CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2013, n. 24022
Imposte – Iva – Forniture – Detrazione – Presupposti
Fatto
La società contribuente ricevette un avviso di accertamento che, per i profili ancora d’interesse, riguardava la detrazione di un importo a titolo di Iva, concernente una fattura emessa dalla C., in quanto non risultava giustificato l’intero pagamento nonché la mancata emissione di autofattura in relazione a fatture ricevute dalla società K.P.A., per complessive lire 360milioni. A seguito d’impugnazione, la Commissione tributaria provinciale ritenne dovute soltanto le sanzioni per la mancata emissione dell’autofattura, con sentenza che la Commissione tributaria regionale ha confermato, ritenendo, quanto al primo rilievo, che la società avesse sufficientemente provato con la lettera della C. che l’importo contestato riguardasse una provvigione pagata alla C. per la cessione del cliente G. e, quanto al secondo rilievo, che la neutralità dell’operazione, concernente un acquisto intracomunitario, determinasse la natura meramente formale delle violazioni degli obblighi d’integrazione e di registrazione delle fatture in contestazione.
Propone ricorso l’Agenzia delle entrate, per ottenere la cassazione della sentenza, affidandolo a sette motivi.
La società non spiega difese.
Diritto
1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 4, del codice di procedura civile, concernente il primo rilievo riferito in narrativa, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile, in quanto la Commissione tributaria regionale ha fondato il proprio convincimento sulla configurabilità del diritto di detrazione dell’iva facendo leva, quanto alla prova della corrispondente prestazione, su una dichiarazione scritta proveniente da un terzo di cui non è provata la veridicità formale, recante inoltre data di epoca successiva a quella dei fatti in contestazione.
1.1.- Il motivo è infondato.
Questa Corte (vedi, in particolare, Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965) ha già avuto occasione di chiarire che, posto che l’articolo 116 del codice di procedura civile prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi del numero 4 dell’articolo 360 del codice di procedura civile, è concepibile solo se:
-a) il giudice di merito valuti una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure un valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale);
-b) il giudice di merito dichiari di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola.
La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il potere di prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi del numero 5 dell’articolo 360 c.p.c. Ed è questa l’ipotesi in esame, in quanto la critica dell’Agenzia si appunta in realtà sulla valutazione del valore probatorio del documento in esame.
1.2.- Va aggiunto, con riferimento all’articolo 115 del codice di procedura civile, che, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli articoli 115 e 116 è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c. (Cass. 20 giugno 2006, n. 14267).
2.- Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso. sempre inerente al primo rilievo ed alla medesima doglianza, sotto diverso profilo, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 3, c.p.c., per violazione dell’articolo 2697 del codice civile, là dove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto provata la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del diritto di detrazione facendo leva sulla lettera della C. dinanzi indicata.
2.1.- E ciò in quanto l’Agenzia non ha dedotto in realtà la violazione della regola di diritto sostanziale concernente il riparto dell’onere probatorio tra amministrazione e contribuente, sibbene il valore probatorio assegnato alla lettera in questione.
3.- Col terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 5, c.p.c., ancora inerente al primo rilievo, l’Agenzia si duole del l’insufficienza della motivazione in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto utili all’esercizio del diritto di detrazione.
3.1.- Il motivo è fondato e va in conseguenza accolto.
Sul punto, la sentenza si limita a ritenere, apoditticamente, che «il contribuente abbia sufficientemente provato nelle proprie deduzioni e con la lettera della C. datata 13 febbraio 2006 allegata alle controdeduzioni che l’importo contestato riguardasse proprio una provvigione pagata alla Colorita per la cessione del cliente G. e quindi da ritenere detraibile essendo un ’operazione reale ed effettiva effettuata nell ‘esercizio dell’impresa».
Non vi è, dunque, adeguata esplicazione del percorso logico seguito, mediante l’indicazione del contenuto della lettera e l’indicazione degli elementi valorizzati per la sua valutazione.
