CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 ottobre 2013, n. 24341
Lavoro – Dimissioni del dipendente pubblico – Azienda ospedaliera – Revoca delle dimissioni – Mancata accettazione dell’amministrazione pubblica
Fatto
L.A. – dipendente dell’Azienda Ospedaliera “Spedali Civili ” di Brescia – dopo un periodo di malattia rassegnava le dimissioni, giusta lettera del 31.1.2002 e con decorrenza 4.2.2002, revocandole il successivo 21 febbraio ed offrendo, da tale data, le proprie prestazioni lavorative. L’Azienda, il 28.2.2002, comunicava l’accettazione delle dimissioni respingendo la richiesta di ripresa del lavoro. Il L., sull’assunto che la materia fosse ancora regolata dal disposto dell’art. 124 DPR 10.1.1957 n. 3 – secondo cui le dimissioni del pubblico dipendente devono essere accettate per essere operative – conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Brescia l’Azienda Ospedaliera chiedendo accertamento dell’illegittimità del provvedimento del 28.2.2002 e la reintegra nel posto di lavoro, con ogni consequenziale statuizione di ordine giuridico ed economico.
L’adito giudice rigettava la domanda, decisione questa confermata dalla Corte territoriale con sentenza del 18 dicembre 2006.
Ad avviso della Corte l’eccezione di violazione del principio della domanda e di ultrapetizione da parte del primo giudice, contenuta nel primo motivo di appello, era infondata. Nel merito, rilevava che l’art. 124 DPR n. 3/1957 non era applicabile in quanto l’art. 37 lett. b) del CCNL di comparto 1994 -1997 aveva nuovamente regolamentato l’istituto delle dimissioni che erano, ormai, un atto unilaterale e non necessitavano di essere accettate per produrre l’effetto risolutivo del rapporto.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il L. affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso la Azienda Ospedaliera “Spedali Civili” di Brescia.
Diritto
Preliminarmente, va rilevata la irritualità della costituzione del nuovo difensore del ricorrente – avv. D.M.B. – in sostituzione dell’avv. G.D.M., deceduta, già costituita unitamente all’avv. A.M.
Ed infatti la procura all’avv. M.B., autenticata da quest’ultimo ed apposta a margine della comparsa di costituzione del nuovo difensore, è nulla (applicandosi la disciplina anteriore alla entrata in vigore dell’art. 45 co. 9, lett. a) L. 18.6.2009 n. 69 essendo il presente processo iniziato prima del 4.7.2009) perché apposta su un atto diverso da quelli indicati dall’art. 83 c.p.c., comma 3° (Cass. 9 ottobre 1997, n. 9799; Cass. sez. un., 5 luglio 2004 n. 12265; con riferimento al caso in cui debba sostituirsi il difensore nominato con il ricorso, deceduto nelle more del giudizio, o tale nuovo difensore – come nella specie – si affianchi al precedente cfr. Cass n. 18528 del 20/08/2009).
Ciò detto, passando al primo motivo di ricorso, si rileva che viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 416, 420 c.p.c. e 2697 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia per avere la Corte di appello rilevato d’ufficio la questione relativa alla vigenza dell’art. 124 cit. a seguito della adozione del contratto collettivo, laddove la convenuta Azienda nulla aveva eccepito al riguardo. In altri termini, diversamente da quanto affermato nella impugnata sentenza, l’eccezione relativa ad una eventuale abrogazione del citato art. 124 da parte del CCNL non era questione di mero diritto e, pertanto, doveva essere allegata dall’Amministrazione resistente in sede di costituzione.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 124 DPR n. 37/1957 e 69 d.Lgs n. 165/2001 nonché vizio di motivazione, per aver ritenuto possibile che una norma della contrattazione collettiva potesse abrogare il disposto di una fonte primaria quale era l’art. 124 citato.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 78, 124, 127 del DPR n. 3/1957 in quanto la Corte di appello aveva affermato che l’ingiustificata assenza dal lavoro del L. – sul quale, secondo il regime delineato dalla norma di cui veniva chiesta l’applicazione, incombeva l’obbligo di proseguire la prestazione fino alla comunicazione dell’accettazione delle sue dimissioni – sarebbe stata già di per sé causa di risoluzione del rapporto per assenza ingiustificata.
