziale questa Corte non ha mancato di sottolineare che ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale, per accertare l’esistenza, l’entità, la natura, le modalità e le conseguenze di un collegamento funzionale tra negozi realizzato dalle parti occorre un accertamento del giudice di merito che passi attraverso l’interpretazione della volontà contrattuale e che, se condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità-cfr.Cass.7524/2007-.
8.5 Orbene, nel caso concreto, per quanto è dato desumere dagli atti sui quali la Corte può deliberare, l’operazione interpretativa svolta dal giudice di merito è partita dall’esame dell’art.75 comma 2 lett.a) dpr n.917/87 e dalla previsione in esso contemplata, che ai fini della determinazione del principio di competenza in tema di contabilizzazione dei ricavi individua, quale momento rilevante per i contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti-stipulati pacificamente nell’ambito di un progetto di edilizia convenzionata-, quello della vendita con riserva di proprietà che appunto è collegato all’atto della stipulazione dell’atto per gli immobili.
8.6 Ora, la Ctr, nel ritenere corretta la ripresa a tassazione operata dall’Ufficio sul presupposto che la società contribuente aveva omesso di contabilizzare il corrispettivo pattuito per la vendita all’atto della stipula del contratto, ha considerato l’esistenza di una pattuizione volta al trasferimento della proprietà contemplata all’interno del contratto che pure disciplinava la locazione dei singoli cespiti immobiliari e che era immediatamente vincolante per entrambe le parti, tanto da consentire, alla scadenza della locazione, l’attivazione dello strumento di cui all’art.2932 c.c., attraverso il quale ciascuno dei contraenti avrebbe potuto determinare giudizialmente, in caso di mancata volontaria stipulazione del contratto di trasferimento del bene, gli effetti traslativi ai quali era finalizzata la contrattazione. Ed è ben chiaro che individuando le modalità di versamento, a carico del conduttore futuro acquirente, le parti non avevano certo ipotizzato di postergare l’obbligo di trasferire la proprietà dell’immobile, invece immediatamente concordata all’atto della consegna del bene, tanto da quantificare contestualmente il corrispettivo della vendita con riferimento al valore del bene al momento della locazione e non a quello in cui la proprietà sarebbe transitata in capo al conduttore anzidetto.
8.7 In definitiva, l’unico modo per consentire a questa Corte il sindacato in ordine alla qualificazione dell’intesa negoziale sollecitato dalla società contribuente sarebbe stato quello di evidenziare, sul versante della congruità della motivazione, elementi fattuali non adeguatamente ponderati dal giudice di merito alla cui stregua la qualificazione operata dalla CTR sarebbe risultata incongrua.
8.8 Ma nel caso di specie la società contribuente non ha ritualmente dedotto alcun elemento dal quale potere inferire che il corrispettivo indicato come dovuto al termine della locazione nei singoli contratti esaurisse il valore del prezzo della compravendita ovvero risultasse condizionato – negativamente – dai pregressi pagamenti dei corrispettivi per la locazione, limitandosi ad un esame “a campione” delle pattuizioni contenute nei contratti esaminati nella censura senza che a questo fosse affiancato un adeguato supporto probatorio rispetto a quanto dalla stessa postulato in ordine alla conformità dei corrispettivi (di locazione e di vendita) ai valori di mercato. Circostanza, quest’ultima, della quale questa Corte non può che dubitare, se si considera che dallo stesso ricorso proposto dalla società contribuente – che pure la stessa ricorrente richiama specificamente all’interno della censura qui esaminata- emerge che taluni dei contratti conclusi dalla medesima società presentavano una regolamentazione tutt’affatto diversa da quella esposta “a campione” dalla G. all’interno del primo motivo di ricorso-v. ad esempio pagg. 39, 40 e 41 ove si riportano diversi contratti in cui i prezzi dei vari immobili venivano indicati in importi variabili – euro 129.600,00, euro 162.300,00, euro 224.900,00, euro 259.819,76 – e risultavano canoni locativi variabile con il versamento, a cadenze variegate, di diversi acconti variabili di prezzo ed un saldo prezzo finale – particolarmente esiguo- rispettivamente, euro 23.300,00, euro 22.800,00, euro 40.000,00, euro 38.019,76 – da corrispondere all’atto della conclusione del rogito notarile-. Rimane, pertanto, apodittica ed irrazionale l’affermazione della ricorrente per cui l’autonomia delle pattuizioni si sarebbe dovute desumere dall’oggettiva rilevanza dall’importo pattuito a titolo di prezzai importo di per sé idoneo a costituire prezzo indipendentemente dai canoni precedentemente pagati).
8.9 D’altra parte, l’affermazione, postulata dalla società contribuente, per la quale la locazione e la vendita successiva integravano dei contratti totalmente autonomi fra loro avrebbe richiesto la dimostrazione, da offrire all’esame di questa Corte, non soltanto dell’effettiva congruità dei rispettivi corrispettivi concernenti la locazione e la vendita rispetto ai singoli cespiti, ma anche dell’inesistenza di quella ragione pratica dell’intesa negoziale che, secondo la CTR, avrebbe comunque caratterizzato i due contratti(locazione e preliminare di vendita)- ove fossero stati considerati esistenti- rivolta a realizzare fin dall’inizio il vincolo al trasferimento della proprietà all’atto stesso della scadenza del contratto di locazione. Ragione pratica che il giudice di appello, puntualmente conformandosi alle più recenti tendenze dottrinali e giurisprudenziali in tema di causa concreta- per cui v., specificamente, Cass.S.U. n.3947/2010-, ha adeguatamente sviluppato cogliendo puntualmente nell’intesa negoziale raggiunta dai contraenti la sintesi degli interessi reali che il contratto stesso era diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato), appunto tesi a consentire l’immediato godimento del cespite immobiliare fino alla data di stipula dell’atto di trasferimento con contestuale versamento del corrispettivo finale predeterminato.
8.10 Va peraltro considerato che la motivazione espressa dalla CTR appare conforme a diritto oltreché pienamente logica e coerente la ricostruzione operata dal giudice di appello, ad onta di quanto postulato dalla società contribuente.
