CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 ottobre 2013, n. 24436
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Contraddittorio – Elementi di prova – Valutazione del giudice
Fatto
L’Agenzia delle Entrate notificò a V.P., esercente la professione di geometra, un avviso di accertamento in rettifica, concernente Iva, IRPEF ed Irap in relazione all’anno d’imposta 1998, col quale furono determinati maggiori compensi, col conseguente addebito delle maggiori imposte, in applicazione dei parametri stabiliti dal decreto del presidente del consiglio dei ministri del 29 gennaio 1996, come modificato dal decreto del presidente del consiglio dei ministri del 27 marzo 1997.
A seguito dell’impugnazione proposta dal contribuente, la commissione tributaria provinciale escluse che l’applicazione dei coefficienti parametrici in relazione ad un unico elemento, il valore dei beni ammortizzabili, potesse integrare presunzione utile a sostenere la ricostruzione operata dall’ufficio; aggiunse che l’avviso di accertamento era affetto da nullità in quanto, in esito al contraddittorio instaurato con P., l’ufficio non aveva valutato gli elementi da questi offerti e ritenne convincenti le ragioni addotte dal contribuente in ordine alle peculiarità della propria attività professionale, la quale aveva necessariamente richiesto l’emissione di fattura per ogni compenso percepito, perché era stata svolta in favore di soggetti che avevano ricostruito i propri immobili valendosi dei contributi riconosciuti dallo Stato con la legge 219 del 1981. Di qui l’accoglimento del ricorso.
A seguito di appello dell’Agenzia delle Entrate, la commissione tributaria regionale è andata in contrario avviso, reputando che:
– il registro dei beni ammortizzabili, peraltro prodotto in copia fotostatica non autenticata, non consente la determinazione del valore dei beni ammortizzabili, anche perché non ne specifica il valore residuo dopo l’ammortamento;
– non vi è prova della percezione dì compensi diversi da quelli accertati per il principio di cassa, in quanto il contribuente non ha fornito elementi utili a collocare diversamente nel tempo i compensi percepiti;
– non vi è prova della esclusività, né della prevalenza dell’imputazione dei compensi percepiti a lavori inerenti alla ricostruzione post-sisma.
Di qui la riforma della sentenza di primo grado.
Ricorre V.P. per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, affidando il ricorso a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate non ha spiegato difese scritte.
Diritto
1. – Va preliminarmente respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso proposta dalla procura generale per l’accorpamento di più censure nei medesimi motivi, in quanto ciascuna distinta censura è comunque chiaramente individuata nell’esposizione dell’apparato argomentativo svolto a supporto di ciascuno dei motivi (in termini, in un’ipotesi similare, vedi Cass. 28 giugno 2012, n. 10785).
2. – Con i quattro motivi di ricorso, il contribuente censura:
– ex articolo 360, 1° comma, n. 3 del codice di procedura civile, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, commi 181 e 185, della legge 28 novembre 1995, numero 549, in relazione agli articoli 53 della Costituzione e 2727, 2728 e 2697 del codice civile nonché la violazione e falsa applicazione dell’articolo 62-sexies dei decreto legge 30 agosto 1993, numero 331, convertito con modificazioni dalla legge 427 del 1993, formulando i seguenti quesiti di diritto: “se la norma di cui all’articolo 3, commi 181 e 185 l. 28 dicembre 1995, numero 549, posta a raffronto con gli articoli 2727, 2728 e 2729 del codice civile debba essere interpretata nel senso che la prova del maggior reddito ivi prevista ha la forza di una presunzione semplice liberamente apprezzabile dal giudice di merito, per quanto previsto dall’articolo 62-sexies del decreto legge 30 agosto 1993, numero 331 (convertito con modificazioni dalla legge 427/1993) e se, in particolare, alla luce del precetto costituzionale di capacità contributiva, la norma medesima debba essere interpretata nel senso che, in caso di contestazione da parte del contribuente che alleghi significative variabili in ragione dell’età, del tipo di attività professionale, dell’economia locale più arretrata rispetto a quella nazionale, del tempo etc., la prova presuntiva si forma validamente soltanto in base al concorso di ulteriori elementi di valutazione concretamente riferibili al caso individuale e se, in quest’ultima ipotesi, l’onere processuale della prova dei suddetti elementi indiziari debba gravare, ai sensi dell’articolo 2697 del codice civile, interamente a carico dell’ufficio impositore – primo motivo:
