CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24895
Tributi – Dazi e diritti doganali – Valore in dogana – F.S.R. – Art. 147, Reg. CEE n. 2454 del 1993 – Vendite a catena della merce prima dell’importazione definitiva – Dichiarazione doganale di importazione – Determinazione del valore doganale – Criterio del prezzo relativo ad una vendita anteriore – Legittimità – Condizioni
Ritenuto in fatto
1. In fattispecie d’importazioni, attraverso la Turchia, di tessuti di cotone greggio scortati da certificati Form-A per asserita origine preferenziale turkmena, la soc. C., avvalendosi anche di dazi agevolati, indicava nelle dichiarazioni doganali non il prezzo delle merci pagato all’ultima ditta rivenditrice, ma il minor prezzo della vendita anteriore.
2. Era accaduto, secondo la ricostruzione offerta dalla stessa contribuente, che la ditta L.T.L. (con sede nelle V.I.) aveva commissionato la merce a un fabbricante turkmeno (A.T.) e l’aveva ceduta alla ditta T.S.I.T.S. (di Hong Kong) che, a sua volta, l’aveva rivenduta alla soc. C..
3. In sede di verifica “a posteriori”, il fisco italiano contestava l’origine preferenziale della merce (mancando il trasporto diretto dal Turkmenistan al territorio dell’UE e mancando il certificato di “non manipolazione” riguardo al transito attraverso la Turchia; art. 78 DAC) e l’applicabilità della “F.S.R.” al valore in dogana (non essendovi le condizioni richieste dall’art. 147 DAC).
4. Nel successivo contenzioso, la soc. C. limitava le doglianze alla sola questione sulla determinazione del valore in dogana; i giudici di merito, accoglievano le tesi della contribuente.
5. In particolare, le sentenze di prime cure, per quanto qui interessa, sostenevano: “Relativamente alla base
imponibile, individuata nel prezzo relativo a una vendita anteriore rispetto all’ultima vendita sulla cui base le merci sono state introdotte nel territorio delle Comunità, la commissione ritiene che sia stata fornita prova sufficiente in ordine all’esistenza dei requisiti richiesti dall’art. 147 del regolamento CEE n. 2454 del 1993″.
6. Nel confermare le decisioni favorevoli alla contribuente, i giudici d’appello aggiungevano: “…la richiesta del Form-A, che deve contenere l’indicazione della merce, può avvenire solo in un tempo successivo e pertanto, essendo stato emesso solo sei giorni dopo la data della fattura, deve ritenersi un tempo logico o ragionevole e idoneo ad assolvere la sua funzione”.
7. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, l’Agenzia delle dogane; la società contribuente resiste con controricorso.
Considerato in diritto
8. Denunciando violazioni di norme di diritto (artt. 29 CDC e 147 DAC; artt. 29-62-65 CDC, 147-181 DAC, 69 D.Iva), con i primi due motivi, e correlati vizi motivazionali, con il terzo, la ricorrente lamenta che il giudice di merito trascurino che non vi sia alcun documento comprovante che la merce, sin dalla vendita anteriore tra la ditta L.T.L. e la ditta T.S.I. T.S., fosse destinata all’introduzione nella Comunità, atteso che non si trattava di merci prodotte in conformità a particolari specifiche comunitarie o per uno specifico compratore comunitario ovvero di merci ordinate da un intermediario a un fabbricante per la spedizione diretta nel territorio dell’UE.
9. Quindi, non avendo la soc. C. dimostrato che la vendita precedente é stata conclusa ai soli fini dell’esportazione nella Comunità, manca ogni collegamento tra la vendita anteriormente fatta dalla L.T.L. alla T.S.I. T.S. e la rivendita (ultima vendita) fatta dalla T.S.I. T.S. alla importatrice C. S.p.A., ai fini della corretta determinazione del valore in dogana.
10. Rileva, inoltre, la carenza logica della valorizzazione probatoria di documenti, quali i certificati FORM-A, che, essendo emessi dopo la fatturazione e su dichiarazioni dell’operatore, nulla possono comprovare circa la vendita anteriore.
