CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2013, n. 23997
Tributi – Imposte – Condono fiscale – Presupposti ammissibilità – Reati in materia di IVA – Esclusione
Fatto
A seguito di controllo fiscale eseguito nei confronti dell’ITS I. T. Star s.r.l. veniva emesso nei confronti di questa avviso di accertamento con il quale veniva richiesta una maggiore imposta IRAP, oltre sanzioni ed interessi per l’anno di imposta 1998.
Proposto ricorso dalla contribuente la Commissione Tributaria Provinciale lo accoglieva dichiarando il ricorso estinto per intervenuta presentazione della domanda di condono ai sensi dell’art.15 comma 5 della legge 27.12.2002 n.289 con l’argomentazione che l’azione penale esercitata nei confronti dell’amministratore non inibiva la validità del condono poiché “non era possibile considerare responsabile un soggetto diverso” (nella specie la società di capitali).
La Commissione Tributaria Regionale delle Marche con la sentenza oggi impugnata, n.121/9/07 depositata il 13.11.2007, rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Agenzia delle Entrate affidandosi a due motivi.
ITS I. T. Star s.r.l. ha resistito con controricorso.
Diritto
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.360 n.3 c.p.c, violazione dell’art.15, comma 1 della legge n.289/02.
Secondo la prospettazione difensiva la motivazione della C.T.R. contrastava con l’orientamento di questa Corte la quale aveva ripetutamente escluso la necessità di una doppia conoscenza formale sul rilievo della totale coincidenza nella stessa persona delle due figure di contribuente ed imputato nell’ipotesi dì incriminazione di legali rappresentanti di società in relazione a reati tributari ascrivibili alle società medesime (Cass. Pen. 4830/2006; 2986/2007).
2. Con il secondo motivo si deduce l’insufficienza della motivazione in relazione al fatto controverso costituito dalla possibilità per una società di capitali di avvalersi della procedura di definizione prevista dall’art.15 della legge 289/02 successivamente alla notifica della richiesta di rinvio a giudizio del suo amministratore.
3.1 motivi, contrariamente a quanto eccepito in controricorso dalla società, sono ammissibili.
3.1. La questione relativa all’inefficacia dell’istanza di condono, come si legge dalla sentenza impugnata, costituiva specifico motivo di appello proposto dall’Agenzia delle Entrate cosicché deve escludersi che con gli odierni motivi di ricorso siano stati introdotti in questa sede dei “nova”. Atteso l’oggetto del giudizio come sopra individuato, le questioni dedotte con i motivi di ricorso (relative all’equivalenza, in conseguenza del principio di immedesimazione organica, della notifica della richiesta di citazione a giudizio nei confronti dell’imputato con la formale conoscenza da parte della società circa l’avvenuto esercizio dell’azione penale) integrano mere argomentazioni difensive, poste a sostegno della censura rivolta alle argomentazioni, di segno contrario, svolte nella sentenza impugnata.
4. Esaminati congiuntamente, per la loro connessione, i motivi sono fondati.
4.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio per cui l’art.15 comma 1 della legge 27.12.2002 n.289, come modificato all’art.5 bis comma 1 lett.i del d.l. n.282/2002 convertito in legge 21.2.2003 n.27 -secondo cui il condono fiscale non è ammesso ” per i soggetti nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per i reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000 n.74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione”- deve interpretarsi nel senso che la condizione ostativa al condono trova applicazione, non soltanto nell’ipotesi di piena coincidenza tra il soggetto indagato/imputato ed il soggetto-contribuente, che si realizza quando la medesima persona fisica rivesta entrambe tali posizioni, ma anche nell’ipotesi in cui tali soggetti non coincidono, come avviene nel caso in cui il reato tributario contestato al titolare persona fisica di un organo societario ridondi, per gli effetti economici fiscali che dallo stesso derivano a vantaggio dell’ente societario (dotato di autonoma personalità giuridica) cui l’organo appartiene (cfr.Cass.n.19862/12; Cass.n.21795/12 ; e, in relazione al condono disciplinato dall’art.9 co 14 lett.b della legge n.289/2002, Cass. n.8324/2012).
La tesi difensiva prospettata dalla controricorrente secondo cui il legislatore -non essendo possibile, secondo i principi del vigente sistema penale, equiparare l’esercizio dell’azione penale (necessariamente nei confronti della persona fisica) ad una sorta di responsabilità penale della società- ha voluto escludere le società di capitali, in quanto non imputabili penalmente, dal novero dei soggetti nei confronti dei quali possa operare quella specifica causa ostativa al condono (costituita dall’avvenuto esercizio dell’azione penale) non porta argomenti idonei a discostarsi dal principio sopra riportato e, ciò, per più ordini di ragioni.
