CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 ottobre 2013, n. 24148
Ordinamento giudiziario – Disciplina della magistratura – Sanzioni disciplinari – Concussione e abuso di ufficio – Punibilità
Svolgimento del processo
1- Nel 2003 il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione promosse l’azione disciplinare nei confronti di E.P. a norma del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18 in relazione a fatti oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste per numerosi capi di imputazione (relativi, per la maggior parte, ai delitti di concussione e di abuso di ufficio, oltre, fra l’altro, ad uno concernente quello di ricettazione).
Nel 2007, il G.U.P. del Tribunale di Trento (ove il processo era stato trasferito per competenza) emise, in relazione ad alcuni dei reati contestati (tra i quali la ricettazione), sentenza di non doversi procedere per prescrizione, e, successivamente, lo stesso Tribunale pronunciò sentenza di assoluzione (divenuta irrevocabile) perché il fatto non sussiste in relazione a tutti gli altri capi di imputazione.
Riattivato dal Procuratore Generale il procedimento disciplinare (in precedenza sospeso in pendenza del giudizio penale), la Sezione disciplinare del C.S.M., con sentenza n. 117 depositata il 12 novembre 2008, inflisse al E.P. la sanzione della rimozione in relazione a cinque capi di incolpazione, quasi tutti, peraltro, relativi a plurimi episodi raggruppati per tipologia di comportamenti.
Con sentenza n. 17903 del 2009, depositata il 3 agosto 2009, le Sezioni unite di questa Corte accolsero il ricorso del E. P. “nei limiti precisati in motivazione”: in particolare, annullarono la sentenza in relazione al primo dei due episodi di cui al capo B) e al secondo dei due episodi di cui al capo D); rigettarono quasi integralmente il ricorso in relazione alla condanna per il capo C (con il quale era stato addebitato al E.P. di avere intrattenuto con numerosi e specificati rivenditori, intermediari e concessionari intensi rapporti commerciali, facendo valere la sua qualità di pretore, accettando di fare da testimonial per l’attività di vendita, richiedendo e ottenendo forti sconti e facilitazioni di pagamento, cambiando in media un’auto all’anno, mantenendo un intenso giro di assegni e rapporti di debito e credito per la vendita e l’acquisto delle varie autovetture, ottenendo anche per la moglie un’auto “di cortesia” e per il suocero altra auto a prezzo di favore): precisarono al riguardo le Sezioni Unite che un punto di contestazione – il giro di assegni – era stato giustamente lasciato cadere dal giudice disciplinare non avendo riscontro nel giudicato penale e che su un altro la sentenza era invece da censurare perché il fatto – la finalità di scaricarsi l’IVA – non era compreso nel capo di incolpazione; rigettarono altresì integralmente il ricorso per il primo episodio di cui al capo D (l’avere, con le medesime modalità operative di cui al capo C, ottenuto sconti e facilitazioni nell’acquisto di vestiti); annullarono, infine, la sentenza, con rinvio, in ordine: 1) al secondo episodio di cui al capo B (avere acquistato dal “mercato parallelo” tramite il cognato un orologio Rolex mod. O.P. Date risultato rubato in un’orologeria di Pontedera), escludendo che sul punto la sentenza penale avesse efficacia di giudicato nei confronti dell’incolpato, essendo stata Ivi esaminata la vicenda solo con riferimento ad un capo di imputazione relativo ad altri imputati, con la conseguenza che dalla stessa si potevano trarre solo elementi indiziari, con necessità di motivazione specifica sull’accertamento del fatto; 2) al capo E (avere funto da finanziatore e socio occulto di un geometra per la ristrutturazione di una casa e consentito la sua fittizia intestazione, svolgendo di fatto attività incompatibile con la funzione di magistrato), osservando, da un lato, che la fittizia intestazione dell’immobile non era stata valorizzata dalla sentenza disciplinare, con conseguente formarsi di una preclusione processuale sul punto, in assenza di ricorso incidentale da parte dei titolari dell’azione disciplinare, e, dall’altro, che erano fondate le censure del ricorrente nei confronti della qualificazione dell’attività contestata come “imprenditoriale” e del E. P. come “socio” in senso tecnico del geometra, poiché tali qualificazioni, non integrando accertamenti di fatti materiali o storici, non spiegavano efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, con la conseguenza che la sentenza doveva ritenersi sul punto apodittica e sfornita di sufficiente motivazione sui punti anzidetti, con incidenza anche sulla ritenuta applicabilità del divieto per il magistrato di “esercitare industrie o commerci”, di cui all’art. 16 dell’ordinamento giudiziario del 1941, tenendo conto che singole operazioni commerciali, anche con finalità speculativa, non possono di per sé e in genere ritenersi vietate al magistrato; 3) al capo G (violando ogni norma di legge, opportunità ed equilibrio, avere nominato, nell’esercizio delle funzioni, consulente tecnico di ufficio lo stesso geometra per 96 volte – a detta dello stesso geometra una volta al mese per dieci anni – e altro geometra per 49 volte, che contestualmente utilizzava per le sue attività private, indicate nei capi D ed E), osservando che la sentenza impugnata aveva violato il vincolo del giudicato penale, là dove era stato accertato in fatto che doveva escludersi che la concentrazione degli incarichi fosse stata determinata da un favoritismo dipendente dai contestuali rapporti di affari tra il giudice e i consulenti. In conclusione, le Sezioni Unite, premesso che l’accoglimento di plurime censure incideva anche sulle valutazioni conclusive in ordine al rilievo complessivo delle violazioni e alla scelta della sanzione, e precisato che restava assorbito il motivo relativo al rigetto delle istanze istruttorie per la parte riferibile a punti di fatto non preclusi relativi ai capi di incolpazione per i quali non operava il giudicato penale, cassarono la sentenza impugnata nei limiti suddetti, rinviando il procedimento alla Sezione disciplinare per lo svolgimento di nuovi accertamenti e valutazioni.