4.- Col quarto motivo di ricorso, inerente al secondo rilievo riportato in narrativa, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 3), c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 47 del decreto legge 30 agosto 1993, numero 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, numero 427, reputando che la norma si applichi ai soli acquisti di beni, là dove il rilievo in questione si riferisce a prestazioni di servizi.
4.1.- Il motivo è infondato e va in conseguenza respinto, in quanto l’articolo 47 del decreto legge 30 agosto 1993, numero 331, convertito con modificazioni della legge 29 ottobre 993, n. 427, nel testo vigente all’epoca dei fatti, oltre che agli acquisti di beni, si riferisce altresì «alle operazioni di cui all’articolo 46, primo comma, secondo periodo», che annovera anche la prestazione di servizi.
5.- Col sesto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 5, c.p.c., prodromico rispetto all’esame dei restanti due, la ricorrente lamenta l’omessa motivazione in ordine alla sussistenza della pretesa fiscale conseguente all’omissione dell’autofatturazione. Censura, in particolare, la premessa ipotetica del ragionamento seguito, ovvero cosa sarebbe successo se il contribuente si fosse conformato alla legge.
5.1.- Col motivo di ricorso in esame, dunque, l’Agenzia delle entrate non censura il fatto accertato dalla sentenza, ma, dietro lo schermo del vizio di motivazione, finisce col censurare argomentazioni e statuizioni della pronuncia in materia di interpretazione e applicazione della legge.
5.2.- Così formulato, il motivo è, allora, inammissibile, in quanto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5 c.p.c., è predicabile soltanto in riferimento all’accertamento, positivo o negativo, di un fatto e non alle statuizioni o argomentazioni giuridiche. Va rilevato, in aggiunta, che manca del tutto il quesito di fatto, ossia l’indicazione del fatto decisivo controverso.
6.- Col quinto e col settimo motivo, da esaminare congiuntamente, perché logicamente avvinti, l’Agenzia delle entrate censura:
– ex articolo 360, 1° comma, numero 3, c.p.c., la violazione degli articoli 17, 19, 25 e 39 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633/1972, reputando che l’omessa autofatturazione e registrazione della fattura, decorsi i termini perentori previsti dalla legge, non consenta di procedere alla compensazione del debito Iva preteso dall’ufficio col corrispondente credito in favore del contribuente – quinto motivo;
– ex articolo 360, 1° comma, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 10, 3° comma, della legge 27 luglio 2000, numero 212 e dell’articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, numero 472, escludendo che l’omessa autofatturazione e l’inadempimento degli obblighi ad essa conseguenti siano da considerare violazioni meramente formali – settimo motivo.
6.1.- La complessiva censura è fondata e va in conseguenza accolta.
6.2.- In fatto, la sentenza accerta la circostanza che le operazioni intracomunitarie in questione non erano state fatturate dal cedente né erano state autofatturate dal cessionario (eventualmente mediante la numerazione e l’integrazione della fattura emessa dal cedente a norma dell’articolo 46 del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427) e non erano state neppure registrate.
Sostiene, tuttavia, in diritto, che «gli acquisti intracomunitari annotati nel modo sopraesposto non concorrono né alla formazione del volume d’affari ai fini IVA, né alla determinazione dello status di esportatore agevolato e nemmeno alla determinazione del pro rata di detraibilità nel caso di operazioni esenti», di guisa che, conclude, la neutralità dell’operazione esclude la lesione degli interessi dell’erario, determinando la natura formale della violazione.
In definitiva, il recupero dell’imposta evasa sull’operazione avrebbe dovuto essere compensato dalla detraibilità del relativo importo.
6.3- Premessa la non pertinenza dei rilievi sopra riportati in corsivo, va osservato che l’articolo 17, numero 2, della sesta direttiva Ce, applicabile ratione temporis, stabilisce che nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore:
a) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta all’interno del paese per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo;
b) l’imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni importati all’interno del paese;
c) l’imposta sul valore aggiunto dovuta ai semi (…) dell’articolo 28bis, paragrafo 1, lettera a) (“gli acquisti intracomunitari di beni effettati a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente che non è soggetto passivo quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale (…) “.
