CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 ottobre 2013, n. 24047
Lavoro – Cessione del ramo d’azienda – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Illegittimità – Risarcimento dei danni biologico, patrimoniale e non patrimoniale
Svolgimento del processo
P.P. era dipendente della SAV – (…) sca; a seguito della scissione della divisione del rame d’azienda “F.” il suo rapporto di lavoro era stato trasferito, come da comunicazione del 29.4.2005, alla società di nuova costituzione SAV – (…) F. sca; quest’ultima, in data 17.6.2005, l’aveva licenziata per giustificato motivo oggettivo.
La lavoratrice convenne in giudizio le due Società chiedendo:
– il riconoscimento dell’inquadramento al secondo livello e dell’illegittimità della riduzione del superminimo operata dal settembre 2004, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive;
– l’accertamento della invalidità del trasferimento attuato e del suo diritto a riprendere il lavoro presso la SAV – (…) sca – la condanna” di quest’ultima al risarcimento del danno patrimoniale;
– l’illegittimità del licenziamento intimatole, con conseguente applicazione della tutela reale;
– la condanna delle convenute al risarcimento dei danni biologico, patrimoniale e non patrimoniale causalmente riferibili ai loro illegittimi comportamenti.
Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza delle convenute, il Giudice adito, disattese le altre domande, accolse quelle afferenti a superiore inquadramento, al pagamento delle differenze retributive» all’impugnazione del licenziamento, facendo applicazione della tutela reale.
La P. propose appello nei confronti della SAV – (…) – V. sca (già SAV (…) sca) e della SFT – Società Frutticoltori Trento sca (incorporante la SAV – (…) F. sca) in ordine alla reiezione delle domande relative al dedotto illegittimo trasferimento del suo rapporto di lavoro (1° motivo); alla reiezione delle domande risarcitorie svolte nei confronti di entrambe le Società (2° motivo) e alla liquidazione delle spese.
Entrambe le appellate si costituirono resistendo al gravame; la SFT – S.F.T. sca propose a sua volta appello incidentale avverso l’intervenuto accoglimento dell’impugnazione del licenziamento.
La Corte d’Appello di Trento, con sentenza dell’8.7 – 11.8.2010, non definitivamente pronunciando, dichiarò inammissibile l’appello incidentale, rigettò il primo motivo dell’appello principale e rimise la causa in istruttoria, con separata ordinanza, con riferimento agli ulteriori motivo dell’appello principale.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui rileva, la Corte territoriale ritenne quanto segue:
– correttamente l’appello nei confronti della SFT – S.F.T. sca era stato notificato presso quest’ultima, quale società incorporante, la quale, peraltro, si era costituita in giudizio senza nulla eccepire;
– l’appello incidentale era inammissibile, siccome tardivo; ciò perché, alla prima udienza del 15.1.2009, la causa era stata rinviata all’udienza del 14.5.2009 a causa di un impedimento del difensore dell’appellante e l’appello incidentale era stato proposto con la costituzione in data 4.5.2009, quindi ben oltre i 10 giorni prima dell’udienza fissata ex art 435 cpc, non potendosi dare rilevanza, al fine di valutare la tempestività della proposizione del gravame, al rinvio della causa disposto alla prima udienza su richiesta dell’appellante e non essendovi ragioni per una rimessione in termini dell’appellato;
– il primo motivo dell’appello andava rigettato in quanto:
prima dell’operazione di scissione i reparti cantina, F. e latte costituivano distinte articolazioni della società, dotate di una propria organizzazione di mezzi ed uomini, onde tale scissione aveva determinato il trasferimento dei relativi rami di azienda e, in particolare, del ramo F. alla neo costituita società;
non era censurabile la collocazione della P. tra i lavoratori ceduti alla neo costituita società SAV- (…) F. sca, atteso che la lavoratrice, in quanto addetta all’amministrazione e occupandosi dei fornitori, svolgeva mansioni trasversali ai vari rami di azienda, sicché del tutto coerente con l’operazione di cessione era la necessità di individuare, in funzione della separazione dei vari rami di azienda, quello ove la stessa avrebbe dovuto essere collocata, spettando al datore di lavoro la scelta, in sede di trasferimento di alcuni settori produttivi, sulla destinare dei lavoratori precedentemente adibiti trasversali all’uno o all’altro setto irrilevante, al fine di ritenere accoglibile la tesi della naturale pertinenza delle funzioni svolte dalla P. al ramo cantina, era la circostanza che l’attività svolta per tale ramo fosse, dal punto di vista puramente numerico, più rilevante rispetto a quella svolta per il ramo F., tanto più considerando che dalla prova testimoniale era risultata l’esistenza di personale più idoneo allo svolgimento di tali compiti e che non vi era alcuna prova che la P., come invece aveva sostenuto nei suoi scritti difensivi, avesse mai avuto assicurazioni nel senso della sua permanenza presso la società “madre”;