8.11 Quanto al primo aspetto, infatti, il giudice di merito è partito dall’esame dell’art. 75 comma 2 lett.a) d.lgs. n. 917/86, ricordando che ai fini dell’imputazione a periodo dei componenti dì reddito, la disposizione appena richiamata prevede, ai fini fiscali, l’assimilazione della locazione con patto di trasferimento della proprietà alla vendita con riserva di proprietà.
8.12 Il criterio appena ricordato risulta riproposto in ambito IVA ove l’art. 2, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, elencando le operazioni assimilate alle cessioni di beni, pur in difetto dei requisiti generali dettati dal primo comma, include le vendite con riserva di proprietà e le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti. Ragione per cui, tanto nel caso di vendita con riserva di proprietà che il quello della locazione con patto di futura vendita, il differimento del trasferimento della proprietà non rileva ai fini IVA e l’operazione, quanto all’individuazione del momento di contabilizzazione, deve essere trattata come una ordinaria cessione di beni, soggetta a IVA per l’intero corrispettivo al momento in cui viene effettuata ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972.
8.13 Orbene, non può dubitarsi, rispetto alla ricostruzione operata dalla società contribuente, che la vendita rateale con riserva di proprietà e la locazione con imputazione a riscatto (di cui all’art. 1526 c.c.) costituiscono ipotesi ben diverse rispetto alla locazione con preliminare di vendita. Se, infatti, nei primi due casi i pagamenti (rate/canoni) sono satisfattivi del prezzo, nell’altro i pagamenti costituiscono il corrispettivo del godimento dell’alloggio per gli anni previsti, mentre il prezzo di vendita resta autonomamente predeterminato ed è di per sé stesso indipendente dai canoni versati. Ma contrariamente all’assunto della contribuente – v. pag.4 memoria – l’art.75 cit. non richiama affatto le sole fattispecie di cui all’art. 1526 c.c., parlando di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue la parti. Ciò che non esclude affatto il caso del collegamento negoziale di locazione e compravendita, ancorché in successione temporale, perché ciò che conta è solo l’esistenza di un vincolo giuridico alla compravendita per entrambe le parti.
8.14 In definitiva, il giudice di merito ha correttamente inteso la ratio della disposizione appena evocata, riproposta nell’art.109 TUIR attualmente in vigore la quale supera, ai fini fiscali, le differenze che pure caratterizzano le due tipologie negoziali in campo civilistico- vendita con riserva di proprietà e locazione con patto di futura vendita- posto che nella prima al compratore si trasferiscono fin da subito tutti i rischi legati alla perdita e al deterioramento del bene – il quale ultimo transita automaticamente nel dominio dell’acquirente senza necessità di un ulteriore atto- mentre nella locazione con patto di futura vendita il conduttore ordinariamente non risponde del perimento del bene o del deterioramento dovuto a vetustà, diventando proprietario al termine della locazione solo per effetto di un successivo (ed ulteriore) contratto.
8.15 La CTR ha quindi ritenuto che i contraenti volevano, al momento della conclusione del negozio giuridico e della concessione in godimento, il verificarsi dell’effetto traslativo della proprietà. Ed è evidente come siffatta qualificazione del giudice di merito rispondeva integralmente alla finalità prettamente antielusiva perseguita dal ricordato art.75, per l’appunto rivolta ad evitare che, mediante la stipulazione di un contratto di locazione con patto di futura vendita, fosse indebitamente rinviata al futuro, da parte del venditore o del locatore, l’imputazione a periodo dei componenti di reddito. Del resto, secondo la dottrina e la prassi, si ritiene che l’intento che ha spinto il legislatore ad introdurre – ai fini dell’individuazione dell’esercizio di competenza fiscale – una previsione specifica per la vendita con riserva di proprietà e per la locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti, sia quello di porre un freno a possibili iniziative dei contribuenti che, mediante la locazione di un bene immobile con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti (seguita dalla eliminazione del bene stesso dall’attivo del bilancio), intendano rilevare la plusvalenza emergente dall’operazione solo al momento del successivo trasferimento formale della proprietà, al termine della durata del contratto di locazione.
8.16 Resta, allora, confermato che la disciplina contemplata dall’art.75 ult.cit. riguarda fattispecie tra loro non omogenee dal punto di vista civilistico le quali, tuttavia, ai fini fiscali, trovano un’unica regolamentazione quanto ai principio in tema di contabilizzazione.
8.17 Parimenti immune da vizi di ordine logico deve ritenersi la sentenza impugnata laddove ha stimato che l’intesa negoziale, fin dall’inizio protesa ad ottenere l’acquisto dell’immobile, era strutturata in modo da rendere immediatamente vincolante fra le parti l’obbligo di trasferire la proprietà alla scadenza del contratto. Ragion per cui, anche l’eventuale congruità dei singoli corrispettivi- rispettivamente fissati per il godimento dell’immobile e per il trasferimento della proprietà- non elideva il nesso di collegamento esistente fra le due pattuizioni, pur ipotizzato dalla CTR e la ragione pratica perseguita dalle parti, volta ad ottenere l’immediata disponibilità dell’immobile con il pagamento di un canone locativo e, alla scadenza del periodo concordato, il pagamento di un corrispettivo finale per la vendita. Il che, in definitiva, in mancanza di elementi ulteriori- che solo la società contribuente avrebbe dovuto fornire- non poteva che indurre il giudice di merito a considerare la locazione conclusa con il patto di futura vendita ovvero l’esistenza di un collegamento negoziale fra i due rapporti(locazione con preliminare di vendita). Ed è appena il caso di evidenziare che proprio l’esistenza di detto collegamento non è certo in contrasto con la prioritaria ricostruzione operata dallo stesso giudice di merito, anzi evidenziandosi che questa Corte non ha mancato di ritenere, in passato considerato, a proposito delle assegnazioni di alloggi di edilizia economica e popolare in locazione con patto di futura vendita, che le stesse si caratterizzavano per l’esistenza di due distinti contratti tra loro interferenti, appunto costituiti dalla locazione e dal preliminare di vendita-cfr.Cass.n. 1443/1961-.