Ed infatti, tale principio non era corretto in quanto il DPR n. 3/1957 riconduceva la cessazione del rapporto di pubblico impiego, oltre al caso di dimissioni accettate, alle sole ipotesi di decadenza o di destituzione che presuppongono un provvedimento – nel caso in esame mai adottato – in tal senso.
Con il quarto motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli art.. 2697 c.c. e 420 c.p.c. nonché vizio di motivazione per non aver il giudice del merito motivato la mancata ammissione delle prove orali articolate (interrogatorio formale e prova per testi) sulle circostanze di cui ai capi di prova intese a ricostruire l’intera vicenda.
Il primo motivo è infondato.
Vale ricordare che, per costante orientamento di questa Corte, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato fissato dall’art. 112 c.p.c. – che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda – deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del “petitum”, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (“causa petendi”) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda, mentre non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass. n. 23079 del 16/11/2005; Cass. n. 19475 del 06/10/2005; Cass. n. 11455 del 19/06/2004).
Tale principio va peraltro posto in immediata correlazione con l’altro “iura novit curia” di cui all’art. 113, primo comma, cod. proc. civ., rimanendo, pertanto, sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (Cass. n. 10009 del 24/06/2003).
Orbene, nel caso in esame, correttamente la Corte di appello ha considerato che il primo giudice non avesse violato il principio della domanda in quanto la questione relativa alla vigenza dell’art. 124 DPR n. 3/1957 era a fondamento della domanda proposta e si imponeva a seguito della intervenuta privatizzazione del pubblico impiego e della entrata in vigore degli artt. 2 e 69 del dLgs. n. 165/2001, a prescindere dalla allegazione o meno da parte dell’Azienda del CCNL di comparto visto che i contratti collettivi nazionali relativi al pubblico impiego possono essere conosciuti direttamente dal giudice essendone prevista la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ( sul punto vedi, tra le altre, Cass. n. 17095 del 21.7.2010, in motivazione, e Cass. S.u. 4 novembre 2009, n. 23329). In altri termini, il Tribunale, nel ricercare la norma applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio, non era certo vincolato alla posizione assunta dalle parti in merito alla vigenza o meno dell’art. 124 cit..
Infondato è anche il secondo motivo.
La tesi del ricorrente non tiene conto della riforma del pubblico impiego portata a compimento con il d.Lgs n. 165/2001 che ha determinato una delegificazione del rapporto di lavoro pubblico con la sostituzione delle norme pubblicistiche con quelle previste dalla contrattazione collettiva, ragion per cui l’art. 124 cit., in virtù delle disposizioni contenute nel d.Lgs. n. 165/2001 (in particolare, artt. 2 co. 2° e 69 co.1°), è divenuto inapplicabile a seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994 -1997 – come già evidenziato nella impugnata sentenza – ed ha cessato di produrre effetti dal momento della sottoscrizione del CCNL del quadriennio 1998 -2001.
Del pari infondato è il terzo motivo di ricorso.
L’assunto del ricorrente è, infatti, in contrasto con quanto costantemente affermato da questa Corte secondo cui, a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 29 del 1993, essendo il c.d. rapporto di pubblico impiego privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro, nonché dalle norme sul pubblico impiego, solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle, sicché non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione (Cass. n. 5413 del 05/03/2013; Cass. n. 9575 del 29/04/2011 ; Cass. n. 57 del 07/01/2009; Cass n. 20787 del 04/10/2007).
Infine, anche il quarto motivo è infondato in quanto correttamente il giudice del merito ha ritenuto di non ammettere i mezzi istruttori articolati dal ricorrente stante la loro irrilevanza ai fini del decidere.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 3.000,00 per compensi ed in euro 100,00 per esborsi, oltre accessori.
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