11. Il ricorso in esame ruota attorno alla cd. F.S.R.. Essa rappresenta un particolare metodo di determinazione del valore doganale, applicabile ogniqualvolta una data merce sia assoggettata a vendite a catena prima della sua importazione definitiva. La regola in questione è stabilita dall’art.147 DAC e prevede che l’utilizzo, a fini daziari, del “prezzo relativo ad una vendita anteriore all’ultima vendita sulla cui base le merci sono state introdotte nel territorio doganale della Comunità”. Siccome il prezzo della prima vendita o vendita anteriore è normalmente più basso di quelli di ogni successiva rivendita, il metodo in questione consente agli operatori di realizzare risparmi, potendo calcolare i dazi ad valorem su una base imponibile più bassa.
12. Nell’UE l’utilizzo della F.S.R. coesiste con il criterio opposto della L.S.R. (CGCE sent. n. 11 del 6 giugno 1990), nel senso che, per poter dichiarare come valore in dogana [ai sensi dell’art. 29 CDC [Reg. (CEE) n. 2913/1992] il “prezzo relativo ad una vendita anteriore all’ultima vendita sulla cui base le merci sono state introdotte nel territorio doganale della Comunità”, l’art. 147 DAC [Reg. (CEE) n. 2454/1993] stabilisce che “…deve essere dimostrato adeguata – mente all’autorità doganale, che quella vendita era stata conclusa ai fini dell’esportazione verso il territorio doganale in questione” (cfr. Comitato CDC, commento n. 7, § 3.2.2).
13. Dalla letteratura europea e nordamericana e dalle interpretazioni giurisprudenziali, nazionali e comunitarie, non emergono orientamenti che ne abbiano alterato le linee fondamentali, pur avendo taluni aspetti suscitato la recente attenzione degli organismi dell’UE in riferimento all’attuazione però del nuovo codice doganale comunitario di cui al Reg. (CEE) n. 450/2008 [cfr. Comitato CDC, TAXUD/MCCIP/2010/100-3 del 25 novembre 2011, art. 230.02, e TAXUD/B4 (2011) 266601 dell’11 marzo 2011].
14. La Corte giustizia CE, nella decisione n. 11 del 6 giugno 1990, afferma che “il prezzo risultante da un contratto di compravendita stipulato tra persone stabilite nella Comunità può considerarsi come il valore di transazione ai sensi dell’art. 3, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 28 maggio 1980, n. 1224, relativo al valore in dogana delle merci”. Aggiunge che, “qualora, in caso di vendite consecutive di una merce, più prezzi effettivamente pagati o da pagare soddisfino le condizioni stabilite dall’art. 3, n. 1, del regolamento (CEE) n. 1224/80, l’importatore può scegliere uno di detti prezzi per la determinazione del valore di transazione”.
15. Su un piano differente, la decisione C-263/06 del 28 febbraio 2008 n. 263 (Carboni) rileva che “le autorità doganali non possono determinare il valore doganale ai fini dell ‘applicazione del dazio antidumping … sulla base del prezzo fissato per le merci di cui trattasi in una vendita precedente a quella per la quale è stata resa la dichiarazione in dogana, qualora il prezzo dichiarato corrisponda a quello effettivamente pagato o da pagare da parte dell’importatore”.
16. Secondo le fonti comunitarie, “occorre garantire l’uniforme applicazione del codice e prevedere, a tal fine, una procedura comunitaria che permetta di stabilirne le modalità di applicazione in termini appropriati” e, per tale ragione, “occorre istituire un Comitato del codice doganale per garantire in tale settore una stretta ed efficace collaborazione tra gli Stati membri e la Commissione” (Reg.CE 2454/93 – DAC). Perciò il Reg.CE 2913/92, Tit. IX – Cap. I, ha istituito il Comitato del codice doganale con il compito di “esaminare qualsiasi questione attinente alla normativa doganale che sia sollevata dal presidente, per iniziativa di questi oppure a richiesta del rappresentante di uno Stato membro” (art. 248 CDC).
17. In particolare, riguardo agli esiti di tale attività, nelle fonti comunitarie si rileva che “i commenti danno indicazioni su come applicare una determinata disposizione” e che, “pur non essendo stati adottati come strumenti giuridici, i commenti rispecchiano il punto di vista del Comitato del codice doganale … e costituiscono un supporto per l’interpretazione e l’applicazione uniforme delle pertinenti disposizioni comunitarie” (v. TAXUD/800/2002-IT dell’8 ottobre 2003).
