CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 novembre 2013, n. 24777
Lavoro – Violazione dei fondamentali doveri del lavoratore – Licenziamento disciplinare – Conflitto d’interessi – Sussiste
Svolgimento del processo
Con sentenza del 18.3 – 12.5.2010 la Corte d’Appello di Catania rigettò il gravame proposto da C. F. e C. L. nei confronti della ST M. ics Srl (qui si seguito, per brevità, indicata anche come ST) avverso la pronuncia di prime cure, che aveva respinto le impugnazioni dei licenziamenti disciplinari loro irrogati.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui rileva, la Corte territoriale osservò quanto segue:
– gli elementi oggetto della contestazione erano già tali da costituire il nucleo essenziale sufficiente a riempire di contenuto la consistenza dell’obbligo di fedeltà di cui al richiamato art. 2105 cc, che altro non è che una estensione particolare del generale obbligo di correttezza tra le parti di un rapporto giuridico, per non essere dubitatile che la contestata ed, in seguito, accertata disponibilità da parte degli odierni appellanti di materiale eccedente, se non addirittura inutile rispetto alle esigenze aziendali, proveniente da soggetto giuridico riconducibile alle loro persone (società avente sede presso la residenza degli stessi; qualità di legale rappresentante in capo alla anziana madre, socia accomandataria; ricorrenza della qualità di socio accomandante fino al 21 giugno 2004 in capo a C. F., verifica di un fatturato tale da fare della suddetta società uno dei maggiori fornitori della ST) già di per sé – e a fronte della sostanziale mancanza di giustificazioni – integra la violazione dei fondamentali doveri del lavoratore, nei termini precisati nel provvedimento impugnato;
– l’accertata prassi in concreto volta ad aggirare il sistema di classificazione del materiale da acquistare – tanto è vero che erano risultate forniture inappropriate da parte della E. in relazione alle esigenze della produzione e della progettazione – determinava e specificava senza ombra di dubbio la violazione da parte dei dipendenti degli obblighi su di essi incombenti, certo più specifici del generale dovere di correttezza e buona fede proprio di qualsiasi rapporto;
– non vi era dunque stata alcuna lacuna nella fase di avvio della procedura disciplinare, né, di riflesso, sul provvedimento finale, tenuto conto del preciso riferimento normativo contenuto già nella lettera di contestazione e considerato che, a fronte della sostanziale inesistenza di ragioni a giustificazione degli addebiti, la mole di riscontri probatori era tale da integrare in pieno la fondatezza delle accuse;
– la copiosa documentazione versata in atti e, segnatamente, i documenti di trasporto relativi al materiale acquistato dalla E., provava che i fratelli C. spesso arrivavano a consegnare personalmente la merce, anche in giorni in cui risultavano assenti dal lavoro; inoltre era riprova dell’intenzionalità dei comportamenti posti in essere la dichiarazione resa da una testimone, dipendente della STM dal marzo 1995, la quale, addetta a redigere report giornalieri relativi al materiale in transito dal magazzino alla produzione, aveva riferito che in data 25 ottobre 2005 era stata invitata a! bar da C. F., il quale, nell’occasione, l’aveva pregata di omettere, dai suddetti report, alcuni prelievi di merce provenienti dal magazzino, acquistata da società che faceva capo ad un parente del predetto, non meglio specificato, testualmente riferendo che il C. disse di volere evitare di destare sospetti;
– non poteva ritenersi, in ragione della peculiarità del caso e della necessità di approfondire le indagini, al fine di verificare la sussistenza di riscontri all’iniziale sospetto di irregolarità nella condotta degli appellanti, che la sanzione del licenziamento potesse essere inficiata dalla tardività della contestazione (nella specie l’una e l’altra si distanziavano ben poco), per essere i fatti risalenti a qualche mese prima l’inoltro della comunicazione di avvio del procedimento disciplinare e tali da necessitare di complessi accertamenti, proprio per il coinvolgimento di molteplici soggetti nei processi aziendali;
– non poteva trovare accoglimento la richiesta attorea tesa a diversificare la posizione degli appellanti, poiché se è vero che le responsabilità di C. F. risultavano vieppiù aggravate dalle circostanze acclarate (con particolare riferimento alla condotta mirata all’occultamento e alterazione di dati e al successivo tentativo di rimediare al fallito intento di coinvolgere la collega sentita come testimone), non meno rilevanti erano gli addebiti mossi a C. L. e tali da inficiare, nel complessivo quadro probatorio, il vincolo fiduciario sotteso alla persistenza del rapporto di lavoro.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C. F. e C. L. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.