non poteva ritenersi che dal successivo illecito licenziamento da parte della società cessionaria dell’azienda andasse tratta la conclusione che lo spostamento della P. al ramo ceduto (rectius: la sua individuazione fra i lavoratori da assegnare al ramo di azienda oggetto di cessione) era stato illecito, in quanto avente lo scopo, per la cedente, di ridurre l’organico e pervenire ad una ristrutturazione senza far ricorso a licenziamenti per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo; la dedotta esecuzione di un’operazione “in frode alla legge”, ove riferita alla scissione societaria, appariva priva di fondamento, considerate le finalità del tutto lecite di separare i distinti settori produttivi precedentemente gestiti dalla stessa società; del pari privo di fondamento appare l’assunto dell’esecuzione dell’operazione “in frode alla legge” ove riferito alla personale posizione dell’appellante, tenuto conto che la legittimità del trasferimento della sua posizione lavorativa alla neo costituita società, destinataria in seguito alla scissione del ramo di azienda “F.”, nel rispetto della procedura legale adottata dall’appellata, discendeva dalla oggettiva attinenza delle funzioni svolte dalla P. anche al ramo di azienda ceduto, ciò che escludeva che la lavoratrice potesse pretenderne la declaratoria di inefficacia;
– quanto alle richieste risarcitorie avanzate dalla P. nei confronti delle Società appellate (2° motivo di appello), sul presupposto che le condotte dalle medesime tenute nel corso della vicenda che aveva dato luogo alla scissione e la successiva intimazione del licenziamento le avevano determinato uno stato depressivo per il quale aveva fatto ricorso a cure mediche, doveva rilevarsi che:
– non poteva ritenersi la illiceità della condotta della datrice di lavoro della P. nel corso della fase preparatoria della scissione, considerato che non risultava comprovato che la lavoratrice avesse avuto garanzie circa il mantenimento della sua collocazione lavorativa nella sede e che la soggettiva incertezza in ordine al posto di lavoro ed alla collocazione lavorativa a seguito dell’operazione di scissione non appariva accompagnata da comportamenti della parte datoriale non corretti o non connotati da buona fede, posto che le assicurazioni in ordine alla volontà di mantenere il posto di lavoro di tutto il personale, alle quali avevano fatto riferimento i testi, non erano certamente idonee a configurare condotte illecite nel senso voluto dall’appellante per effetto del successivo suo spostamento al ramo F.;
quanto alla dedotta emarginazione della P., andava rilevato che vi avevano fatto genericamente riferimento solo il marito della lavoratrice ed una teste, che aveva reso dichiarazioni che non consentivano neppure a livello di prova di enucleare circostanze specifiche, del resto mai allegate, che potessero fomite idoneo supporto ad una richiesta risarcitoria per mobbing (essendosi la teste limitata ad affermare di aver constatato che la ricorrente era stata emarginata);
– quanto alla successiva intimazione del licenziamento, del quale era stata dichiarata la illegittimità, non era dubitabile che tale condotta del datore di lavoro fosse suscettibile di provocare dei danni ulteriori rispetto a quelli economici conseguenti alla mancata percezione delle retribuzioni, che già avevano trovato ristoro; avendo l’appellante fatto riferimento ad uno stato depressivo la cui esistenza era stata confermata in primo grado dai medici che l’avevano avuta in cura, era stata disposta consulenza medico legale, al fine di determinare, ove possibile sulla scorta della documentazione medica, il periodo di insorgenza della patologia e le possibili cause, la sua incidenza percentuale sulla validità psicofisica dell’appellante e la natura, durata e costo degli interventi terapeutici necessari per la guarigione, l’eventuale persistenza di postumi permanenti e infine allo scopo di verificare la pertinenza e congruità ai fini della cura dei costi esposti;
– all’esito degli accertamenti, la corte riteneva indispensabili al fine della decisione sul motivo di gravame ottenere chiarimenti e precisazioni dai consulenti, sia con riferimento alla individuazione della patologia dalla quale l’appellante era affetta, sia in relazione alla necessità di meglio individuare quali conseguenze patologiche potevano dirsi che fossero causalmente connesse con il licenziamento illecitamente intimato, onde la causa doveva essere rimessa in istruttoria con separata ordinanza.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la SF S.F.T. sca ha proposto ricorso per cassazione Fondato su tre motivi.