L’articolo 18 della sesta direttiva, relativo alle modalità di esercizio del diritto a detrazione, precisa;
«1. Per poter esercitare il diritto a detrazione, il soggetto passivo deve;
a) per la detrazione di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettera a) essere in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3;
b) per la deduzione di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettera b), essere in possesso di un documento che lo indichi quale destinatario o importatore e che menzioni l’ammontare dell’imposta dovuta o ne consenta il calcolo;
c) per la deduzione di cui all ‘articolo 1 7, paragrafo 2, lettera c), assolvere le formalità stabilite da ogni Stato membro;
d) quando è tenuto al pagamento dell’imposta quale acquirente o destinatario, in caso d’applicazione dell’articolo 21, paragrafo 1, o articolo 21, paragrafo 2, lettera c), assolve le formalità fissate da ogni Stato membro;
e) per la deduzione di cui all’articolo 17, paragrafo 2, lettera d), aver riportato sulla dichiarazione prevista all’articolo 22, paragrafo 4 tutti i dati necessari per constatare l’ammontare dell’imposta dovuta per gli acquisti intracomunitari di beni ed essere in possesso di una fattura conforme all’articolo 22, paragrafo 3.
6.4.- È quindi evidente che, secondo la sesta direttiva, il diritto alla detrazione è condizionato inderogabilmente al possesso di una fattura redatta ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3 della direttiva stessa ovvero – nel caso di cui alle lettere b), c), d) ed e) – di un documento contabile che abbia analoghi requisiti o che sia conforme alle prescrizioni impartite dalla stato membro.
6.5.- La normativa europea si specchia nell’articolo 17, Io e 3° comma, del decreto del Presidente della Repubblica numero 633/1972, secondo cui «l’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all ’erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti dal titolo secondo».
Aggiunge poi l’articolo 19 che «il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo».
7.- In definitiva, i soggetti passivi in una qualsiasi fase intermedia di una sequenza di forniture devono normalmente pagare l’iva (imposta a monte) ai loro fornitori, provvedendo ad addebitare l’iva (imposta a valle) ai loro clienti. Essi versano quindi all’amministrazione fiscale l’importo delle imposte a valle, dopo aver detratto l’importo delle imposte a monte.
7.1.- Nel caso, invece, in cui operi il congegno dell’inversione contabile (altrimenti detto reverse charge), contemplato dall’articolo 21, numero 1, lettera b), della sesta direttiva – l’iva è dovuta dal destinatario delle prestazioni di servizio ivi previste, se il servizio è prestato da un soggetto passivo stabilito all’estero che non abbia stabile organizzazione in Italia). Parimenti, il terzo comma dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che in mancanza di un rappresentante fiscale a fini Iva nominato dal fornitore o dal cedente estero, gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi rese nel territorio dello Stato da soggetti residenti all’estero a soggetti residenti nello Stato, incombono in capo ai cessionari o ai committenti (che non siano consumatori finali), i quali divengono così debitori dell’imposta relativa alla cessione da essi ricevuta dal fornitore estero.
7.2.- Occorre quindi tenere preliminarmente per fermo che le operazioni intracomunitarie di cui qui si parla sono operazioni soggette ad imposta e quindi soggette ai relativi obblighi. La cosiddetta autofatturazione (o, ricorrendone i presupposti, la numerazione e l’integrazione della fattura ricevuta dal fornitore estero senza indicazione dell’IVA) si traduce nell’assunzione dell’obbligo dell’imposta da parte del cessionario; tale assunzione del debito di imposta determina – secondo le regole generali – il diritto del medesimo cessionario alla detrazione del corrispondente importo. In questi casi, l’annotazione sul libro delle fatture emesse vale in luogo del pagamento dell’imposta in dogana; il debito IVA che scaturisce dall’annotazione sull’autofattura è, però, neutralizzato dall’annotazione nel registro degli acquisti, cui corrisponde il diritto alla correlativa detrazione e che equivale all’annotazione della bolletta doganale (articoli 44, 45 e 46 del decreto legge 30 agosto 1993, numero 331, convertito con legge 29 ottobre 1993, numero 427).
