CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 gennaio 2014, n. 239
CORTE DI CASSAZIONE – Sez. trib. – Sentenza 09 gennaio 2014, n. 239
Tributi – IVA – Fatture false – Servizio proveniente da un fornitore diverso rispetto a quello indicato in fattura – Rilevanza
Ritenuto in fatto
1. A seguito di processo verbale di constatazione emesso dalla Guardia di Finanza di Bari in data 9.3.92 l’Ufficio notificava alla E. s.r.l., in data 18.12.92, un avviso di rettifica, ai fini IVA per l’anno di imposta 1987, con il quale l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione l’imposta indebitamente detratta su una fattura per l’importo di £. 143.000.000, emessa dalla società E.B. s.r.l., per prestazioni di servizi di assistenza tecnica per montaggio impianti, e ritenuta dall’Ufficio relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Bari, che accoglieva il ricorso. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate alla CTR della Puglia veniva, altresì, rigettato con sentenza n. 135/11/05, depositata il 12.1.06.
2.1. Con tale decisione, il giudice di seconde cure riteneva che il reale perfezionamento dell’operazione di prestazione di servizi, di cui alla fattura in contestazione, desumibile dall’emissione e dall’incasso di un assegno bancario, a favore della società E.B. s.r.l., dovesse escludere il carattere fittizio dell’operazione e comunque la partecipazione della contribuente all’ eventuale accordo evasivo posto in essere da terzi.
3. Per la cassazione della sentenza n. 135/11/05 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi, ai quali la curatela dell’intimata (fallita nelle more) ha replicato con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione degli artt. 54 d.P.R. 633/72, 2698 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente e illogica motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.
1.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR abbia del tutto erroneamente fatto carico all’Amministrazione finanziaria dell’onere di provare l’inesistenza soggettiva dell’operazione in contestazione, laddove tale dimostrazione sarebbe stata ampiamente fornita mediante rinvio alle dettagliate ed esaustive risultanze del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza.
1.2. La motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe, dipoi, del tutto carente – a parere della ricorrente – laddove la CTR, senza prendere in adeguata considerazione gli elementi indiziari e presuntivi desumibili dal menzionato processo verbale di constatazione, avrebbe – contro – valorizzato le circostanze, di per sé significative, dell’avvenuto pagamento della fattura testata mediante assegno bancario incassato dal legale rappresentante della E.B. s.r.l.
2. Le censure sono fondate.
2.1. Va osservato, infatti, che, in tema di IVA, la nozione di “fattura inesistente” va riferita non soltanto all’ipotesi di mancanza assoluta dell’operazione fatturata sul piano fattuale, ma anche ad ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l’ipotesi di “inesistenza soggettiva”, che ricorre quando, pur risultando i beni o il servizio reso entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa cui le fatture sono rilasciate, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto siano falsi (Cass. 23074/12; 8132/11).
In siffatta ipotesi, pertanto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, 21, co. 7, e 26, co. 3, del d.P.R. n. 633/72, è – in linea di principio – precluso al cessionario dei beni, così come al committente del servizio, il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo. Ed infatti, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di almeno uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata tra altri soggetti (Cass. 6370/06; 18907/11; 23074/12).
2.2. Ne discende che il committente-cessionario, al quale sia contestata, sulla base di elementi presuntivi forniti dall’amministrazione (gravata del relativo onere della prova), la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto, diverso dall’effettivo cedente-prestatore, che ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta nella sola ipotesi in cui possa provare, ai sensi dell’art. 2697, co. 2, c.c., che non sapeva o non sapere di partecipare ad un’operazione i cessionario, in particolare, ha l’onere di meno, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione (Cass. 8132/11; 23074/12).
2.3. Tali affermazioni di principio – operate in più occasioni da questa Corte – trovano, peraltro, adeguato riscontro anche nella giurisprudenza comunitaria in materia. In tal senso, la Corte di Giustizia europea ha, difatti, più volte affermato che il beneficio della detrazione non è accordabile, sia per il diritto comunitario che per il diritto interno che ad esso si uniforma, qualora sia dimostrato che lo stesso beneficio è invocato dal contribuente fraudolentemente o abusivamente. Secondo la Corte europea, invero, il diritto alla detrazione, previsto dagli artt. 167 e ss. della direttiva 2006/112 (e prima ancora della VI Direttiva n. 388/77), e costituente parte integrante del meccanismo di traslazione dell’imposta proprio dell’IVA in ambito comunitario, può essere negato solo quando risulti dimostrato da parte dell’amministrazione finanziaria, “alla luce di elementi oggettivi”, che il soggetto passivo al quale siano stati forniti i beni o i servizi, posti a fondamento del diritto alla detrazione, “sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte”. E’ di tutta evidenza, infatti, che in tale evenienza il soggetto che intende fruire della detrazione deve essere considerato, ai fini della direttiva IVA, come “partecipante a tale evasione”, laddove di certo non lo sarebbe colui che ignorasse – senza sua colpa – che il fornitore effettivo della merce o dei servizi ricevuti non era il fatturante, ma un altro soggetto. Ma è chiaro che l’onere di provare tale circostanze liberatoria – a fronte degli elementi dimostrativi forniti dall’Amministrazione – non può che cedere a carico del contribuente (v, C. Giust., 6.7.06, C- 439/04; C. Giust. CE, 21.2.06, C – 255/02; C. Giust., 21.6.12, C – 80/11).