18. Sull’applicazione dell’art. 147 DAC nel caso di vendite successive, il commento n. 7 del Comitato del codice doganale (sezione valore in dogana), al §3.2.2, chiarisce: “Qualora sia stata effettuata una vendita anteriore (…) riguardante le merci in questione, il dichiarante può chiedere all ‘autorità doganale di accettarle come base per la determinazione del valore in dogana, ma esclusivamente se può dimostrare che, rispetto alla vendita in questione, vi sono circostanze specifiche e pertinenti che hanno indotto ad esportare le merci nel territorio doganale della Comunità.
19. Inoltre, circa i criteri pertinenti alla prova che deve fornire il dichiarante, al §4 precisa: “Ai fini dell’applicazione della terza frase dell’articolo 147, la dimostrazione che le merci sono state vendute per l’esportazione nel territorio doganale della Comunità può includere i seguenti elementi di prova: – le merci sono fabbricate in conformità delle specifiche CE o risulta evidente (in base ai loro marchi ecc.) che non hanno altro impiego o destinazione, – le merci in questione sono state fabbricate o prodotte specificamente per un compratore nella Comunità europea, – merci specifiche sono ordinate da un intermediario che le ottiene da un fabbricante il quale le spedisce direttamente nella Comunità europea”.
20. Indi, circa la responsabilità del dichiarante in caso di vendite successive, al §5.2 chiarisce: “Ai sensi delle disposizioni dell’articolo 147, il dichiarante deve indicare su quale base intende determinare il valore in dogana delle merci, tenendo conto dei seguenti elementi probatori : (…) se la dichiarazione si basa sulla terza frase dell’articolo 147 (cioè una vendita anteriore pertinente) gli elementi di prova presentati alla dogana devono dimostrare che la vendita soddisfa i criteri di cui al precedente paragrafo 4. Qualora il dichiarante non sia in grado di fornire le prove richieste in merito ad una vendita anteriore sulla cui base è stata presentata una dichiarazione di valore in dogana, si dovrà ricorrere all’ultima vendita (…) per stabilire il valore in dogana conformemente al metodo del valore della transazione”.
21. Sui documenti e sulle informazioni che la dogana può esigere a titolo di prova per la determinazione del valore in dogana, il Commento n. 6 del Comitato del codice doganale (sezione valore in dogana) precisa: “Come altre dichiarazioni presentate alla dogana, le informazioni contenute in una dichiarazione di valore in dogana possono richiedere di essere confermate da prove. La dichiarazione del valore in dogana è generalmente accompagnata da taluni documenti (ad esempio fatture) a sostegno di quanto dichiarato. (…) La loro funzione principale è di riflettere il circuito commerciale delle merci e di registrare i dati relativi alle transazioni cui si riferiscono.
22. Sui punti sopra indicati convergono le linee interpretative offerte dai commenti del Comitato del codice doganale contenuti nelle raccolte dei testi del 12 maggio 1997 (XX1/1129/96-IT; v. anche Circ. 27/11/1997 n. 303 – Min. Finanze) e dell’8 ottobre 2003 (TAXUD/800/2002-IT).
23. Tanto premesso, si osserva che la funzione della documentazione di riscontro della dichiarazione di valore è di riflettere il circuito commerciale delle merci e di registrare i dati relativi alle transazioni cui si riferiscono. Nella specie allegare le fatture di vendita anteriore, da società lussemburghese con filiale in Turchia a società svizzera, di tessuti turkmeni in cotone greggio non dimostra affatto, né sul piano logico né su quello circostanziale, la loro obiettiva destinazione comunitaria quali merci fabbricate in conformità delle specifiche CE o non aventi altro impiego o destinazione, ovvero prodotte specificamente per un compratore nella Comunità europea, oppure ordinate da un intermediario a un fabbricante che le spedisce direttamente nella Comunità europea, secondo quanto richiesto dal Comitato del codice doganale (Commento n. 7, § 3.2.2 e §4).