P. P. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale fondato su due motivi.
L’intimata SAV – (…) – V. sca non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. I ricorsi vanno riuniti, siccome proposti avverso la medesima sentenza.
2. on il primo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione degli artt. 435 e 436 cpc, si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto l’inammissibilità dell’appello incidentale; osserva al riguardo che, sull’istanza di rinvio (di data anteriore al termine utile per la costituzione degli appellati), il Presidente aveva scritto “si provvederà al rinvio in udienza”] ciò stava a significare che, sia formalmente che sostanzialmente, l’istanza di rinvio era stata già accolta e che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad indicare poi in concreto la data di rinvio dell’udienza; conseguentemente doveva ritenersi tempestiva la costituzione effettuata con riferimento alla data della nuova udienza.
2.1. Osserva il Collegio che l’indicazione secondo cui si sarebbe provveduto al rinvio in udienza sta inequivocabilmente a dimostrare che la prima udienza si sarebbe tenuta (come in effetti avvenne); è contrario al significato proprio delle parole usate nella loro correlazione logica volervi individuare un rinvio già deciso e disposto; tanto meno, all’evidenza, potrebbe ritenersi che fosse stato ordinato un rinvio d’ufficio.
L’odierna ricorrente principale avrebbe quindi dovuto costituirsi nel rispetto dei termini di legge in relazione alla data della prima udienza già fissata; non avendolo fatto deve convenirsi per la tardività della proposizione dell’appello incidentale.
Il motivo all’esame va quindi disatteso.
3. Con il secondo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione di norme di diritto, deduce che, stante l’avvenuta fusione per incorporazione, l’impugnazione nei confronti della Società incorporata avrebbe dovuto essere eseguita presso il procuratore costituito di quest’ultima, atteso che l’art. 2504 bis c.c. comporta la prosecuzione del rapporto di rappresentanza e difesa in essere con tale società.
3.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 2504 bis c.c., nel testo modificato dal dl.vo n. 6/03, nel prevedere la prosecuzione dei rapporti giuridici, anche processuali, in capo al soggetto unificato quale centro unitario di imputazione di tutti i rapporti preesistenti, risolve la fusione in una vicenda evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che, pur in presenza di un nuovo assetto organizzativo, conserva la propria identità; ove, peraltro, la società incorporata abbia ottenuto, in epoca successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del dl.vo n. 6/03, la cancellazione dal registro delle imprese, si determina, attesa l’efficacia costitutiva del suddetto provvedimento di cancellazione, l’immediata estinzione della società stessa, che non può più mantenere la propria individualità, né può far valere la persistenza di una propria autonoma legittimazione attiva (cfr, Cass., n. 3820/2013).
Il principio, applicabile anche in relazione alla perdita della legittimazione passiva della società incorporata, è pertinente alla fattispecie all’esame, risultando dalla sentenza impugnata l’avvenuta cancellazione a seguito della fusione.
Correttamente quindi l’appello venne notificato alla Società incorporante.
Né è conducente l’eccezione secondo cui la notifica avrebbe dovuto essere effettuato presso il procuratore che aveva assistito la Società incorporata anziché direttamente alla Società incorporante, per l’assorbente rilievo che ogni eventuale nullità della notifica (non potendo ravvisarsi la sua inesistenza) sarebbe stata comunque sanata dall’awenuta costituzione della Società appellata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7283/1998; 27139/2006; 6220/2007).
Anche il motivo all’esame non può essere accolto.
4. Con il primo motivo la ricorrente incidentale, denunciando vizio di motivazione e violazione di plurime norme di diritto in ordine all’intervenuto rigetto del primo motivo dell’appello principale, si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto conto dei numerosi elementi di giudizio, documentali e testimoniali, che, a suo dire, avrebbero dimostrato l’uso arbitrario dell’art. 2112 c.c. e l’illegittimità del suo trasferimento.