2.4. A tal fine, per le ragioni suesposte, circa l’effetto di evasione di imposta che comunque si produce in conseguenza di tale operazione, non è – tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata. E ciò anche in considerazione del fatto che la provenienza della merce stessa da soggetto diverso da quello figurante sulle fatture, non è una circostanza indifferente ai fini dell’IVA.
Per un verso, infatti, la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entità dell’imposta legittimamente detraibile dall’acquirente; per altro verso, il diritto alla detrazione non sorge comunque per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, – come dianzi detto – che siffatto pagamento dell’IVA al soggetto interposto non si traduca in una condotta agevolativa della frode fiscale posta in essere dai soggetti a monte del cessionario o committente (Cass. 29467/08; 735/10).
2.5. Tutto ciò premesso, pertanto, è evidente che, nel caso di specie, non giova affatto alla contribuente – al contrario di quanto erroneamente ritenuto dal giudice di appello – dedurre l’avvenuto pagamento delle fatture (mediante un assegno incassato dal legale rappresentante della E. s.r.l.) e l’effettivo ricevimento del servizio, a fronte di elementi di forte spessore indiziario e presuntivo, forniti in giudizio dall’ Amministrazione finanziaria, e fondati sul processo verbale di constatazione emesso dalla Guardia di Finanza.
2.5.1. A tal fine, va – difatti – innanzitutto considerato che, in tema di accertamento dell’IVA, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento può essere assolto anche mediante rinvio ad altri atti conosciuti o conoscibili da parte del contribuente, ed in particolare al verbale redatto dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria. Ne consegue che, in caso d’impugnazione dell’atto impositivo, il giudice di merito deve accertare, motivando adeguatamente sul punto, se detto verbale sia stato posto nella sfera di conoscenza del contribuente, tenendo presente che tale presupposto deve considerarsi “in re ipsa” quando il riferimento attiene a verbali di ispezione o verifica redatti alla presenza del contribuente, o a lui comunicati o notificati nei modi di legge (Cass. 6232/03, 2462/07, 7360/11). Ebbene, nel caso di specie, è del tutto incontroverso in giudizio che il suddetto processo verbale era stato notificato o consegnato alla società contribuente. Per il che la motivazione dell’atto impositivo, fondata sulle risultanze dell’atto prodromico all’accertamento deve ritenersi pienamente legittima.
2.5.2. Va rilevato, inoltre, che gli elementi probatori che l’Amministrazione ha desunto dal predetto processo verbale di constatazione – del tutto pacifici tra le parti, tanto da essere stati indicati anche dalla stessa resistente nel controricorso – si concretano nei seguenti dati di fatto: 1) la carta intestata alla prestatrice del servizio E.B. s.r.l. era la stessa utilizzata per altre fatture, ed il numero era il medesimo adoperato per altra fattura; 2) il pagamento dell’intero importo del servizio era bensì avvenuto con assegno, ma il titolo di pagamento era stato incassato dall’amministratore della E.B. s.r.l. e versato sul proprio conto personale (v. controricorso p. 5) , anziché su quello della ditta, e non era stato registrato in contabilità, al pari della stessa fattura emessa dall’apparente prestatrice del servizio; 3) non vi erano rapporti commerciali abituali tra le due società, come riferito dal curatore della E. s.r.l. alla Guardia di Finanza; 4) l’immediatezza del rapporto prestatore-fatturante – committente, induceva ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole di quest’ ultimo circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta (Cass. 6229/13).
2.6. Orbene, nel caso concreto, a fronte di tali significativi elementi offerti dall’Amministrazione finanziaria, incombeva sulla contribuente – contrariamente a quanto affermato dalla CTR – l’onere di provare di non essere stata a conoscenza del carattere fraudolento dell’operazione, che – dietro l’apparente prestazione di un servizio – dissimulava un intento evasivo, dovendosi altrimenti legittimamente negare, da parte dell’Ufficio, il diritto alla detrazione dell’IVA versata (cfr. Cass. 6229/13).
Senonchè, la resistente si è limitata ad eccepire in giudizio l’avvenuto pagamento del servizio, a suo dire, ricevuto dalla E.B. s.r.l., circostanza questa – di per sé – del tutto irrilevante, come dianzi detto, poiché perfettamente in linea con il modello di evasione di imposta costituito dalla fatturazione per operazione inesistente, senza neppure dedurre di non essere stata on grado di venire a conoscenza dì tale finalità evasiva perseguita da terzi. Per il che, a giudizio della Corte, la difesa articolata dalla medesima non si palesa in grado di inficiare la fondatezza dell’accertamento espletato dall’Amministrazione finanziaria.
2.7. Per le ragioni esposte, dunque, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate non può che essere accolto.
3. L’accoglimento del ricorso principale comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR della Puglia, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, tenendo conto degli elementi indiziari e presuntivi suindicati, forniti in giudizio dall’Amministrazione a supporto della dedotta inesistenza dell’operazione in discussione nel presente giudizio, ed attenendosi ai principi di diritto suesposti.
4. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio.
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