– ex articolo 360, 1° comma, numeri 3 e 5 del codice di procedura civile, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, commi 181 e 185 della legge 28 novembre 1995, numero 549 e l’incongrua ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, chiedendo, quanto alla doglianza ex articolo 360, 1° comma, numero 3, “se la norma indicata applicata al caso del geometra libero professionista non consente al giudice di valorizzare il dato della marcata fluttuazione del reddito nei vari periodi d’imposta in quanto incompatibile con i presupposti statistici dei parametri e con una loro applicazione automatica, piuttosto rendendo a tal punto necessaria la ricerca di ulteriori elementi fattuali idonei a condurre all’adattamento soggettivo postulato dallo specifico tipo di imposizione prescelto dall’ufficio” e rappresentando l’incongruità e l’insufficienza della motivazione là dove la commissione tributaria regionale, per un verso, non ha espresso alcun giudizio sul fatto che i redditi più elevati non erano suscettibili di valutazione in quanto la relativa normativa era entrata in vigore nel 1995 e, per altro verso, non ha approfondito la circostanza che il reddito del contribuente si era stabilizzato tra il 1993 ed il 1999 – secondo motivo:
– ex articolo 360, 1° comma, numeri 3, 4 e 5 del codice di procedura civile, per violazione e falsa applicazione degli articoli 2719 e 2712 del codice civile, in relazione agli articoli 16 e 39 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, numero 600, dell’articolo 3 del decreto del presidente della Repubblica numero 695 del 1996, dell’articolo 5 del decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 gennaio 1996 e dell’articolo 2 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 27 marzo 1997 e degli articoli 214 e 215 dei codice di procedura civile nonché per l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine all’individuazione del valore dei beni ammortizzabili. Quanto al profilo della violazione di legge, il contribuente formula i seguenti quesiti di diritto: “se, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2719 e 2712 c.c., in relazione agli art. 214 e 215 c.p.c., la copia parziale e/o l’estratto di scrittura fanno piena prova in giudIzio dei fatti e delle cose ivi rappresentate, limitatamente alla parte dell’originale che riproduce letteralmente, se la parte che vi ha interesse non la disconosca nelle forme e termini prescritti dalle citate norme processuali e se il registro dei beni ammortizzabili regolarmente vidimato e tenuto dal professionista ai sensi dell’articolo 3, 2° comma, lettera c) del decreto del Presidente della repubblica 605 del 1996, in relazione all’articolo 16 del decreto del presidente della Repubblica 600/1973, per il principio ricavabile dall’articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973 costituisca -fino a specifica contestazione di merito da parte dell’agenzia fiscale- una valida prova in giudizio delle circostanze e dei valori che vi sono annotati per i fini di cui agli articoli 5 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 29 gennaio 1996 e 2 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 27 marzo 1997”. Sotto il profilo del vizio di motivazione, il contribuente denuncia l’insufficienza degli argomenti della sentenza impugnata, là dove non ha considerato che le ultime due pagine del registro dei beni ammortizzabili si riferivano ad acquisti avvenuti in anni successivi al 1998 — Terzo motivo:
– ex articolo 360, 1° comma, numero 3 del codice di procedura civile, la violazione e falsa applicazione degli articoli 3, commi 181 e 185 della legge 549 del 1995 e 5 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 29 gennaio 1996 e 2 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 27 marzo 1997, là dove la sentenza, in luogo di considerare il costo storico di ciascun bene strumentale posseduto nel 1998, ha fatto leva sul valore fiscalmente riconosciuto. Il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “se, ai sensi dell’articolo 5 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 29 gennaio 1996 e dell’articolo 2 del decreto del presidente del consiglio dei ministri 27 marzo 1997, in relazione all’articolo 3, commi 181 e 185 della legge 549 del 1995, l’individuazione del valore dei beni strumentali da assumere quale variabile nel calcolo parametrico della determinazione del reddito professionale prescinde completamente dalla individuazione del loro valore fiscalmente riconosciuto all’esito dell’ammortamento, essendo definito dal solo costo storico di acquisizione al lordo di ogni ammortamento” – quarto motivo.
