CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 febbraio 2014, n. 2382
Tributi – IVA – Frode carosello – Prova – Presunzione della piena conoscenza della frode – Consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 45/27/10, depositata il 24 marzo 2010, con la quale, rigettato l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione della società B L. srl., inerente all’avviso di accertamento relativamente all’Iva per il 2004, veniva ritenuta fondata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che il metodo induttivo seguito non era stato regolare, atteso che si basava su presunzioni costituite dalle rilevazioni dei funzionari erariali, per cui si era trattato di operazioni inesistenti, per le quali invece alcuna prova era stata fornita dall’appellante in ordine agli acquisti effettuati dall’appellata, e concernenti rilevanti quantitativi di giocattoli elettronici, forniti ad essa dalla ditta individuale “T.M. di F.B.” con sede a Catania, cui venivano ceduti dai fornitori spagnoli, sicché le considerazioni del giudice di prime cure, ritenute corrette, andavano condivise. La B L. resiste con controricorso, ed ha depositato memoria.
Motivi della decisione
2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione di norme di legge, in quanto la CTR non considerava che in realtà le merci venivano importate direttamente dalla venditrice società spagnola R.S. S.L., con cui la contribuente trattava, e che la ditta italiana di F. era solo una cartiera, peraltro priva di organizzazione; magazzino; personale; punti vendita, ed inoltre aveva contabilità in nero, tanto che aveva omesso la stessa dichiarazione del reddito, e persino tale soggetto aveva ammesso di essere un prestanome; non aveva capitali; la sede della ditta coincideva con l’abitazione del medesimo F.; le merci figuravano addirittura pagate prima ancora della loro spedizione, come riscontrato dai verificatori della stessa agenzia delle entrate, uffici di Catania e Gavirate.
Il motivo è fondato. Invero, com’è noto, in particolare in tema di IVA, nelle c.d. “frodi carosello” – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società o ditte filtro (“buffers”) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, 11 IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari, mentre invece – e a maggior ragione – la contabilità della società incisa e della ditta interposta risultava fortemente irregolare nella specie (V. pure Cass. Sentenza n. 867 del 20/01/2010, Sezion./Unite: n. 30055 del 2008).
Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia il vizio di omessa motivazione, giacché il giudice del gravame non enunciava le ragioni, in virtù delle quali riteneva che le questioni addotte con il ricorso in appello non fossero tali da smentire le argomentazioni addotte da quello di prime cure, sulle cui considerazioni apoditticamente si adagiava.
La censura, ancorché in parte assorbita da quanto suesposto, comunque ha pregio. Invero il giudice di secondo grado non enunciava in modo esaustivo il percorso logico argomentativo, attraverso il quale perveniva al giudizio espresso con la pronuncia impugnata se non in modo apparente. Infatti, come è noto, il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., ricorre nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di merito omette di indicare, nel contenuto della sentenza, gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento ovvero, pur individuando questi elementi, non procede ad una loro approfondita disamina logico-giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito, come nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 6288 del 18/03/2011, n. 16762 del 21/07/2006).
Dunque su tale punto la sentenza impugnata non risulta in modo adeguato.
4. Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
5. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia, altra sezione, per nuovo esame.
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