Senza la suddetta assunzione del debito di impesta, la detrazione non sarebbe neppure concepibile, poiché mancherebbe di oggetto: non ha senso, infatti, ipotizzare la detrazione di quanto non si sia pagato c non si sia assunto l’obbligo di pagare, come chiaramente ed inderogabilmente stabilisce il già citato articolo 17, n. 2, lettere a) e b) e seguenti.
7.3.- Diversa questione è quella se la suddetta assunzione del debito di imposta debba necessariamente avvenire – per non pregiudicare il diritto alla correlativa detrazione – con le forme dell’autofatturazione prescritte dalla legge italiana oppure la mancanza di fatturazione possa essere supplita da altra documentazione sostanzialmente equipollente, ed in particolare da un qualunque altro documento contabile che, come recita la lettera b) dell’articolo 18 della direttiva indichi il cessionario appunto quale destinatario o importatore e che menzioni l’ammontare dell’imposta dovuta o ne consenta il calcolo. Altra questione ancora – e diversa – è quella se ed in quale misura una rettifica successiva della documentazione contabile possa evitare il pregiudizio al diritto di detrazione.
7.4.- Salvo ad esaminare con maggior dettaglio alcune affermazioni apparentemente contrarie contenute nella sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa Ecotrade, può fin d’ora affermarsi che le registrazioni, anche in caso di operatività del sistema del reverse charge, assolvono una funzione sostanziale in quanto, proprio compensandosi a vicenda, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’amministrazione fiscale e in quanto rendono possibili i controlli fiscali sulle cessioni successive.
Tale compensazione-neutralizzazione del debito di imposta non è idonea a far ritenere che l’obbligo di auto fatturazione abbia natura meramente formale. Non è sufficiente a tal fine, infatti, il rilievo che per effetto del meccanismo del reverse charge dall’operazione pur regolarmente attuata dal punto di vista fiscale non derivi alcun versamento né alcun obbligo di versamento al fisco a carico del cessionario e quindi nessun introito per l’Amministrazione finanziaria.
7.5.- Anche nel regime ordinario dell’IVA il debito IVA è di regola compensato dal diritto alla detrazione per tutti gli operatori, escluso in consumatore finale. Il principio di neutralità cui è informato il sistema dell’IVA – e che regola nel suo insieme il procedimento e non la singola operazione o il singolo segmento dell’iter produttivo e/o distributivo – implica appunto che in termini reali l’onere fiscale grava esclusivamente sul consumatore e non sugli operatori economici che partecipano al procedimento produttivo o distributivo. Questi ultimi sono tutti esentati in definitiva dall’onere reale dell’IVA proprio grazie al sistema debito-detrazione, che peraltro deve essere correttamente osservato perché su di esso si basa tutta la costruzione dell’IVA ed in particolare perché assolve essenziali funzioni di controllo e di esazione.
7.6.- Il quadro è completato, per quanto qui d’interesse, dall’articolo 22 della direttiva, il cui numero 2, lettera a) stabilisce che ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata, così da consentire l’applicazione dell’Iva ed i relativi controlli dell’amministrazione fiscale.
Ed è bene sottolineare che la Corte di giustizia reiteratamente ammonisce che, «affinché l’IVA sia detraibile, le operazioni effettuate a monte devono presentare un nesso diretto e immediato con le operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione» (tra le più recenti, Corte giust. 21 febbraio 2013, C-104/12, Wolfram Becker, punto 19; Corte giust. 6 settembre 2012, C-496/11, Portugal Telecom SGPS, punto 36); e ciò in quanto la deduzione dell’imposta che ha gravato i beni e le prestazioni di servizi a monte postula, al fine di evitare una doppia imposizione, che i beni ed i servizi siano impiegati ai fini di operazioni imponibili a valle (Corte giust., 14 settembre 2006, C-72/05, Hausgemeinschaft Jorg und Stefanie Wollny, punto 20). Ed il nesso diretto ed immediato tra le operazioni può essere rilevato, nel caso dell’inversión e contabile, soltanto se le rispettive operazioni siano adeguatamente registrate.