8.18 D’altra parte, la circostanza che detti corrispettivi sarebbero stati fissati al prezzo di mercato non poteva apparire pacifica, come prospetta la società contribuente evocando il principio di non contestazione- rispetto al quale non mancano, ancora, nella giurisprudenza di questa Corte, posizioni particolarmente severe rispetto alla concreta valenza di tale canone all’interno del processo-cfr., ad es.. Cass. n. 20211/2012, secondo la quale affinché il fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da poter fondare la decisione ancorché non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, occorrendo che la controparte ammetta il fatto esplicitamente o che imposti il sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con la sua negazione che si contrappone a Cass. n. 8213/2013, secondo la quale la mancata contestazione di un fatto addotto dalla controparte ne rende superflua la prova, conferendogli carattere non controverso, e ciò sia per il sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l’onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell’art. 111 Cost.-. E ciò per un duplice ordine di motivi.
8.19 Per un verso, infatti, era la stessa società contribuente a dichiarare che “il prezzo di vendita dell’alloggio è anche questo coerente con Ì prezzi di mercato, se pur riducibile in parte per effetto del contributo cfr. pag.25 ricorso-.
8.20 E’ poi da evidenziare che i passi delle difese dell’Agenzia riportati dalla società contribuente non appaiono affatto idonei a consentire una valutazione di non contestazione della detta corrispondenza dei corrispettivi ai valori di mercato.
8.21 Dato per ammesso, infatti, che una circostanza dedotta da una parte possa ritenersi pacifica – in difetto di una norma o di un principio che vincoli alla contestazione specifica – se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico, abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col suo disconoscimento- cfr.Cass.n. n. 23816/2010—non emerge dagli atti difensivi dell’Agenzia richiamati dalla società contribuente un’ammissione specifica di tali fatti.
8.22 In questa direzione milita l’uso del termine “Quand’anche”, ricorrente nelle difese dell’Agenzia al solo fine di confermare la piena applicabilità dell’art.75 comma 2 lett.a) dpr n.917/86, nella versione ratione temporis vigente- anche all’ipotesi di inquadramento della relazione negoziale nell’ambito del collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita, appunto correlata alla ragione pratica che aveva ispirato le parti.
8.23 Nessuna specifica e compiuta ammissione in ordine alla fissazione dei canoni di locazione e dei prezzi di vendita ai valori di mercato si rinviene, dunque, negli scritti difensivi dell’Agenzia, piuttosto emergendo che quest’ultima non negò che non vi era stato “un trasferimento immediato della proprietà”.
8.24 Senza dire che la società contribuente ha, nella sostanza, inammissibilmente -cfr.Cass. n. 8764/2013- evocato il principio di non contestazione rispetto alla qualificazione giuridica del contratto- v., infatti, il punto del ricorso introduttivo richiamato dalla società contribuente, allorché la stessa afferma che “…il prezzo di vendita dell’alloggio è anche questo coerente con i prezzi di mercato, se pur riducibile in parte per effetto del contributo, ma comunque non si configura, come nel caso citato dalla Risoluzione ministeriale, una sostanziale vendita con pagamento del prezzo rateizzato in 25 anni”.
8.25 Fuori bersaglio appare, infine, la censura prospettata in via ulteriormente graduata all’interno del primo motivo di ricorso a proposito dell’incongnienza fra la parte della motivazione che aveva individuato un collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita e quella in cui, esaminando fa diversa ed autonoma questione relativa all’assoggettabilità ad IVA dell’ICI corrisposta dal promittente venditore in favore dei clienti o riaddebitata ai predetti, nella quale la CTR aveva fatto riferimento alla figura del contratto preliminare ad effetti anticipati che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sarebbe caratterizzato, in parte qua, dal collegamento fra il contratto di comodato e quello di mutuo.
8.26 Se, infatti, il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” che sorregge il “decisum” adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice- cfr. Cass.S.U. n.25984/10; Cass.n. 17477/2007-, non può ravvisarsi, ad onta di quanto postulato dalla società contribuente, il prospettato vizio, se solo si considera che la CTR, come si è detto, ha fornito ampia ed esaustiva motivazione delle ragioni poste a base della decisione e non ha in alcun modo utilizzato l’argomentazione (richiamata dalla parte ricorrente) a sostegno della decisione assunta con riguardo ad un autonomo capo della domanda, concernente la tempestività della contabilizzazione dei corrispettivi nell’ambito dei contratti di locazione con patto di futura vendita.
8.27 Ciò consente di escludere il vizio di contraddittorietà della motivazione rispetto ad altro capo della sentenza che ha definito, ormai in modo irrefutabile in ragione della mancata impugnazione sul punto da parte della società contribuente, la questione circa l’assoggettabilità ad IVA dell’ICl di cui si è detto. Opinando diversamente, infatti, si finirebbe con l’introdurre un sindacato sulla motivazione del giudice di merito che trascende dalla rado decidendi posta a base del singolo capo di domanda esaminato dal giudice, in tal modo introducendo un vaglio di congruità fra questioni autonome assolutamente irrazionale, che nemmeno sembra trovare aggancio alcuno all’interno della disciplina prevista dall’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.
8.28 Senza dire, in ogni caso, che, come già detto in precedenza, il riferimento alla qualificazione giuridica della vicenda in termini di collegamento negoziale fra locazione e preliminare di vendita venne operato dalla CTR come mera ipotesi alternativa a quella della locazione con patto di futura vendita vincolante per entrambe le parti, esprimendo, in modo coerente con le risultanze processuali e dunque in questa sede insindacabile, ciò che le parti avevano inteso realizzare attraverso lo schema negoziale utilizzato.