24. Né vale invocare, a riprova della pretesa destinazione comunitaria, il fatto che i tessuti sono scortati da certificato FORM-A. Esso nulla ha a che vedere con l’applicazione della “F.S.R.”, ma riguarda le agevolazioni tariffarie adottate dall’UE mediante il “sistema delle preferenze generalizzate”. E’ rilasciato, su richiesta dell’esportatore ed è corredato dai documenti annessi a giustificazione che le merci da esportare, essendo originarie, beneficiano del trattamento daziario preferenziale (salvo verifica della correttezza da parte delle autorità del Paese importatore, nei modi previsti dalla normativa comunitaria). Dunque, di norma, il FORM-A riguarda la fase terminale della vicenda circolatoria, cioè l’uscita delle merci per l’introduzione nel Paese comunitario. L’eventuale identità fisica tra i tessuti indicati nella fattura della vendita anteriore, poi utilizzata per la dichiarazione di valore in dogana secondo la “F.S.R.”, e quelli riportati nella fattura di rivendita (ultima vendita) alla soc. C. è del tutto irrilevante sul piano logico-giuridico, attesa la mancanza di qualsivoglia dato obiettivo che renda “ab origine” chiara la destinazione comunitaria delle merci, o perché lavorate in conformità di specifiche CE (Commento n.7, §4), o per la peculiare finalizzazione della vendita anteriore (Commento n.7, § 3.2.2), il che non risulta.
25. Sotto altro profilo, è la stessa soc. C. a sostenere che vi sarebbe stata “consegna della merce al secondo intermediario, quello da cui ha acquistato la ricorrente, direttamente ad opera del fabbricante” (controric. pag.5); dunque, non si tratta affatto di “merci specifiche … ordinate da un intermediario che le ottiene da un fabbricante il quale le spedisce direttamente nella Comunità europea”. Del tutto irrilevante resta l’ipotesi che la società lussemburghese L. T. L. possa aver commissionato la merce al fabbricante A.T. con destinazione Italia e invio diretto dal Turkmenistan. E’, infatti, divenuto definitivo l’atto impositivo nel capo sulla negata origine preferenziale, per mancato rispetto proprio della regola del trasporto diretto delle merci (in realtà transitate per la Turchia e prive del certificato di non manipolazione o di altra documentazione equipollente). Dunque, è da escludere che si possa parlare, anche ai fini della “F.S.R.”, di fabbricante che “spedisce direttamente nella Comunità europea”. Infatti, da un lato è pacifico che, nella specie, non si tratta di prodotti il cui trasporto si effettua senza attraversamento del territorio di altri paesi, dall’altro non è più controverso il mancato rispetto del regole, tassativamente stabilite dall’art. 78 DAC, perché le merci siano considerate come trasportate direttamente dal paese beneficiario nella Comunità, ancorché ciò avvenga attraverso il territorio di paesi diversi dal paese beneficiario o dalla Comunità.
26. In conclusione, manca la dimostrazione, da parte della importatrice soc. C., dei tre requisiti necessari per l’applicazione più larga della “F.S.R.” suggerita dal Comitato: (i) le merci importate
sono semplici tessuti di cotone greggio e, dunque, non può dirsi che “le merci sono fabbricate in conformità delle specifiche CE o risulta evidente (in base ai loro marchi ecc.) che non hanno altro impiego o destinazione; (ii) i tessuti sono stati commissionati al fabbricante turkmeno da un primo intermediario Ex – traCE e, dunque, non può dirsi che “le merci in questione sono state fabbricate o prodotte specificamente per un compratore nella Comunità europea(iii) i tessuti sono giunti nel territorio doganale comunitario (Italia) non direttamente dall’iniziale Paese esportatore (Turkmenistan) ma tramite un paese ExtraCE (Turchia) senza rispettare l’art. 78 DAC e, dunque, non può dirsi che “si tratti di merci specifiche (…) ordinate da un intermediario che le ottiene da un fabbricante il quale le spedisce direttamente nella Comunità europea”.
27. Ne deriva l’inapplicabilità del prezzo per la vendita anteriore (tra primo e secondo intermediario) in luogo del prezzo pagato per l’ultima vendita (tra il secondo intermediario e la ditta importatrice) e, conseguentemente, l’accoglimento del ricorso del Fisco, con cassazione senza rinvio della sentenza d’appello e rigetto nel merito del ricorso introduttivo (non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto).
28. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo (cfr. S.U. 17405/12); l’evolversi della vicenda processuale fa stimar equa la compensazione di tutte le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente, che condanna alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 1.100, oltre alle spese prenotate a debito; compensa le spese dei gradi di merito.
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