Con sentenza n. 94 del 2010, depositata l’8 giugno 2010, la Sezione disciplinare da un lato confermò la responsabilità dei E. P. per i capi B, secondo episodio, E e G, oggetto di rinvio da parte delle Sezioni Unite, e, dall’altro, valutata la complessiva situazione (unitamente cioè ai capi C e D, primo episodio, in relazione ai quali le Sezioni Unite avevano rigettato il ricorso), confermò anche la sanzione della rimozione.
Con sentenza n. 2547 del 2011, depositata il 3 febbraio 2011, le Sezioni Unite di questa Corte accolsero il decimo e l’undicesimo motivo del ricorso proposto dal E.P., rigettarono il primo e il terzo e dichiararono assorbiti gli altri. Rilevarono le Sezioni Unite che la sentenza impugnata risultava censurabile sotto tre profili: a) aveva fondato la sanzione della rimozione esclusivamente sul giudizio di disvalore collegato “alla lesione irreparabile della credibilità e del prestigio di cui deve godere il magistrato”; b) non aveva preso in considerazione alcuni rilievi della precedente pronuncia di rinvio (tra i quali quello secondo cui l’accertamento effettuato in sede penale aveva escluso lo sfruttamento da parte del E.P. della qualità di magistrato per conseguire un indebito trattamento di favore); c) non aveva spiegato esaustivamente le ragioni del perché aveva escluso, pur oggettivamente risultando ridotto il quadro degli addebiti disciplinari, una sanzione di portata inferiore a quella della rimozione. Inoltre osservarono che la Sezione disciplinare non aveva valutato la proporzionalità tra fatti addebitati e sanzione erogata in virtù dell’esame dell’elemento psicologico (natura e intensità) nei comportamenti contestati, con specifico riferimento al fine perseguito, non essendo sufficiente la mera spendita della qualifica di magistrato per determinare di per sé una sanzione disciplinare, così come non aveva tenuto conto della personalità dell’Incolpato, anche con riferimento alla svolta attività professionale. Conclusero affermando che il giudice del rinvio avrebbe dovuto, “sulla base dei già chiesti nuovi accertamenti e valutazioni (eventualmente, in virtù del suo potere discrezionale, disponendo nuovi mezzi istruttori), tener conto che il quadro disciplinare a carico del E.P. è oggettivamente inferiore e meno rilevante rispetto alla decisione disciplinare precedentemente assunta; rendere proporzionata a detto quadro disciplinare attuale la sanzione da irrogare, non prescindendo dalla valutazione dell’elemento soggettivo e dell’aspetto professionale; in particolare, esaminare la sussistenza, per i capi di incolpazione in cui ciò è necessario, dei caratteri dell’imprenditorialità, tali da delineare configurazioni di accordi societari; rendere in proposito agevolmente comprensibile la connessa ratio decidendi con sufficienti argomentazioni”.