9. Con la seconda complessa censura la società contribuente deduce gradatamente:a) la violazione degli artt.99 e 122 c.p.c. per omessa pronunzia, da parte della CTR, della questione relativa alla prospettata violazione dell’art.6 comma 1 d.lgs.n.472/1997, in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c.; b) la violazione degli artt.61 e 37 comma 2 n.4 del d.lgs.n.546/92, in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c.; c) la violazione dell’art.6 commi 1, 2 e 4 d.lgs.n.472/97 e dell’art.8 del d.lgs.546/92, n relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.; d) l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
9.1 Secondo la società contribuente la CTR avrebbe omesso di esaminare le – o in ogni caso non avrebbe adeguatamente motivato [sulle]- questioni relative all’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa di riferimento e dell’errore di diritto incolpevole che la stessa aveva prospettato tanto in primo che in secondo grado, pure tralasciando di esaminare la dedotta conformità del contegno della medesima alla disciplina prevista dall’art.6 comma 1d.lgs.n.472/1997, il quale esclude la punibilità delle condotte del contribuente che abbiano rispettato il criterio della continuità dei valori di bilancio e dei corretti criteri contabili, anch’essa puntualmente esposta innanzi alla CTP e riproposta davanti al giudice di appello.
10. L’Agenzia, nel controricorso, ha rilevato che le questioni relative all’applicabilità dell’art.6 d.lgs.n.472/97 erano state dedotte per la prima volta in appello e non erano state, pertanto, correttamente esaminate dalla CTR alla stregua del principio sancito dall’art.57 d.lgs.n.546/92.
10.1 Rilevava, in ogni caso, che la contribuente non aveva dimostrato la correttezza dei criteri contabili applicati, verifica che pure l’art.6 imponeva per disapplicare le sanzioni, accanto alla continuità dei valori di bilancio.
11. Le censure, ammissibili in rito, risultando dall’esposizione dello stesso motivo di ricorso che la contribuente aveva prospettato già innanzi alla CTP le questioni in ordine alla non sanzionabilità della condotta relativa all’omessa contabilizzazione dei corrispettivi dei contratti di vendita nell’anno della stipula dei relativi contratti con riferimento ai profili riprodotti anche in questa sede, appaiono fondate quanto all’omessa pronunzia sulle stesse da parte del giudice di appello, sono però infondate nel merito.
11.1 E’ infatti vero che la CTR non ha fatto cenno alcuna alle questioni così come prospettate dalla società contribuente, né è rintracciabile un rigetto implicito delle stesse in relazione alla ratio decidenti esposta con riguardo ai punti trattati dalla CTR. Occorre, dunque, passare all’esame della censura, posto che questa Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto-v.Cass. n. 2313/10, Cass. n. 5729/12 e Cass. 24914/11-
11.2 Venendo dunque al profilo correlato alla dedotta applicabilità della causa di non punibilità prevista dal comma 1 dell’art.6 d.lgs.n.472/97- come modificato dall’art.2 d.lgs.n.203/1998- a cui tenore “…Le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili”, la censura è priva di fondamento.
11.3 Va rammentato che la contribuente aveva sostenuto, anche in grado di appello, la non punibilità della condotta alla stessa ascritta senza tuttavia in alcun modo documentare e dimostrare la regolarità del proprio comportamento rispetto al parametro dei “corretti criteri contabili” che pure l’art.6 cit. evoca.
11.4 Ciò posto, va ricordato che alla stregua dell’art.2423 comma 2 c.c. “il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società” e che l’art.2423 bis ex., comma 1 n.1 c.c., chiarisce come “la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica e dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato”.
11.5 Quanto alle regole che devono presidiare alla corretta redazione del bilancio, è appena il caso di rammentare che rispetto alla questione qui accennata sarebbe stato onere della contribuente, pur in assenza di un esplicito richiamo normativo, fare esplicito riferimento non solo al criterio della continuità in bilancio, ma anche ai principi contabili OIC emanati dall’Organismo italiano di contabilità, individuare il principio pertinente e, conseguentemente, concludere nel senso della non punibilità, dimostrando la conformità della condotta ai criteri contabili corretti.
11.6 Ed, infatti, non è superfluo rammentare che anche rispetto alla questione prospettata dalla società contribuente- corretta appostazione in bilancio dei ricavi connessi ad un contratto di locazione con patto di futura vendita- si rinvengono, all’interno dei ricordati principi, diverse disposizioni, alcune delle quali riferibili alla vendita con riserva di proprietà, che proprio individuano la rilevazione del costo da parte dell’acquirente e la rilevazione del componente positivo di reddito da parte del venditore a partire dal momento della consegna o della spedizione del bene(principio n.19). Ed è sempre all’interno degli stessi principi – integranti vere e proprie regole tecnico-ragionieristiche poste a base della corretta redazione del bilancio (cfr.Cass.n.400/2013)-che si rinviene, peraltro, altra regola generale, a cui tenore per ciascuna operazione è indispensabile conoscere la sostanza economica – Principio contabile n. 11- dello stesso qualunque sia la sua origine (contrattuale, legislativa ecc.). Ciò che finirebbe pienamente per confermare l’erroneità, anche dal punto di vista contabile, dell’operato della società contribuente che omettendo la contabilizzazione dei corrispettivi finali non si sarebbe conformata alla sostanza dell’operazione economica ed alla sua ragione pratica.
11.7 Risulta, in definitiva, evidente come la prospettata applicazione dell’art.6 d.lgs.n.472/97 da parte della società contribuente avrebbe imposto alla medesima un onere di allegazione e documentazione idoneo a confutare i superiori rilievi, al quale la stessa non ha in alcun modo ottemperato. La società contribuente, per converso, si è limitata ad assumere la correttezza dell’iscrizione in bilancio di acconti, caparre canoni di locazione e saldo prezzo come debiti e ricavi nel corso degli anni senza tuttavia affrontare il dato rilevante ai fini della corretta contabilizzazione delle voci contrattuali nei termini sopra esposti.
11.8 V’è ancora da aggiungere che se anche la contribuente avesse dimostrato la correttezza contabile- circostanza sulla quale, peraltro, l’Agenzia delle Entrate, sia pure posteriormente rispetto alle vicende per cui è causa, non ha mancato di esprimere il proprio avviso (Ris.n.338/2008)- è dato dubitare che l’inosservanza dei principi in tema di competenza ai fini della contabilizzazione dei ricavi possa integrare l’ipotesi scriminante di cui al ricordato art.6 comma 1.