7.7.- La necessaria previa assunzione dell’obbligo d’imposta è espressione della neutralità dell’Iva, giacché – come si è detto – la detrazione non può che far riferimento all’imposta assolta o comunque dovuta (vedi, esattamente in termini, Cass., sez.un., 27 dicembre 2010, n. 26126, secondo cui «il sistema della detrazione, che deve assicurare la neutralità dell’imposta, presuppone che l’importo dovuto costituisca oggetto di un debito d’imposta…», conforme, da ultimo, sulla rilevanza e l’ineludibilità degli obblighi sostanziali, Cass. 20 marzo 2013, n 6925).
7.8.- Funzionale alla regolarità del sistema è, quindi, la combinazione dell’arti colo 23 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, che impone l’obbligo di annotazione delle fatture emesse in un apposito registro e dell’articolo 25, 1° comma, del medesimo decreto, il quale prescrive l’obbligo di numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni o ai servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, comprese quelle emesse a norma del terzo comma dell’articolo 17 del suddetto decreto e di annotarle in un registro anteriormente alla liquidazione periodica ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale è esercitato il diritto alla detrazione dell’iva relativa ad esse.
Allora: la detrazione postula la fattura con addebito dell’imposta e la sua annotazione nel registro degli acquisti. Nell’ipotesi in cui ricorrano i presupposti del reverse charge, soltanto il sistema delle due annotazioni consente l’assunzione del debito avente ad oggetto riva a monte e la successiva detrazione di questa dall’Iva a valle.
7.9.- Nel nostro caso, invece, la contribuente, avendo omesso le due annotazioni, non si è dichiarata debitrice dell’Iva a monte;
per conseguenza, non si è verificato il presupposto d’insorgenza del diritto di detrazione dall’Iva.
Va anzi osservato – come già si è riferito nella precedente narrativa in fatto – che la contribuente risulta aver omesso qualunque registrazione dell’operazione e comunque non ha dedotto di aver effettuato registrazioni sostanzialmente equipollenti a quelle prescritte anche se formalmente diverse.
Come già si è detto, appare illogico ipotizzare la detrazione di qualcosa che non si è pagato e di cui il soggetto non si è dichiarato debitore. Qui va ribadito che l’assunzione dell’obbligo di pagare qualcosa che contestualmente viene detratto e quindi compensato non può essere considerato un obbligo di natura meramente formale. Questa impostazione – che a ben vedere non sostiene la sussistenza, in questi casi, del diritto alla detrazione, ma contesta la sussistenza del debito di imposta – non può essere condivisa. Perché si configuri violazione formale non punibile, come emerge anche dal testo della sentenza Ecotrade della Corte di giustizia, di seguito illustrato, è difatti necessario per un verso che essa non incida sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo , ma è anche necessario che essa non arrechi pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo (Cass. 8 maggio 2008, n. 22554 e Cass. 16 febbraio 2001, n. 2315; articolo 6, comma 5bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sul quale vedi Cass. 8 marzo 2013, n. 5897). Orbene, nel nostro caso, le violazioni del tipo di quella qui in questione, ostacolano gravemente quella funzione di controllo cui è diretto tutto il sistema delle dichiarazioni e dei pagamenti frazionati dell’IVA, così aprendo spazi incontrollati alle frodi. In particolare il cessionario di uno scambio intracomunitario che non registri correttamente le operazioni in reverse charge si autodetermina una possibile ed agevole via di esercizio del ruolo di missing trader mediante l’occultamento al fisco delle cessioni successive.