4.1 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).
Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12121/2004).
Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha svolto un iter argomentativo esaustivo e immune da contraddizioni e vizi logici, nel mentre nessuno degli elementi di giudizio che, secondo la ricorrente incidentale, non sarebbero stati tenuti in debita considerazione, configura una circostanza obiettiva acquisita alla causa, idonea di per sé, qualora fosse stata presa in considerazione, a condurre con certezza ad una decisione diversa da quella adottata, ossia, in altri termini, che sia dotata di una intrinseca valenza tale da non poter essere tacitamente esclusa dal novero delle emergenze processuali decisive per la corretta soluzione della lite, come non si verifica per ogni singolo indizio, segnale od indice critico, il quale per la sua gravità o per la sinergica convergenza con altri elementi indiziari consentirebbe, in ipotesi, al giudice di risalire alla individuazione di un fatto ignoto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7000/1993; 914/1996; 10778/1997; 2601/1998; 1203/2000; 13981/2004).
Ne discende l’infondatezza del motivo.
5. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, denunciando vizio di motivazione e violazione di plurime norme di diritto in ordine a quanto affermato nella sentenza impugnata, limitatamente alla condotta tenuta dalla SAV – (…) sca (oggi SAV – (…) – V. sca), nell’ambito della disamina del secondo motivo dell’appello principale, si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto conto dei numerosi elementi di giudizio, documentali e testimoniali, che, a suo dire, avrebbero dimostrato la responsabilità della parte datoriale nella causazione dei danni lamentati.
5.1 Deve al riguardo rilevarsi che le considerazioni della Corte territoriale qui censurate non si sono tradotte, nel dispositivo, in una formale statuizione di rigetto del motivo per quanto svolto nei confronti della SAV – (…) – V. sea, posto che, rigettato il primo motivo di appello principale, la causa è stata rimessa in istruttoria come da separata ordinanza “con riferimento agli ulteriori motivi di appello principale”.
Tuttavia, dalla lettura della motivazione, risulta esplicitato che la rimessione in istruttoria venne disposta per la necessità di meglio individuare quali conseguenze patologiche potevano dirsi che fossero causalmente connesse con il licenziamento illecitamente intimato e, quindi, solo al fine di accertare se i danni lamentati fossero riconducibili alla responsabilità dell’altra appellata SFT – S.F.T. sca.
Deve quindi ritenersi che la pronuncia della Corte territoriale, pur in mancanza di una esplicita affermazione al riguardo nel dispositivo, abbia definitivamente escluso la responsabilità della SAV – (…) – V. sca e sia pertanto impugnabile al riguardo.
5.2 II motivo all’esame, ancorché ammissibile per le ragioni testé indicate, è tuttavia infondato.
Valgono in proposito considerazioni analoghe a quelle svolte nella disamina del primo mezzo del ricorso incidentale, risolvendosi la
censura nella richiesta di un non consentito (in questa sede di legittimità) riesame delle emergenze processuali (sostanzialmente coincidenti con larga parte di quelle già evidenziate nel precedente mezzo), a fronte di una motivazione coerente e priva di vizi logici.
6. Con il terzo motivo la ricorrente principale, denunciando violazione di plurime norme di diritto, si duole che, sempre nell’ambito della disamina del secondo motivo dell’appello incidentale, la Corte territoriale abbia affermato che la condotta della parte datoriale, concretizzatasi nell’intimazione di un licenziamento illecito, sia suscettibile di provocare danni ulteriori rispetto a quelli economici, conseguenti alla mancata percezione delle retribuzioni, che già avevano trovato risarcimento.
6.1 Osserva il Collegio che la ricorrente principale non ha ragione, allo stato, di dolersi di tale affermazione, poiché la stessa non si è tradotta, neppure per implicito, in una statuizione di condanna a suo carico, essendo stata la causa rimessa in istruttoria, come detto, proprio per accertare se i danni lamentati fossero riconducibili alla sua responsabilità in dipendenza del licenziamento illecito irrogato.
La carenza di un interesse attuale determina quindi l’inammissibilità del motivo.
7. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati.
La reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese fra le parti costituite, mentre non è luogo a provvedere al riguardo nei confronti della SAV – (…) – V. sca che non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi; compensa le spese fra la ricorrente principale e la ricorrente incidentale; nulla sulle spese quanto alla SAV – (…) – V. sca.
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