11.9 Ed infatti, di nessun rilievo è, anzitutto, il richiamo alla disciplina penalistica alla quale pure la contribuente ha fatto cenno— art.7 c.1 prima parte d.lgs.n.74/2000, a cui tenore “Non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonchè le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio se solo si considera la pacifica autonomia fra le sanzioni di natura fiscale tributaria e quelle penali.
11.10 D’altra parte, non può infatti revocarsi in dubbio, che nell’ordinamento tributario il principio di competenza assume tratti di assoluto rilievo.
11.11 Giova rammentare, in proposito, che questa Corte ha più volte ritenuto che poiché “l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anziché ad un altro ben può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi – deve ritenersi rigorosamente preclusa in tema di reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, giacché il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività (v, Cass. 3809/07, 16198/01, 7912/00)”-cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5, n. 3418/2010 e Cass. n. 6331/2008-.
11.12 Si tratta, a ben considerare, di un indirizzo risalente, che trae origine dall’affermazione esplicita per cui “le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario e, pertanto, il recupero a tassazione di ricavi nell’esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio: ciò infatti finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile”-cfr. Cass. 15 novembre 2000 n.14774; idem, Cass.28 luglio 2006 n. 17195; Cass.24 settembre 2008 n.23987; Cass.n.26665/2009; Cass.n.3947/2011 e, da ultimo, da Cass.n. 1648/2013-.
11.13 Ciò consente fortemente di dubitare che l’art.6 cit. possa estendere il suo ambito operativo anche al caso della contabilizzazione di poste in spregio al principio di competenza, capace di modificare la base imponibile e, in definitiva la misura dei tributi dovuti nel singolo esercizio dal contribuente, soprattutto quando, come nel caso di specie, la condotta del contribuente abbia prodotto un differimento dell’imposizione e non un’anticipazione.
11.14 In definitiva, sembra doversi ritenere che l’adozione in continuità di bilancio di criteri contabili civilistici e/o intemazionali ai quali fa riferimento l’art.6 d.lgs. ult. cit. in tanto è in grado di scriminare la violazione dei criteri fiscali, in quanto vi sia obiettiva e inevitabile incertezza tra i due i criteri. Diversamente, chiunque, dinanzi alle non poche diversità dei criteri fiscali, potrebbe confidare nell’adozione di criteri civilistici e/o intemazionali, se più favorevoli, ed attendere l’eventuale azione per poi giustificare il proprio operato alla stregua dei principi in tema di continuità contabile. E poiché nel caso di specie non appare esistente una situazione di obiettiva incompatibilità o incertezza tra criterio ordinario e criterio fiscale la causa esimente in esame non avrebbe comunque potuto operare, restando piena la responsabilità amministrativa ai fini delle sanzioni della parte contribuente.
11.15 Parimenti infondata è la doglianza in ordine alla ritenuta insussistenza di un’incertezza normativa sulla disciplina normativa in tema di contabilizzazione dei corrispettivi relativi a locazioni con patto di futura vendita.
11.16 Questa Corte è ormai ferma nel ritenere che in tema di sanzioni amministrative e correlati interessi moratori per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma terzo, del d.lgs. 27 luglio 2000, n. 212, e dell’art. 8 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi dì confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione-cfr., explurimis, Cass.n.4522/13-.
11.17 Orbene, la diversità di disciplina prevista fra l’art.75 TUlR e artt.20 e 22 c.3 DPR n.643/1972 non integra certo quella condizione idonea a giustificare l’operatività dell’art.6 nella presente vicenda, trattandosi di discipline autonome. Ciò che è dimostrato dalle ragioni che inducono questa Corte ad indicare, ai fini del registro, la data dell’atto finale di assegnazione.
11.18 Sul punto, è sufficiente ricordare Cass. n. 17709/2007, ove si chiarisce che ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta di registro è applicata in conformità alla intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto e, ancora più specificamente, Cass.n.4099/1990. In tale ultima occasione questa Corte si è espressamente evidenziata l’autonomia fra le diverse discipline, affermando che «…l’art.53 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.597 (ora art.75 del D.P.R. 917- 1986)» potrebbe «… delineare un principio di carattere generale applicabile anche nell’ambito della imposta di registro, solo se la normativa specifica che riguarda questa imposta non contenesse una propria enunciazione destinata a regolare la materia. Si intende alludere all’art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n.634 (oggi art.20 del D.P.R. 131-1986), secondo cui l’imposta è applicata in conformità alla intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto.”-.
11.19 Cosiccome irrilevante, in quest’ambito, ai fini che qui si esaminano, risulta la circostanza che fra G. e clienti siano in corso delle nuove intese volte all’adeguamento dei prezzi di trasferimento degli immobili.
11.20 La censura va per l’effetto respinta.
12. Con il terzo motivo la società contribuente ha dedotto la violazione degli artt.99 e 112 c.p.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c., degli artt.61 e 37 comma 2 n.4 del d.lgs.n.546/92, in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione dell’art.71 del d.p.r.n.917/86, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
12.1 La ricorrente principale ha ricordato che la ripresa a tassazione aveva riguardato, tra l’altro, l’asserita indebita creazione di accantonamenti al fondo svalutazione crediti in misura superiore a quella consentita- includendo per il calcolo della quota fiscalmente deducibile dello 0,50 % l’importo di euro 2.810.424,64 relativo a crediti sorti in esercizio precedente alla maturazione dei ricavi ed in particolare di crediti relativi a fatture emesse per acconti su vendite immobiliari, crediti relativi a fatture emesse per vendite immobiliari anteriormente al momento di effettuazione dell’operazione ai sensi dell’art.6 dpr n.633/72 e antecedente alla maturazione del relativo ricavo c crediti relativi a fatture emesse per vendita di beni strumentali.
12.2 La stessa ricorrente precisa di non avere impugnato la ripresa fiscale quanto al disconoscimento della svalutazione dei crediti derivanti dalla cessione dei beni strumentali iscritti per euro 774,69. Lamenta tuttavia che la CTR non aveva esaminato le doglianze prospettata dalla stessa nei confronti della decisione resa dalla CTP ed in ogni caso deduce l’omessa motivazione nel caso in cui si ritenga che la CTR abbia implicitamente rigettato la domanda.