8.- Non è, poi, utilmente invocabile per la società il principio stabilito dalla Corte di giustizia con la sentenza Ecotrade (Corte giust. 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07), secondo cui “gli artt. 18, n. 1, lett. d), e 22 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, come modificata dalla direttiva 2000/17, ostano ad una prassi di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento dell ‘imposta sul valore aggiunto la quale sanzioni un’inosservanza, per un verso, degli obblighi derivanti dalle formalità introdotte dalla normativa nazionale in applicazione di tale art. 18, n. 1, lett. d), e, per altro verso, degli obblighi contabili nonché di dichiarazione risultanti, rispettivamente, dal detto art. 22, nn. 2 e 4, con un diniego del diritto a detrazione in caso d’applicazione del regime dell’inversione contabile. Infatti, l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno Stato membro in applicazione dell’art. 18, n. 1, lett. d), della sesta direttiva non può privarlo del suo diritto a detrazione posto che, in forza del principio di neutralità fiscale, la detrazione dell ’imposta sul valore aggiunto a monte dev ’essere accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi.
8.1.- Per la comprensione di tale enunciazione appare indispensabile e preliminare interpretare il significato dell’espressione “obblighi sostanziali” la cui soddisfazione – secondo la sentenza della Corte di giustizia, alla quale la cassazione deve prestare ossequio – condiziona la possibilità di escludere che la violazione di obblighi fiscali (da qualificare correlativamente come “formali”) possa pregiudicare il diritto alla detrazione.
A tal fine appare determinante la considerazione che la stessa sentenza Ecotrade – nella quale è evidente lo stretto collegamento istituito tra carattere meramente formale della violazione e tutela della buona fede del contribuente – chiarisce esplicitamente che il caso da essa deciso “si distingue chiaramente dall ’ipotesi in cui il contribuente, essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla normativa nazionale.
8.2.- Nel caso qui in esame, come già si è sottolineato, la società contribuente risulta aver invece omesso qualunque registrazione contabile dell’operazione in oggetto (o quanto meno non risulta che una simile documentazione sia stata dedotta).
Appare quindi evidente che è estranea all’ambito di previsione ed applicazione della sentenza Ecotrade qualunque ipotesi in cui la mancata richiesta della detrazione nel termine di decadenza previsto dalla normativa nazionale non sia collegabile ad una irregolarità meramente formale (intesa come tale quella che non soltanto non incide direttamente sugli introiti dell’Erario, ma che neppure pregiudica od ostacola in modo rilevante la funzione di accertamento e di controllo dell’Amministrazione finanziaria), ma dipenda dall’omissione di una qualunque registrazione contabile dalla quale comunque risulti sostanzialmente – anche se in modo formalmente non corretto – la natura dell’operazione ed i suoi termini fiscalmente rilevanti, secondo il complesso delle previsioni di cui all’articolo 18 della direttiva circa le essenziali modalità di esercizio del diritto a deduzione. L’inosservanza delle formalità stabilite dallo stato membro secondo l’articolo 18 può essere considerata violazione meramente formale solo se e nella misura in cui si tratta di formalità legittimamente stabilite ma ulteriori a quelle funzionalmente essenziali, tali potendo essere considerate, in sostanza , quelle equivalenti alla previsione della lettera b) o e) del medesimo paragrafo 1, dell’articolo 18. Ove così non si ritenesse, la conseguenza sarebbe la configurazione dell’operazione intracomunitaria come operazione non soggetta ad IVA, il che è certamente al di fuori dell’intento della sentenza qui in esame.