3. – I quattro motivi, che vanno congiuntamente esaminati, in quanto frammentazioni di un’unica censura, sono infondati.
3.1. – Il ricorrente intende censurare il meccanismo presuntivo posto a fondamento dell’accertamento induttivo concernente i maggiori compensi ed opporvi dati di fatto contrari: sul primo fronte, i primi due motivi sono volti, rispettivamente, a contestare in generale che ricorra nello schema dell’accertamento una valida presunzione e a contestare, in particolare, che possano essere meccanicamente applicati i coefficienti parametrici assunti a fondamento dell’accertamento.
Sul secondo fronte, gli altri due motivi intendono sottoporre al giudizio della Corte elementi contrastanti con l’accertamento, preliminarmente censurando la pretesa valutazione d’inutilizzabilità delle copie del registro dei beni ammortizzabili e, poi, proponendo altri criteri di valutazione del valore dei suddetti beni ammortizzabili.
3.2. – Rileva la Corte che il meccanismo della presunzione impone o giustifica un giudizio di certezza su un fatto rilevante ai fini del decidere, facendolo derivare non dalla prova di esso, bensì dalla prova, ossia dal giudizio di esistenza di un altro, distinto fatto.
Nel nostro caso, l’altro, distinto, fatto, ossia il dato fondante noto, è il reddito ricavabile, in situazioni di normalità, alla stregua dei parametri approvati con i decreti del 1996 e del 1997 dianzi indicati, là dove il fatto rilevante ai fini del decidere, ossia il fatto ignoto da dimostrare e da accertare, è l’ammontare dei compensi effettivamente imputabili al contribuente, in relazione ai quali sono stati calcolati l’Iva, l’Irpef e l’Irap oggetto del presente giudizio.
3.3. -Al riguardo, le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che gli studi di settore ed i parametri sono soltanto una elaborazione statistica, il cui frutto è un’ipotesi probabilistica (Cass., sez.un., 18 dicembre 2009, n. 26635). In particolare, i parametri si traducono in indici statistico-matematici dell’ammontare dei ricavi e dei compensi in base alle caratteristiche ed alle condizioni di esercizio di settori omogenei di attività.
Gli indici, da soli, per conseguenza, non riescono ad assurgere al rango di fatto noto, storicamente dimostrato, al quale ancorare l’operatività del congegno presuntivo: essi riescono ad integrare il fatto noto, si ribadisce, soltanto allorquando siano applicati in condizioni di normalità, ossia allorquando non vi siano variabili tali da incrinare le caratteristiche e le condizioni di esercizio considerate.
Il peso dell’elaborazione statistica, dunque, è destinato ad incrementarsi, sino a dar corpo al fatto noto, allorché, in concreto, in esito al contraddittorio instaurato col contribuente, questi non adduca e provi circostanze e variabili (come, in via d’esempio, l’età, la professione, l’arretratezza dell’economia locale rispetto a quella nazionale, il tempo), che non siano specificamente contestati dall’ente impositore.
3.4. – Coerentemente, allora, le sezioni unite della Corte hanno stabilito che la gravità, la precisione e la concordanza degli elementi desumibili dall’applicazione dei parametri o degli studi di settore non sono ex lege determinate dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività -, ma derivano soltanto dal contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.
L’onere della prova, hanno precisato le sezioni unite, è così ripartito:
– all’ente impositore fa carico di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, ossia la ricorrenza delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio considerate in relazione al settore omogeneo di attività in seno al quale è stato considerato il campione di contribuenti esaminato ai fini dell’elaborazione dei parametri;
– al contribuente fa carico di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame e, successivamente, di fornire tale controprova in sede contenziosa (vedi le sentenze coeve di Cass., sez.un., 18 dicembre 2009, n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638 nonché, conforme, più recente, Cass. ord. 6 luglio 2010, n. 15905).