Con sentenza n. 131 del 2011, depositata il 4 ottobre 2011, la Sezione disciplinare del C.S.M. – premesso che, con ordinanza in data 9 luglio 2011, il Collegio aveva disposto l’acquisizione di alcuni atti relativi ai processi penali svoltisi dinanzi all’autorità giudiziaria di Trento, nonché di tutti gli atti (rapporti, pareri, delibere) concernenti le valutazioni di professionalità del magistrato incolpato, e che la difesa di quest’ultimo aveva prodotto una memoria con allegati, tra i quali una denuncia- querela presentata contro di lui in relazione alla vicenda dell’acquisto dell’orologio Rolex – ha confermato la dichiarazione di responsabilità del E. P. in relazione a tutti i residui capi di incolpazione, nonché l’irrogazione della sanzione della rimozione, anche in considerazione del fatto che il magistrato era stato già condannato nel 2003 alla sanzione della censura e che, sul piano professionale, in relazione al procedimento di nomina a magistrato di corte di appello, era emerso che il Consiglio giudiziario di Venezia aveva espresso parere negativo, anche se poi disatteso dal Consiglio superiore, che aveva proceduto alla nomina.
2 – Con sentenza n. 11137, depositata il 4 luglio 2012, le Sezioni Unite hanno accolto parzialmente il ricorso, rilevando, in particolare, che “la sentenza impugnata ha confermato la sanzione massima, ritenendo “impossibile al Dott. E. P. recuperare nella collettività la fiducia e la considerazione necessarie per riprendere l’esercizio delle funzioni giurisdizionali”, sulla base di una valutazione di proporzionalità tra la gravità, sul piano oggettivo e soggettivo, dei fatti addebitati e la sanzione medesima che si rivela inadeguata e incoerente, tanto più alla luce dei rilievi formulati dalle Sezioni Unite sia nella sentenza n. 17903 del 2009, sia, più incisivamente, nella sentenza n. 2547 del 2011 (con la quale, il giudice di rinvio era stato espressamente sollecitato a “rendere proporzionata” la sanzione all’attuale quadro disciplinare).
3. Con sentenza n. 52 del 2013, depositata in data 27 marzo 2013, la Sezione disciplinare del C.S.M. ha confermato la responsabilità del E.P. escludendo quella per l’incolpazione di cui al capo E (finanziatore e socio occulto di un geometra) per difetto di prova e, ritenuto che i residui illeciti disciplinari avessero determinato lesione grave del prestigio dell’ordine giudiziario e della credibilità del magistrato, considerata anche la precedente sanzione disciplinare, ha ritenuto congruo infliggere al E. P. la perdita di due anni di anzianità, senza aggiungere la sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio avendo egli già ottenuto il trasferimento a domanda in altra sede lontana.
4. Avverso tale sentenza E. P. propone ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.
Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva.
Il ricorrente ha presentato memoria e poi brevi osservazioni alle conclusioni del pubblico ministero (art. 379, ult. comma) cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1 – Occorre preliminarmente esaminare d’ufficio la questione attinente alla composizione del Collegio giudicante e alla eventuale incompatibilità dei magistrati che hanno esaminato i precedenti ricorsi per cassazione del E. P. nell’ambito dei medesimo giudizio disciplinare.
Al riguardo occorre affermare che l’incompatibilità (specificamente indicata come dovere di astensione dall’art. 51, comma 1 n. 4 cod. proc. civ.) presuppone che il giudice abbia conosciuto il merito della causa in altro grado del giudizio, nella presunzione che la partecipazione deliberante alla sua adozione possa rendere il giudicante meno libero di decidere in fase di impugnazione sugli errori eventualmente commessi considerato anche che la precedente cognizione aveva avuto ad oggetto il medesimo thema decidendum.
Essa tende a garantire imparzialità e terzietà del giudice (intese come indifferenza ed equidistanza dalle pretese delle parti) che assurgono ad elementi strutturali qualificanti della sua attività, garantendo sia l’indipendenza del singolo giudice, sia il prestigio della sua funzione.
Ma il giudizio di legittimità non si riferisce direttamente alla domanda proposta dall’attore, bensì alla decisione già assunta su tale domanda al fine di verificarne, appunto, la correttezza.
Anche allorché vengono prospettati errores in procedendo, la Suprema Corte è giudice del fatto, ma solo limitatamente alla invalidità dedotta e non certo con estensione all’oggetto della domanda.
Mentre, quando a controllo è sottoposta una decisione di merito, il sindacato di legittimità involge direttamente la decisione se viene censurato il giudizio di diritto ovvero la giustificazione motivazionale se è criticato il giudizio di fatto, ma non si estende al contenuto decisorio del provvedimento giurisdizionale affidato allo scrutinio della Corte.
E’ di tutta evidenza che l’imparzialità, che deve caratterizzare il Collegio giudicante nel suo insieme e il singolo suo componente, richiede che la funzione del giudicare sia assegnata ad un soggetto “terzo”, cioè che sia – e appaia – non solo scevro da interessi propri che possano ostacolare una rigorosa applicazione del principio, ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere.