8.3.- Nel caso da essa deciso, infatti, come emerge nitidamente dai punti 1 e 2 delle conclusioni dell’avvocato S. presentate il 13 marzo 2008, la Corte aveva riguardo ad una società che aveva erroneamente ritenuto che i servizi ricevuti dal fornitore estero “fossero esenti e, quindi, non li aveva inclusi nella propria contabilità Iva. Secondo il meccanismo dell’inversione contabile, infatti, essa avrebbe dovuto dichiararsi debitrice dell ’IVA a monte sulle prestazioni di servizi, che avrebbe dovuto poi detrarre dalla propria imposta a valle…Essa ha, tuttavia, ottenuto lo stesso risultato omettendo di dichiarare o detrarre l ’imposta a monte, ma versando integralmente l’imposta a valle»: in quella fattispecie, dunque, per un verso, la circostanza che le operazioni fossero state trattate come esenti e quindi registrate come tali ha effettivamente consentito di ascrivere una rilevanza meramente formale all’omissione dell’autofatturazione ed alla sua omessa registrazione nel registro delle vendite. Infatti, l’avvenuta registrazione delle operazioni reputate esenti nel registro acquisti ha consentito all’amministrazione fiscale di svolgere le proprie attività di controllo (punto 64 della sentenza). In secondo luogo, la considerazione dell’avvenuto integrale versamento dell’imposta a valle (cioè in questo caso, presumibilmente, dell’IVA relativa alla cessione successiva, il cui regolare versamento, invece, nel caso qui in esame, non risulta essere mai stato dedotto) consentiva di escludere la sussistenza di alcuna concreta potenzialità fraudolenta.
8.4.- La specificazione contenuta nel punto 36 della sentenza e sopra già riportata (secondo cui la fattispecie da essa esaminata «…si distingue chiaramente dall’ipotesi in cui il contribuente, essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’IVA a monte entro il termine previsto dalla normativa nazionale») esclude la possibilità di assimilare il caso qui in esame a quello deciso in tale occasione della Corte di giustizia.
8.5.- La Corte di giustizia ha successivamente ribadito questi principi e li ha anzi meglio chiariti. In questa direzione si collocano le sentenze 21 ottobre 2010, causa C-385/09, Nidera, Handelscompagnie BV (punto 42); 30 settembre 2010, causa C-392/09, Uszodaépitò, punto 39, da cui emerge che la contribuente aveva assolto l’obbligo di versamento del tributo; 12 luglio 2012, causa C-284/2011, Ems Bulgaria Transport, la quale ha ribadito (punto 62) che «il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la detrazione a monte di quest ’ultima sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi. Una volta che l’amministrazione fiscale dispone delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto destinatario della prestazione di servizi di cui trattasi, è debitore dell’IVA, essa non può imporre, riguardo al diritto di quest’ultimo di detrarre tale imposta, condizioni supplementari che possono avere l’effetto di vanificare l’esercizio dello stesso» nonché 22 dicembre 2010 nella causa C-438/09, Dankowski, anch’essa relativa ad un caso in cui la contribuente aveva regolarmente assolto l’obbligo di pagamento.
9.- È erronea, allora, la prospettazione secondo cui la Commissione tributaria regionale, pure in mancanza delle annotazioni in questione, ha proceduto d’ufficio alla compensazione delle poste, rappresentate dall’Iva a debito e da quella a credito: e ciò in quanto l’iva a debito era senz’altro esistente, in ragione del compimento della prestazione di servizi, ma quella a credito non era insorta, perché non ne era stato realizzato il presupposto, costituito dall’annotazione dell’autofattura nel registro delle vendite ed in quello degli acquisti o comunque da una equipollente scrittura contabile.
9.1.- Il diritto di detrazione, d’altronde, anche se esistente, va comunque esercitato entro la cornice di un periodo fiscale, ossia, secondo quanto stabilito dall’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633/72, «…al più tardi, :on la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto…».
9.2.- La Corte di giustizia ha al riguardo precisato che «ai fini della deduzione prevista dall’articolo 17, numero 2, lettera a), della sesta direttiva, l’articolo 18, numero 2 della direttiva stessa deve essere interpretato nel senso che il diritto alla deduzione deve essere esercitato con riguardo al periodo d’imposta nel corso del quale ricorrono i due requisiti prescritti da tale disposizione, vale a dire che la cessione dei beni o la prestazione di servizi abbiano avuto luogo e che il soggetto d’imposta sia in possesso della fattura o del documento che possa considerarsi equivalente secondo i criteri fissati nello Stato membro» (Corte giust. 29 aprile 2004, C- 152/02, Terra Bauedarf, punto 38).
