CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 ottobre 2013, n. 24568
Prestazioni professionali – Avvocato – Diritto al compenso per attività stragiudiziale – Limiti
Svolgimento del processo
1. – La s.r.l. G.B., con atto di citazione notificato il 19 giugno 2000, convenne in giudizio davanti al Tribunale di Catania l’Avv. S.Z., chiedendo che fosse dichiarata insussistente nei suoi confronti la pretesa creditoria di lire 16.675.160 reclamata dal convenuto per presunte prestazioni professionali con lettere del 22 marzo 2000 e del 15 maggio 2000.
Con successivo atto di citazione notificato il 28 luglio 2000, G.B. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 13 giugno 2000 dal Tribunale di Catania, con cui era stato ad essa intimato il pagamento delle medesima prestazioni professionali in favore dell’Avv. Z..
Costituitosi in giudizio, l’Avv. Z. chiese il rigetto della domanda di accertamento negativo e della successiva opposizione a decreto ingiuntivo, deducendo che la pretesa creditoria derivava da attività stragiudiziali di consulenza ed assistenza per quattro procedure concorsuali.
Disposta la riunione dei due procedimenti, il Tribunale di Catania, con sentenza in data 2 maggio 2002 dichiarò l’insussistenza del diritto al compenso professionale del convenuto e revocò il decreto ingiuntivo opposto, compensando interamente tra le parti le spese processuali.
2. – La Corte d’appello di Catania, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 16 novembre 2006, ha rigettato l’impugnazione dello Z., condannando l’appellante al rimborso delle spese processuali sostenute, nel grado, dalla società appellata.
La Corte territoriale ha rilevato che l’Avv. Z. ha dimostrato, attraverso la documentazione allegata in atti, di aver ricevuto dalla società G.B. il mandato di assisterla in quattro gare a trattativa privata e a pubblico incanto, ma non ha provato di avere effettivamente eseguito la prestazione professionale richiestagli, non essendo idonee a tal fine le richieste di assunzione dell’incarico.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’Avv. Z. ha proposto ricorso, con atto notificato il 23 novembre 2007, sulla base di quattro motivi.
L’intimata società non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo (error in procedendo: violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.) si denuncia omessa pronuncia sull’eccezione, espressamente formulata dall’appellante, di mancata prova dell’inesistenza del fatto costitutivo del diritto di credito ovvero dell’esistenza di fatti estintivi o impeditivi dello stesso formulata dalla società appellata nella qualità di attrice nel procedimento di accertamento riunito al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.
1.1. – Il motivo à infondato.
Non sussiste il vizio di omessa pronuncia, perché la Corte territoriale ha preso in esame i motivi di gravame, e li ha respinti richiamando il principio secondo cui nei giudizi aventi per oggetto l’accertamento di un credito vantato dal professionista, relativamente al compenso dovutogli per le prestazioni professionali eseguite in favore del cliente, la prova, non solo dell’avvenuto conferimento dell’incarico, ma anche dell’effettivo espletamento dello stesso incombe al professionista: principio che vale non solo quando il giudizio si svolga a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass., Sez. II, 22 giugno 1994, n. 5987), ma anche quando questo tratta origine da un’azione di accertamento negativo, posto che, in tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo (Cass., Sez. VI – Lav., 4 ottobre 2012, n. 16917).
D’altra parte, il motivo non considera che, essendo i due procedimenti – di accertamento negativo della pretesa creditoria e di opposizione a decreto ingiuntivo – in relazione di continenza ed avendo il Tribunale eliminato la duplice pendenza dinanzi a sé disponendo la prosecuzione, a seguito di riunione, di un unico processo, correttamente il giudice del merito ha applicato la stessa regola di riparto con riguardo alla prova del fatto costitutivo della pretesa creditoria.
2. – Sotto la rubrica “carente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, il secondo mezzo denuncia carente motivazione circa la dichiarata identità del primo e del secondo motivo di gravame in appello.
2.1. – Il motivo è inammissibile, perché non è accompagnato da un quesito di sintesi, omologo al quesito di diritto, che valga a circoscrivere puntualmente i limiti della censura proposta a norma dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 17838).
Alla stregua della letterale formulazione dell’art. 366- bis cod. proc. civ. – introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dall’art. 6 del d.g. 2 febbraio 2006, n. 40, e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dall’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. art. 58, comma 5, dalla legge n. 69 del 2009) – questa Corte è ferma nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, nel caso previsto dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., allorché, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20603).
Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che l’indicazione del fatto controverso e delle ragioni della non adeguatezza della motivazione sia esposta nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, occorrendo, a tal fine, un quid plxiria, una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata (cfr. Cass., Sez. II, 30 gennaio 2013, n. 2219): il che, nella specie, manca.
3. – Con il terzo motivo (error in procedendo: violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.) ci si duole dell’erronea qualificazione dalle prestazioni professionali azionate dal ricorrente con conseguente omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia.
Il quarto mezzo (violazione a falsa applicazione dell’art. 2697, primo comma, cod. civ.) pone il quesito se “il professionista avvocato che faccia valere in giudizio nei confronti del committente il proprio credito secondo quanto fissato dal tariffario forense di cui al d.m. 5 ottobre 1994, n. 585, per le attività di posizione ed archivio, conferenze telefoniche ad esame e studio del controversia, è onerato ex art. 2697, primo comma, cod. civ. a fornire di avere eseguito tali specifiche attività”.
3.1. – L’uno e l’altro motivo – da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono inammissibili.
Dal testo della sentenza impugnata risulta che le prestazioni professionali per le quali è stato richiesto il compenso derivavano da “attività stragiudiziali di consulenza ed assistenza per quattro procedure concorsuali”; e la Corte territoriale, confermando le conclusioni cui era giunto il Tribunale, ha rilevato che l’Avv. Z. ha bensì dimostrato, attraverso la documentazione allegata in atti, di aver ricevuto dalla società G.B. il mandato di assisterla in quattro gare a trattativa privata e a pubblico incanto, ma non ha provato di avere eseguito la prestazione richiestagli.
Ora, i motivi di ricorso muovono dalla denuncia dell’erronea individuazione e qualificazione, da parte dei giudici di merito, della pretesa fatta valere dal professionista, che – si assume – sarebbe limitata, in realtà, alla apertura del fascicolo e all’esame e all’approfondimento della documentazione proveniente dalla società committente.
I motivi di ricorso affermano che questa limitazione sarebbe comprovata dalla documentazione in atti e, in particolare, dalla parcella, ma non riportano in maniera specifica il testo di detta documentazione.
In questa prospettiva, lo stesso quesito che accompagna (soltanto) il quarto motivo finisce per essere generico e astratto, non avendo alcuna attinenza con le ratione che sostengono la decisione impugnata. Da un lato, infatti, l’interrogativo posto dal ricorrente non si conforma alla prescrizione dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in quanto non consente l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, di un diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera della Corte di cassazione sia idonea a determinare una decisione di segno diverso. Dall’altro, il quesito non indica, in sé, da quali atti emergerebbe che il credito fatto valere riguardi esclusivamente le attività di posizione ed archivio, conferenze telefoniche ed esame e studio della controversia.
4. – Il ricorso è rigettato.
Non vi à luogo a pronuncia sulla spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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