L’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo sembra essere nel senso che natura e finalità proprie del giudizio di legittimità siano tali da escludere la possibilità dei cosiddetti “effetti pregiudicanti”, i quali sono da circoscrivere in via esclusiva ai giudizi di merito.
Laddove una prima decisione della Corte di Cassazione abbia condotto all’annullamento con rinvio della statuizione impugnata per la riconosciuta sussistenza del denunciato error in procedendo del giudice che l’ha emanata, la successiva impugnazione della decisione poi adottata dal giudice di rinvio non può dare luogo a situazioni di incompatibilità, quanto alla inclusione nel nuovo collegio di magistrati che avessero composto anche il primo, poiché la specifica natura del vizio avanti ad esso denunciato non ha comportato alcun esame del merito della controversia. Ma anche ove la cassazione con rinvio sia stata determinata da un error in iudicando il precedente sindacato, ove avesse riguardato statuizioni concernenti giurisdizione o competenza non avrebbero investito il decisum di merito.
Nel caso di cassazione con rinvio per riscontrata violazione o falsa applicazione di norma di diritto, il sindacato è esclusivamente di legalità e prescinde da qualsiasi valutazione di merito, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica dell’ambito della sua applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta – come delineata dal giudice di merito – in quella astratta; il nuovo ricorso per cassazione avverso la statuizione de! giudice di rinvio, in tal caso, investe sostanzialmente il controllo dei poteri del medesimo alla stregua del principio di diritto enunciato dalla Corte e a cui egli è tenuto ad uniformarsi. .
Quanto, infine, all’ipotesi del vizio di motivazione, è agevole rilevare che la sentenza di annullamento non ha affrontato direttamente le questioni di fatto, ma ha meramente sancito la sussistenza del denunciato vizio (omissione, ovvero insufficienza, ovvero contraddittorietà) di motivazione.
In tutte le diverse ipotesi sopra delineate non sussiste la concreta possibilità che il giudice che ha partecipato al precedente giudizio di legittimità sia meno libero di decidere o sia condizionato dalla volontà di “difendere” la precedente decisione di legittimità.
Le Sezioni Unite affermano, quindi, il seguente principio di diritto: Qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di nuovo ricorso per cassazione, il Collegio della Corte può essere composto anche con magistrati che hanno partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, in quanto ciò non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice.
2.1 – Con il primo motivo, sotto il duplice profilo della violazione di norme di diritto e del vizio di motivazione, il ricorrente adduce che la Sezione disciplinare lo ha ritenuto responsabile per fatti e comportamenti dichiarati non sussistenti in sede penale e per aspetti della contestazione che non erano stati ritenuti sussistenti dalle predenti sentenze della Sezione disciplinare.
2.2 – E’ orientamento giurisprudenziale consolidato che il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che siano ormai coperte dal giudicato implicito e interno, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione.
Le Sezioni Unite hanno già avuto occasione di ribadire (Cass. Sez. Un. 22 luglio 2013, n. 17779) che la pronuncia di Cassazione per errore in iudicando, con enunciazione del principio di diritto cui il giudice di rinvio deve uniformarsi, non vincola il giudice medesimo in ordine alle circostanze che siano meramente ipotizzate, in via narrativa, da detta enunciazione, atteso che una preclusione al riesame si verifica solo con riguardo ai fatti che quel principio presupponga come pacifici o già accertati in Sede di merito; in sostanza, il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato, ma, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati della sentenza cassata, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza della Corte di Cassazione, la cui portata vincolante è limitata all’enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione della norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell’ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale.
Ancora le Sezioni Unite hanno chiarito (Cass. Sez. Un. 24 novembre 2010, n. 23778) che, in tema di rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare riguardante i magistrati, il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità, fermo restando il solo limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità, operato da quest’ultimo, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l’episodio posto a fondamento dell’incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti nell’ottica dell’illecito disciplinare.
La precedente sentenza n. 11137/2012 delle Sezioni Unite ha dichiarato infondati i motivi di ricorso riguardanti: a) l’omessa pronuncia di declaratoria predibattimentale di non doversi procedere in relazione a vari formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l’intensità dell’elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l’hanno ispirato e, infine, la personalità dell’incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari.
3.1 – Con il secondo motivo, ancora sotto il duplice profilo della violazione di norme di diritto e del vizio di motivazione, il ricorrente lamenta il rigetto da parte, prima del Presidente della Sezione Disciplinare, poi della Sezione stessa, delle istanze istruttorie, in tal modo vulnerando il diritto alla prova
3.2 – La censura è inammissibile in forza delle ragioni evidenziate per la precedente.