9.- Per altro verso, la Corte ha sottolineato che «la possibilità di esercitare il diritto di detrazione senza limiti di tempo contrasterebbe col principio della certezza del diritto, il quale esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti ed agli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione fiscale, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione» (Corte giust. 12 luglio 2012, C-284/11, EMS-Bulgaria OOD, punto 48 e Corte giust., sentenza E<otrade, punto 44).
9.4.- E, anzi, la stessa sentenza Ecotrade ha rimarcato che «un termine di decadenza la cui scadenza porti a sanzionare il contribuente non sufficientemente diligente, il quale abbia omesso di richiedere la detrazione dell ’IVA a monte, privandolo del diritto di detrazione, non può essere considerato incompatibile col regime della sesta direttiva», purché siano rispettati il principio di equivalenza e quello di effettività (punto 46). In particolare, ha proseguito la Corte, non si è mai dubitato dell’osservanza del principio di equivalenza, là dove quello di effettività è rispettato dalla previsione del termine biennale di esercizio del diritto di detrazione stabilito dall’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 (punto 48).
9.5.- Infine deve essere richiamata la recente sentenza della Corte di giustizia in data 8 maggio 2013, proc. C- 271/12, da cui si ricava chiaramente che il tardivo adempimento degli obblighi sostanziali di documentazione contabile previsti per l’esercizio del diritto alla detrazione non impedisce la intervenuta decadenza da tale diritto. E l’adempimento è sempre tardivo quando avvenga dopo l’intervento di controllo e rettifica dell’Amministrazione finanziaria.
Ha infatti affermato la corte europea che «le disposizioni della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio (…) non ostano ad una normativa nazionale (…) in forza della quale il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto può essere negato a soggetti passivi, destinatari di servizi, in possesso di fatture incomplete, anche qualora queste ultime siano completate mediante la produzione di informazioni dirette a dimostrare l’effettività, la natura e l’importo delle operazioni fatturate dopo l’adozione di una siffatta decisione di diniego. Il principio di neutralità fiscale non osta a che l’amministrazione tributaria neghi il rimborso dell ‘imposta sul valore aggiunto versata da una società prestatrice di servizi quando l’esercizio del diritto alla detrazione dell ’imposta sul valore aggiunto che ha gravato su tali servizi è stato negato alle società destinatarie dei suddetti servizi per irregolarità constatate nelle fatture emesse dalla suddetta società prestatrice di servizi».
9.6.- Ne consegue che, nel nostro caso, non essendo stato esercitato, né potendo più essere esercitato il diritto di detrazione dell’iva a monte da quella a valle, è destinata a rimanere forma la pretesa fiscale volta a recuperare l’imposta a monte evasa.
10.- Il ricorso va sul punto accolto, la sentenza cassata, e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, i corrispondenti capi del ricorso originario della società respinti, con l’affermazione del seguente principio di diritto:
“L’Amministrazione finanziaria che accerti l’omessa registrazione e fatturazione, in qualunque forma idonea, da parte del committente, delle prestazioni di servizi ricevute da soggetto straniero privo di stabile organizzazione in Italia che non abbia ivi nominato un proprio rappresentante fiscale, trattandosi di violazione di obblighi sostanziali, può recuperare l’IVA evasa, che non può essere compensata ex post in virtù di esercizio tardivo del diritto di detrazione”.
Va invece disposto il rinvio per nuovo esame nonché per il complessivo regolamento delle spese in relazione al punto prima evidenziato sub 3.1.
P.Q.M.
– Rigetta il primo, il secondo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso;
– accoglie il terzo motivo di ricorso;
– cassa la sentenza impugnata e rinvia sul punto, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione;
– accoglie il quinto ed il settimo motivo di ricorso;
– cassa sul punto la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge i corrispondenti capi del ricorso originario proposto dalla società.
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