Rileva, in primo luogo, il rapporto di immedesimazione organica tra il titolare dell’organo e l’ente dotato di personalità giuridica che consente di riferire il “risultato evasivo” derivante dalla condotta-illecito del primo alla obbligazione tributaria dell’ente cui va riconosciuta, in tal caso, la posizione di unico soggetto – contribuente legittimato ad avvalersi del condono. La relazione di immedesimazione organica della persona fisica, titolare dei poteri di rappresentanza esterna dell’ente collettivo dotato di personalità giuridica non viene, infatti, meno “per il fatto che autore del reato fiscale possa essere evidentemente solo la persona fisica atteso che, nella specie, l’illecito penale tributario presuppone necessariamente tanto la qualità di titolare dell’organo rappresentativo societario quanto l’esercizio dei relativi poteri di manifestazione esterna della volontà dell’ente societario come risulta chiarito in modo inequivoco anche dall’art. 1, comma 1 lett.e del dlgs 10.3.2000 n.74 secondo cui “riguardo ai fatti commessi da chi agisce in qualità di amministratore, liquidatore, o rappresentante di società, enti o persone fisiche, il “fine di evadere le imposte ed il “fine di sottrarsi al pagamento” si intendono riferiti alla società, all’ente od alla persona fisica per conto della quale si agisce”. Ne consegue che in caso di reati fiscali commessi dal titolare dell’organo societario, il ” soggetto contribuente” che ha evaso l’imposta o si è sottratto al pagamento della stessa (indicato nel comma 1 dell’art.15 1.289/2002) non può che essere, nel caso di specie, la società. (Cass. n. 21795/12 cit.). Sempre lo stesso decreto legislativo n.74 del 2000, d’altronde, fa chiara applicazione dello strumento dell’imputazione organica laddove, al II comma dell’art.19, richiama 1’art.11, I comma del d.lgs. n.472 del 1977 che afferma la responsabilità solidale della società ” nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa …dal dipendente o dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto, della società nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze..”.
E, su un piano sistematico, va registrato l’ulteriore intervento chiarificatore del legislatore il quale ha espressamente previsto, con la norma di interpretazione autentica dell’art.1, comma 2 septies, del d. 1. 24.6.2003 n.143, inserito, in sede di conversione, dalla legge 1.8.2003 n. 212, che “le disposizioni di cui agli artt.8, comma 6, lettera c) , 9, comma 10 lettera c) e 15, comma 7 della legge 27.12.2002 n.289 e successive modificazioni si intendono nel senso che la esclusione della punibilità opera nei confronti di tutti coloro che hanno commesso o concorso a commettere i reati ivi indicati anche quando le procedure di sanatoria, alle quali è riferibile l’effetto di esclusione della punibilità riguardano contribuenti diversi dalle persone fisiche e da questi sono perfezionate”,
Per altro verso, come già rilevato da questa Corte con le pronunce indicate, l’interpretazione sostenuta dalla controricorrente, da adito a seri dubbi di legittimità costituzionale per la ingiustificata posizione di privilegio di cui godrebbero, ai fini dell’accesso al condono, le persone giuridiche che sarebbero sempre ammesse al beneficio rispetto alle persone fisi (soltanto per le quali opererebbero le cause ostative in esame) a fronte di una disciplina legislativa uniforme per le une e le altre.
Dubbio di legittimità costituzionale, questo, già prospettato dalla giurisprudenza penale di questa Corte la quale con sentenza 7.2.2006 n.493Q (seguita da Cass. Pen. 18.6.2006 n.2896) ha statuito -per quanto qui interessa- che, in materia di reati finanziari la non applicabilità dell’esclusione della punibilità prevista dal condono fiscale di cui alla legge n.289 del 2002 in caso di esercizio dell’azione penale della quale il contribuente “abbia avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione automatica” si determina anche soltanto con la conoscenza da parte del legale rappresentante della persona giuridica non essendo necessaria la cd. doppia conoscenza formale (dell’indagato e della società) neppure in caso di incriminazione dei legali rappresentanti di società in relazione a reati ascrivibili alle società medesime.
E ciò appare sufficiente a confutare l’obiezione formulata dalla controricorrente secondo cui solo la persona fisica indagata potrebbe avere conoscenza formale dell’esercizio dell’azione penale.
4.1. Nel caso in esame, la CTR nella sentenza impugnata -con accertamento intangibile in questa sede (onde l’inammissibilità della deduzione svolta in controricorso secondo cui amministratore della società al momento della presentazione del condono era persona fisica diversa rispetto all’amministratore della società nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale)- da atto come (da allegazione della stessa società) il sig.P. C. all’epoca amministratore della società appellante abbia avuto prima ancora di definire le controversie tributarie con il “condono” in base alla legge 289/2002, formale conoscenza dell’azione penale nei suoi confronti per i reati previsti dal d.lgs. n.74/2000.
A fronte di tale dato fattuale, la C.T.R. non ha correttamente applicato la norma di cui all’art.15, comma 1 della legge 27.12.2002 n.289 secondo il principio sopra enunciato.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa al Giudice di merito per l’esame, alla luce del suddetto principio, del merito della controversia oltre che per il regolamento delle spese.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria della Regione Marche in diversa composizione la quale \V provvederà anche in ordine al regolamento delle processuali.
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