4. – Nel caso in questione, l’applicazione dei coefficienti parametrici è stata propiziata dalla circostanza secondo cui, a quanto ili legge nello stesso ricorso e nell’avviso di accertamento, in esso trascritto, nel corso del contraddittorio attivato in fase amministrativa l’unica contestazione rivolta dal contribuente concerneva l’indicazione del valore dei beni ammortizzabili: l’indicazione del valore di questi beni era stata dallo stesso contribuente operata in dichiarazione e, nel corso del contraddittorio, è stata imputata ad errore.
4.1. – Ciò posto, la sentenza ha sottoposto a valutazione critica gli elementi addotti dal contribuente al fine di vanificare l’applicazione dei coefficienti parametrici per la dedotta insussistenza delle condizioni di normalità che, si è visto, i parametri postulano.
In particolare, la sentenza ha reputato ininfluenti gli elementi indicati a causa, rispettivamente:
– dell’inidoneità della documentazione prodotta a provare il diverso, minore valore dei beni ammortizzabili rispetto a quello dallo stesso contribuente indicato, a suo dire per errore, in dichiarazione;
– dell’affermata mancanza di prova della percezione di compensi diversi da quelli accertati per l’applicazione del principio di cassa e – dell’affermata mancanza di prova dell’inerenza di tutti o della maggior parte di tali compensi ai lavori concernenti la ricostruzione post-sisma.
4.2. – Al cospetto di tali valutazioni, le critiche del contribuente volte ad escludere la situazione, di normalità proposte con l’odierno ricorso sono state contrassegnate da estrema genericità.
Il richiamo alle «significative variabili» contenuto nel primo motivo rimane vuoto contenitore, in mancanza dell’allegazione di quali siano le variabili rilevanti nonché della specificazione del tempo e della misura in cui esse avrebbero operato.
Il riferimento alle «marcate fluttuazioni del reddito» del secondo motivo si risolve in una mera formula, giacché non indica l’andamento del reddito, né ne illustra le ragioni.
4.3. – Ed anche gli elementi contrari a quelli ritenuti in sentenza sono irrilevanti ed incerti.
In particolare, è irrilevante il terzo quesito, che punta sulla utilizzabilità del registro dei beni ammortizzabili, benché prodotto in fotocopia, in quanto la sentenza impugnata, pur rimarcandone l’incompletezza e l’informità, comunque ha valutato il documento, pervenendo ad un giudizio d’irrilevanza.
È vago ed incerto il quarto quesito, che si risolve in affermazioni di principio, senza illustrare i concreti elementi, che secondo la sentenza mancherebbero, utili alla determinazione del valore di tali beni.
5. – Nel loro complesso, in definitiva, le contestazioni del contribuente sono labili, risolvendosi in petizioni di principio astratte: il ricorrente, di contro, deve offrire al giudice di legittimità tutti gli elementi indispensabili per la risoluzione della controversia e l’indicazione esplicita dell’errore commesso dal giudice di merito nell’applicazione della regola iuris riferita alla fattispecie (Cass., ordinanza 28 aprile 2010, n. 10239), in modo da consentire alla Corte di poter comprendere dalla sola lettura del quesito l’errore asseritamente compiuto dal giudice di merito nonché la regola applicabile in concreto, non in astratto (Cass., sez.un., 24 marzo 2009, n. 7032; Cass. 7 marzo 2012, n. 3530; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339).
6. – Il ricorso va in conseguenza respinto.
La partecipazione dell’avvocatura dello Stato, difensore ex lege dell’agenzia delle entrate, all’udienza di discussione, comporta la condanna alle spese del contribuente, benché l’agenzia non si sia ritualmente costituita con controricorso.
P.Q.M.
– Respinge il ricorso;
– condanna il contribuente alla rifusione delle spese, liquidate in €uro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.