La ST M.ics srl ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione e violazione di plurime norme di diritto, in relazione alla dedotta genericità della contestazione disciplinare e alla asserita imputazione dei fatti addebitati.
1.1 Deve anzitutto rilevarsi l’inammissibilità delle censure inerenti ai pretesi vizi di motivazione, atteso che, come diffusamente esposto nello storico di lite, la Corte territoriale ha preso in considerazione gli elementi rilevanti ai fini della contestazione svolta sul punto, traendone un giudizio esaustivo, coerente con i dati esaminati e scevro da vizi logici.
Né è consentito in questa sede, al riguardo, una nuova valutazione dei fatti prospettati, essendo il sindacato di legittimità limitato al controllo sotto il profilo della coerenza logico formale della motivazione ed essendo per contro inibita la revisione del ragionamento decisorio, poiché ciò si tradurrebbe in un’inammissibile nuova valutazione di merito.
Le conclusioni a cui è pervenuta la Corte territoriale sono altresì giuridicamente corrette, ponendosi in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cc (cfr, Cass., nn. 11045/2004; 13813/2008).
Né può ritenersi essere stato violato il principio della immutabilità della contestazione, posto che la specificazione analitica delle circostanze fattuali, svolte nel giudizio dalla parte datoriale anche in funzione probatoria dell’addebito contestato, non hanno configurato elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare (cfr, Cass., nn. 12644/2005; 17604/2007).
Il motivo all’esame, nei distinti profili in cui si articola, non può dunque trovare accoglimento.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione e violazione di plurime norme di diritto in relazione alla dedotta tardività della contestazione disciplinare.
2.1 Richiamando quanto già osservato in relazione al primo motivo, deve ritenersi l’inammissibilità del profilo di censura inerante a pretesi vivi motivazionali, avendo la Corte territoriale, nei termini già diffusamente ricordati nello storico di lite, svolto al riguardo un accertamento fattuale esaustivo e privo di elementi di contraddittorietà.
Le conclusioni a cui la sentenza impugnata è pervenuta sul punto sono altresì immuni da errori giuridici, atteso che, secondo il costante orientamento di questa Corte, nel licenziamento per motivi disciplinari il principio della immediatezza della contestazione dell’addebito e della tempestività del recesso datoriale, che si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore, ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, costituendo, in ogni caso, la valutazione relativa alla tempestività, giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato (cfr, ex piurimis, Cass., nn. 19159/2006; 29480/2008; 2580/2009).
Anche il motivo all’esame va perciò disatteso.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano vizio di motivazione e violazione di plurime norme di diritto in relazione alla sussistenza della giusta causa di licenziamento e alla violazione dell’obbligo di fedeltà.
3.1 La censura, ancora una volta, è inammissibile laddove richiede a questa Corte un nuovo esame delle circostanze caratterizzanti la fattispecie.
In diritto la decisione della Corte territoriale deve ritenersi corretta, posto che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal collegamento dell’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 cc, con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cc, deriva che il lavoratore deve astenersi non solo dai comportamenti espressamente vietati dal suddetto art. 2105, ma anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3719/1988; 11657/1990; 11437/1995; 4952/1998; 12489/2003; 6957/2005; 2474/2008; 14176/2009).
Tale irrimediabile violazione del vincolo fiduciario deve poi ritenersi senz’altro sussistente in un contesto fattuale che, come irretrattabilmente accertato dai Giudici del merito, si era concretizzato nell’acquisizione, proprio dall’azienda a cui i lavoratori erano collegati nei termini già indicati, di forniture inappropriate, attraverso una prassi volta ad aggirare il sistema di classificazione del materiale da acquistare.
Donde l’infondatezza del motivo all’esame.
4. Con il quarto motivo viene denunciato vizio di motivazione, assumendo la diversità della posizione di C. L. in relazione alla ritenuta proporzionalità del licenziamento anche nei suoi confronti.
4.1 Richiamando quanto già ricordato in ordine ai limiti del controllo sulla motivazione consentito in sede di legittimità, deve rilevarsi l’infondatezza della doglianza, avendo la Corte esplicitato la partecipazione anche di C. L. alla condotta contestata e risultando quindi coerente la valutazione conclusivamente espressa nei suoi riguardi circa la rilevanza della violazione del vincolo fiduciario.
5. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese, che liquida in euro 3.050,00 (tremilacinquanta), di cui euro 3.000,00 (tremila) per compenso, oltre accessori come per legge.
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