Essa è sostanzialmente ripropositiva di una doglianza avanzata contro la precedente sentenza della Sezione disciplinare già esaminata e rigettata dalla sentenza di queste Sezioni Unite n. 11137 del 2012 (vedi sopra al punto b).
Peraltro le istanze istruttorie cui il ricorrente fa riferimento miravano a rimettere in discussione questioni che, per quanto detto a proposito del primo motivo, erano già state definite.
La formazione del giudicato sulle questioni trattate dal motivo rende priva di rilievo la questione di costituzionalità sollevata con il motivo in esame.
4.1 – Il terzo motivo, sempre sotto il duplice profilo della violazione di norme di diritto e di vizio di motivazione, si duole della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, dell’applicazione – a fondamento della responsabilità dell’incolpato – di parametri di valutazione errati, della considerazione di elementi di fatto integranti comportamenti estranei alla contestazione.
4.2 – Anche questa censura sottopone all’esame delle Sezioni Unite questioni precluse nel giudizio di rinvio in quanto del tutto estranee e indipendenti rispetto alle ragioni che hanno determinato l’annullamento della precedente sentenza della Sezione disciplinare.
In ogni caso, quanto già sopra argomentato dimostra che non vi è stata in concreto alcuna violazione del principio invocato.
5.1 – Il quarto motivo assume che la sentenza impugnata ha adottato la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di due anni senza alcuna motivazione in ordine alla gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, all’elemento psicologico della condotta, alla professionalità dell’incolpato in seno alla valutazione dei profili necessari per adottare una sanzione proporzionata tra l’illecito disciplinare e la sanzione irrogata e omettendo dì considerare circostanze rilevanti sicuramente accertate.
5.2 – Le argomentazioni addotte a sostegno non dimostrano la violazione dell’art. 384 cod. proc. civ. e sostanzialmente attengono al vizio di motivazione. Si è già detto (vedi punto 2.2) che la Sezione disciplinare ha stabilito la sanzione da infliggere al E. P. applicando i criteri indicati dalle Sezioni Unite.
Escluso, dunque, il profilo della violazione della norma di diritto, resta da esaminare il profilo afferente al vizio di motivazione.
I difetti di omissione e di insufficienza della motivazione sono configurabili soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.
La Sezione disciplinate ha posto in evidenza come gli illeciti disciplinari accertati abbiano determinato una lesione grave del prestigio dell’ordine giudiziario e della credibilità del magistrato. In particolare ha fatto riferimento alla utilizzazione strumentale della propria funzione, tanto più rilevante ove si consideri che essa era esercitata in un piccolo centro, nonché lo scopo economicamente vantaggioso di tale utilizzazione. Inoltre la sentenza impugnata ha rilevato la gravità di tutti i comportamenti accertati; ha considerato il profilo soggettivo dell’incolpato inferendone, anche in forza di un precedente procedimento disciplinare, proprio la disposizione a strumentalizzare la funzione per ottenere tornaconto personale e vantaggi di vario tipo; ha valutato la gravità del comportamento teso a privilegiare alcuni professionisti rispetto agli altri; ha ravvisato un quadro complessivo di abuso del ruolo (termine che di per sé implica una valutazione negativa dell’atteggiamento psicologico del E. P.), con comportamenti disinvolti. Quelli sopra riferiti sono apprezzamenti di merito congruamente motivati e complessivamente idonei a giustificare la sanzione inflitta.
6.1 – Il quinto motivo sostiene, sotto il profilo della violazione degli artt. 29, comma 4° R.D.l.vo 511/46 e 324 cod. proc. civ., nonché dell’art. 384 stesso codice, che la Sezione disciplinare ha determinato la sanzione applicabile anche in relazione a profili definitivamente esclusi da sentenze passate in giudicato.
6.2 – Lo stesso riferimento del ricorrente alle precedenti sentenze di annullamento parziale n. 17903/09 e n. 2547/2011, nonché alla sentenza n. 802/07 del Tribunale di Trento dimostra la manifesta infondatezza della censura.
Infatti, come si evince chiaramente da quanto riferito al punto 2.2., la precedente sentenza n. 11137/2012 delle Sezioni Unite ha delimitato il campo d’indagine devoluto al giudice di rinvio e la sentenza impugnata si è pronunciata nell’ambito di quanto demandatole. Né alla Sezione disciplinare, né alle Sezioni Unite è consentito riesaminare questioni estranee all’ambito come sopra definito.
7. – Pertanto il ricorso è rigettato. Non luogo a provvedere in ordine alle spese non avendole sostenute la parte intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla spese.
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