12.3 L’Agenzia delle Entrate ha chiesto il rigetto del motivo.
13. Rileva la Corte che il motivo va disatteso. Se è vero che la CTR non ha esaminato le questioni controverse né le ha altrimenti risolte, é pur vero che le censure di merito, espressamente riproposte dinanzi a questa Corte, difettano di chiarezza e specificità. La parte contribuente ha prospettato di avere diritto alla deducibilità nel limite dello 0,50% del valore dei crediti relativi agli accantonamenti al fondo svalutazione crediti-,alla stregua dell’art. 71 comma 1 – ora art. 106 – del TUIR:«…Le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi indicate nel comma 1 dell’articolo 53, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi. Nel computo del limite si tiene conto anche degli eventuali accantonamenti ad apposito fondo di copertura di rischi su erediti effettuati in conformità a disposizioni di legge». Per come il motivo d’appello pretermesso è riproposto nel ricorso per cassazione, non è dato comprendere, però, come la contribuente avrebbe potuto beneficiare, ai fini dell’accantonamento realizzato e della svalutazione dei crediti normativamente prevista, «…dei crediti iscritti a seguito di pagamenti in accanto dei clienti firmatari con la società istante di preliminari di vendita immobiliare». La parte contribuente avrebbe dovuto indicare, con assoluta priorità, gli elementi che giustificavano l’operare dell’art. 71 tuir, tanto non potendosi trarre dalla mera deduzione che negli accantonamenti erano state computate fatture per acconti relativi ai preliminari, nulla denunciandosi sulle sorti di tali acconti e, in definitiva, sulla possibilità di considerare tali gli importi indicati come crediti. La censura di merito, dunque, pur trascurata dal giudice d’appello, per come è formulata e riproposta dinanzi a questa Corte non giova affatto alla contribuente, il che travolge l’intero motivo.
14. Con il quarto motivo la società contribuente ha dedotto la violazione degli artt.99 e 112 cpc, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nonché l’omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. ed ancora la violazione dell’art. 19 d.p.r. n.633/72, anche in relazione all’art. 17 della sesta direttiva CEE e dell’art. 10 l.n.212/2000, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
14.1 Lamenta che la CTR, pur avendo menzionato nello svolgimento del processo la censura prospettata nell’appello principale in ordine alla statuizione di rigetto della dedotta imponibilità ai fini IVA, ai sensi degli artt.1 e 3 del DPR n.633/72, degli utili riconosciuti agli associati in partecipazione, dovendosi qualificare come prestazioni di servizi e non come cessione di denaro, avendo il contratto di associazione in partecipazione natura di rapporto di scambio. Aggiunge che la CTR aveva parimenti tralasciato di esaminare la questione, prospettata in via graduata rispetto a quella sopra esposta, della detraibilità delle somme indebitamente corrisposte a titolo di IVA in forza del principio di neutralità e della giurisprudenza della Corte di giustizia.
15. L’Agenzia delle Entrate evidenziava che, anche dopo la riforma dell’art.2 comma 3 d. p.r.n.633/72 apportata dall’art. 1 comma 1 del d.lgs.n.313/97, doveva ritenersi esclusa l’imponibilità dei conferimenti solo in denaro da parte degli associati in partecipazione.
Conclusione, quest’ultima, che non poteva mutare anche inquadrando il contratto in esame nei rapporti di scambio. Aggiungeva che la giurisprudenza di questa Corte era ferma nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA erroneamente addebitata alla luce dell’autonomia dei tre rapporti che derivano da un’operazione imponibile, risultando tale decisione in linea con la giurisprudenza di questa Corte e con quella della Corte di Lussemburgo.
16. La censura è sotto ogni profilo infondata.
16.1 Ancorché non si rinvenga in tema di IVA una precisa disposizione che disciplini il tema in esame ai fini del detto tributo, come correttamente dedotto dalla società contribuente, la questione relativa alla natura del contratto di associazione in partecipazione assume rilevanza centrale ai fini della questione prospettata dalla parte ricorrente, se è vero che se si propende per la natura associativa- e non di scambio- del contratto, gli utili corrisposti all’associato non sarebbero mai sottoposti ad IVA, non potendosi considerare corrispettivi dell’obbligazione assunta.
Tale questione è stata affrontata – unitamente a quella dell’imponibilità o meno degli utili riconosciuti agli associati che hanno conferito prestazioni di servizio- c.d. apporto di servizi- in maniera analitica da questa Corte che, dando continuità all’indirizzo espresso dalla Commissione tributaria centrale 18 aprile 1996 n.1806, nella sentenza n.6466/98, ha espresso i seguenti principi:”… il contratto di cui all’art. 2549 cod. civ., con il quale una parte attribuisce all’altra una quota degli utili d’impresa dietro un determinato apporto, è costitutivo di un’associazione, inquadrabile nell’istituto di cui agli artt. 14 e segg. cod. civ.; il dato testuale, cioè l’esplicita definizione del rapporto come “associazione”, trova conferma nella natura sostanziale del rapporto stesso, implicante un , vincolo di collaborazione fra soggetti, sia pure con impegni e compiti differenti, in vista di una. finalità comune e sulla scorta di una convergenza (non contrapposizione) di interessi. L’apporto dell’associato, cioè il bene che trasferisce all’associante ed il servizio che si impegna a svolgere in suo favore, ha quindi natura di conferimento in associazione. La devoluzione all’associato in partecipazione di una quota di utili, a titolo di remunerazione di quel conferimento, è equiparabile, sotto il profilo fiscale, alla distribuzione degli utili medesimi fra i soci; la diversità delle due situazioni, e, in particolare, l’estraneità dell’associato alla conduzione dell’impresa (cui invece concorre il socio mediante il voto nell’assemblea e l’esercizio di facoltà connesse) non interferiscono infatti sulla configurabilità in entrambi i casi di un investimento di capitale o d’opera, nella prospettiva di un proficuo esercizio d’impresa ed allo scopo di beneficiarne dei risultati economici. Una differenza di trattamento impositivo, a secondo che il percettore della quota di utili concorra o meno alle attività gestionali, non avrebbe basi giustificative, ed esporrebbe a dubbi di legittimità costituzionale le disposizioni che la prevedessero, dato che il fatto evidenziatore di capacità contributiva è rappresentato non dall’esercizio imprenditoriale, ma dal profitto di esso. Il corrispettivo dell’associato in partecipazione, inoltre, al pari di quello de! socio è aleatorio, con riguardo sia all’an che al quantum, perché il relativo credito insorge se e quando si verifichi la produzione di utile. Con specifico riferimento all’IVA, va poi considerato che l’assunzione di tale utile, meramente eventuale al tempo della pattuizione nell’ambito di una normativa tributaria incentrata sull’identificazione a priori sia del fatto tassabile (la cessione di bene o servizio) che della base imponibile (il corrispettivo della cessione), anche in relazione ai complessi adempimenti posti a carico del contribuente, non può prescindere da un’espressa previsione, rivolta a stabilire l’assoggettamento ad imposta del rapporto nonostante l’iniziale incertezza circa il successivo determinarsi dell’imponibile. Nella disciplina del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 applicabile ratione temporis, cioè prima delle innovazione introdotte dal d.lgs. 2 settembre 1997 n. 313, mancano disposizioni nel senso indicato, ed anzi vi è un’esplicita regola di segno opposto: ai sensi dell’art. 2 terzo comma lett. c) e dell’art. 3 quarto comma lett. d) “non sono da considerarsi” cessione di beni o prestazioni di servizi tassabili i conferimenti in società od assicurazioni. Tale esclusione dall’area dell’IVA comprende il conferimento dell’associato in partecipazione, alla luce di quanto sopra osservato sulla natura del contratto. Le menzionate modifiche (con effetti ex nunc e quindi non direttamente influenti nella presente causa) non autorizzano peraltro una diversa interpretazione delle norme anteriori. L’art. 1 del d.lgs. n. 313 del 1997, riformulando il terzo comma dell’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, ha soppresso la citata lett. c), ma ha ampliato la lett. b) con la riproposizione del principio della non debenza dell’IVA per le conferimento in società od associazione, sia pure circoscritta al caso in cui il conferimento stesso abbia ad oggetto aziende o rami di esse; non ha invece apportato varianti all’art. 3 sull’individuazione delle cessioni di servizi influenti al fini dell’IVA. La consistenza di dette modificazioni e la tecnica della loro formulazione confortano quanto sopra rilevato sulla necessità di specifiche disposizioni per applicare l’IVA rispetto al conferimento del socio o dell’associato (ancorché impostate a contrario con la delimitazione delle ipotesi non tassabili), nell’implicito presupposto che altrimenti il conferimento medesimo non rientra nella generale nozione della cessione di bene o di servizio di cui ai primi commi dei predetti artt. 2 e 3.
16.2 Tale indirizzo, incidentalmente confermato da Cass. n. 4588/2010, ha trovato ulteriore consolidamento per effetto di Cass. n. 10283/2011.
16.3 Ora, questa Corte non ravvisa l’esigenza di modificare il ricordato orientamento, anche considerando la decisiva rilevanza, ai fini della qualificazione associativa del contratto -e, dunque, della correttezza del superiore indirizzo- correlata all’utilizzazione, all’interno dell’art.2549 c.c., dell’espressione “apporto”, indiscutibilmente evocativa di un fenomeno collaborativo, finalizzato al perseguimento di un obiettivo comune, come tale incompatibile con la diversa ricostruzione dell’istituto pure autorevolmente prospettata in dottrina.
16.4 Ma, a parte le critiche esposta da una parte della dottrina alla posizione espressa da questa Corte, quel che assume carattere tranciarne nella vicenda qui all’esame è la circostanza che l’apporto conferito dagli associati fu pacificamente costituito da denaro.
16.5 Orbene, tale circostanza impedisce di potere configurare uno dei presupposti oggettivi che giustifica l’imponibilità ai fini IVA rappresentato, ai sensi dell’art.2 comma 3 lett.a) d.p.r.n.633/72, dall’essere in presenza di una cessione di beni. E poiché il conferimento di denaro non può essere assimilato ad una cessione di beni mancherebbe in radice, anche a condividere la sussumibilità del contratto nell’ambito dei rapporti di scambio, il nesso di corrispettività fra tale apporto e il successivo riconoscimento degli utili che dovrebbe porsi in termini di corrispettività rispetto all’iniziale messa a disposizione di capitale in denaro.
16.6 Né maggior fortuna può avere la tesi della società contribuente laddove sostiene, in via graduata, di avere comunque diritto alla detrazione dell’IVA applicata sugli utili in favore degli associati.
16.7 Ed invero, questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di IVA, – ai sensi dell’art. 19 del d.p.r. 633/1972, ed in conformità all’art. 17 della sesta direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE- non è ammessa in ogni caso la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni o per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa, atteso che, in base alla normativa citata, ai fini della detrazione, non è sufficiente che le dette operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, ma è, altresì, indispensabile che esse siano, a loro volta, assoggettabili all’IVA (cfr. Cass. n. 8959/2003; Cass.n. 12146/2009, Cass.n. 11110/03; 8959/03, 12756/02, 8786/01, 7602/93).
16.8 Tale conclusione trova piena conferma nella giurisprudenza della Corte di Giustizia -sent. 13 dicembre 1989 in causa C-342/87, Genius Holding, p. 13, ove si è ritenuto che l’esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA o versate in quanto erano dovute. Indirizzo, quest’ultimo, ribadito nelle sentenze 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strabei, punto 53, 6 novembre 2003, cause riunite da C-78/02 a C-80/02, Karageorgou e a., punto 50 e 15 marzo 2007, causa C-35,05, Reemtsma Cigareltenfabriken GmbH, p.23.
16.9 La censura va quindi rigettata.
17. Con il quinto motivo la società contribuente ha dedotto la violazione degli artt.99 e 112 c.p.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art.3 L.n.241/1990, dell’art.7 L.n.212/2000 e dell’art.42 dpr n.600/73, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., nonché il vizio di omessa motivazione, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che la CTR non aveva esaminato la questione relativa alla prospettata illegittimità della ripresa a tassazione con riguardo a somme che l’Ufficio aveva ritenuto essere state percepite dalla stessa società a titolo di acconto prezzo. Precisava che spettava all’ufficio l’onere di provare la natura di acconto, senza considerare che le parti si erano accordate verbalmente, in data successiva alla stipula del preliminare, per integrare la caparra inizialmente pattuita.
18. L’Agenzia ha chiesto il rigetto del motivo, richiamando la giurisprudenza resa da questa Corte sul tema.
19. La questione è infondata.
19.1 Ed invero è ormai ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che nel dubbio se la somma di danaro sia stata versata a titolo di acconto sul prezzo o a titolo di caparra, si deve ritenere che il versamento sia avvenuto a titolo di acconto sul prezzo (v., ex plurimis, Cass. n.28687/2005 e Cass. n.3833/1977).
19.2 Ed infatti, questa Corte ha più volte chiarito che per potere affermare la stipulazione di una caparra confirmatoria deve verificarsi con certezza che le parti abbiano inteso conseguire gli scopi pratici di cui all’art. 1385 c.c. citato per i casi di inadempimento.
19.3 Ora, sarebbe stato onere della contribuente produrre i contratti dai quali risultava l’esistenza della pattuizione che riconduceva il versamento delle somme alla concordata caparra. Non può, d’altra parte, porsi in dubbio che in relazione all’oggetto dei contratti- preliminare di vendita immobiliare- non era in alcun modo ipotizzabile- né la società contribuente ha fornito dimostrazione alcuna- circa la modifica delle originarie stipulazioni nelle quali non era previsto il versamento a titolo di caparra confirmatoria degli importi non fatturati.
19.4 D’altra parte, non è superfluo rammentare che In questa direzione, d’altra parte, milita l’art.10 par.2 secondo periodo della sesta direttiva – recepito dall’art. d.p.r.n.633/72- poi sostituito dall’art.65 della dir.CE 122/2006-, alla cui stregua “…nel caso di pagamento di acconti anteriore alla cessione o alla prestazione di servizi, l’imposta diventa esigibile all’atto dell’incasso, a concorrenza dell’importo incassato”-. Il giudice europeo, infatti, ha ritenuto che nel caso di versamento in acconto “…affinché l’imposta possa diventare esigibile…, occorre che tutti gli clementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, siano già conosciuti e dunque, in particolare… che, nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati.” Ciò perché “…«quando vengono incassati acconti anteriormente al fatto generatore, il loro incasso rende esigibile l’imposta, poiché i contraenti dimostrano in tal modo di voler trarre anticipatamente tutte le conseguenze finanziarie legate alla realizzazione del fatto generatore».-cfr.Corte giust. 21 febbraio 2006, causa C-419/02, BUPA Hospitals Ltd, pp.45 ss.; conf. Corte giust. 3 maggio 2012, causa C-520/10, Lebara Ltd. p.26-.
19.5 Né miglior sorte può avere l’argomento per il quale sarebbe stato onere dell’Ufficio dimostrare la natura di acconto degli importi non fatturati, se è vero che l’Ufficio si era correttamente limitato a verificare l’omessa fatturazione di importi riscontrati dalle verifiche compiute, incombendo semmai sul contribuente l’onere di dimostrare che detti importi non era soggetti ad IVA.
20. Passando all’esame del ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate, con un unico motivo, ha dedotto la violazione dell’art.8 d.lgs.n.546/92 e dell’art.2697 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.
Lamenta che erroneamente la CTR aveva disapplicato le sanzioni con riferimento alla detrazione delle somme pagate a titolo di IVA in relazione agli utili versati agli associati in partecipazione, non risultando esistente quel quadro di incertezza normativa invece prospettato dalla CTR, risultando anzi diversi provvedimenti -circolare n.238/1997 e Risoluzione n. 168/2000- anteriori alla Risoluzione n.252/2002, capaci di escludere con certezza che dal campo IVA esulavano gli utili corrisposti nell’ipotesi di apporto di solo denaro.
21. La società contribuente, nel controricorso, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del motivo o comunque il rigetto della doglianza evidenziando, anzitutto, che gli atti richiamati dall’Agenzia non erano stati prodotti né riportati all’interno del ricorso incidentale. Aggiunge che la situazione di incertezza in ordine alla natura del contratto di associazione in partecipazione era resa palese dai contrasti dottrinali, ai quali era seguita la posizione espressa dagli Ispettori compartimentali tasse e imposte indirette, per nulla smentita dagli atti richiamati dall’Agenzia.
22. La censura, comunque ammissibile facendo riferimento in modo chiaro ad un’ipotesi di violazione di legge ascritta al giudice di appello, è fondata.
22.1 Si è già sopra richiamata la giurisprudenza della Corte in ordine all’interpretazione del concetto di incertezza normativa oggettiva quale causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma terzo, del d.lgs. 27 luglio 2000, n. 212, e dell’art. 8 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, precisandosi che la stessa postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare, pure aggiungendo che dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza di un determinata interpretazione-cfr.Cass.n.4522/13-.
22.2 Ed è proprio in base alle coordinate sopra indicate che la decisione impugnata si mostra erronea, avendo fatto discendere l’esclusione delle sanzioni applicate con riferimento alla mancata applicazione dell’IVA sugli utili corrisposti agli associati in partecipazione dall’incertezza palesata dagli organi accertatori.
22.3 Sulla base di tali considerazioni, va rigettato il ricorso principale ed accolto il ricorso incidentale, cassando per quanto di ragione la sentenza impugnata.
23. La causa può essere decisa nel merito non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, ragion per cui va rigettato il ricorso della società contribuente in ordine all’applicabilità dell’art.6 d.lgs.n.472/1997.
24. Le spese relative al giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’Agenzia come da dispositivo, mentre le spese delle fasi di merito vanno compensate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, accoglie l’incidentale, cassa in relazione all’accolto la sentenza d’appello e rigetta il ricorso introduttivo anche in ordine alla scriminante di cui all’art.6 d.lgs.n.472/1997. Condanna la società contribuente alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 20.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito, compensando le spese della fase di merito.
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