CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24916
Tributi – IVA – Credito infrannuale – Istanza di rimborso – Revoca della richiesta di rimborso – Inammissibilità
Svolgimento del processo
Con sentenza 20.11.2006 n. 398 la Commissione tributaria della regione Campania ha rigettato l’appello proposto da PART. IMM. S.r.l. avverso la decisione n. 30/2006 della CTP di Napoli che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della società contribuente contro il provvedimento di diniego della revoca della istanza di rimborso IVA relativa al primo trimestre dell’anno 2004.
I Giudici territoriali hanno ritenuto che la istanza di rimborso, in quanto atto iniziale del procedimento amministrativo, rimaneva sottratta alla disponibilità della parte privata con conseguente “irretrattabilità della instaurazione del rapporto” di diritto pubblico, potendo il contenuto della istanza essere modificato “unicamente ove fossero presenti errori di calcolo o materiale ipotesi che non ricorreva nel caso di specie.
Aggiungevano che il provvedimento di diniego di revoca doveva catalogarsi tra “gli atti prodromici preparatori alla emanazione di atti giuridici veri e propri e non poteva quindi essere revocato, né impugnato in quanto non ricompreso nel catalogo degli atti tributari impugnabili di cui all’art. 19 Dlgsn. 546/1992.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la società deducendo cinque motivi.
Ha resistito la Agenzia delle Entrate notificando controricorso.
Motivi della decisione
1. La vicenda controversa si articola nei seguenti passaggi cronologici:
– la società contribuente, ritenendo maturato un credito imposta IVA infrannuale (relativo all’anno 2004), presentava in data 7.4.2004 all’Ufficio di Napoli 1 della Agenzia delle Entrate istanza di rimborso cd. accelerato ai sensi dell’art. 38 bis comma 3 Dpr n. 633/1972 e dell’art. 1 DM Finanze 23.7.1975 (recante “Modalità per la esecuzione delle disposizioni dell’art. 38 (ndr bis) comma del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633 e succ. mod. “)
– essendo rimasta inerte la PA, la società -che nelle more aveva trasferito la propria sede legale a Roma,- in data 17.6.2005 presentava al medesimo Ufficio finanziario atto di revoca della istanza di rimborso infrannuale
– l’Ufficio Napoli 1 della Agenzia delle Entrate notificava alla società in data 18.7.2005 provvedimento di “inammissibilità della revoca” con il quale precisava che “la liquidazione del rimborso non era stata eseguita perché l’Ufficio aveva posto in essere i controlli preventivi ex art. 52 d.p.r. 633/732 con esito negativo come da PVC di accesso negativo redatto addì 29.4.2005…”
– la società ha quindi impugnato il provvedimento di diniego della istanza di revoca avanti il Giudice tributario, tanto in relazione alla illegittimità di tale atto, quanto in relazione alla sussistenza dei presupposti normativi per ottenere il rimborso infrannuale “producendo in giudizio le dichiarazioni fiscali ed il contratto di locazione inerente la sede legale di Roma probanti la esistenza della società” (ricorso pag. 3; controric. pag. 3).
1.1 Tali i fatti incontestati, come emergono dagli atti difensivi della ricorrente e della resistente, le questioni controverse, come è dato desumere dalla lettura della sentenza di appello e del ricorso, hanno avuto ad oggetto: 1- la inammissibilità del ricorso giurisdizionale proposto avverso il provvedimento di diniego della istanza di revoca, sia in quanto volto ad impugnare un “atto non ricompreso nell’elenco” dell’art. 19 Dlgs n. 546/1992, sia in quanto volto ad affermare la revocabilità della istanza di rimborso, ritenuta da entrambi i Giudici di merito non consentita stante il principio di indisponibilità del procedimento amministrativo
2 – il diritto della società -in conseguenza dell’illegittimo diniego della revoca della istanza di rimborso infrannuale presentata dalla società- di portare le somme eccedenti in detrazione nell’anno successivo (art. 30 co 2 Dpr n. 633/72) o ancora di utilizzare il relativo importo in compensazione delle imposte dovute per l’anno 2004, entro la data di presentazione della dichiarazione unificata del successivo anno (art. 1 e co 2 lett. b) del Dlgs 9.7.1997 n. 241),
3- la esistenza dei presupposti legali di riconoscimento del diritto al rimborso infrannuale (come risulta dal ricorso introduttivo proposto dalla società avanti la CTP di Napoli, riportato in sintesi a pag. 3 del ricorso per cassazione ed a pag.3 del controricorso, essendo stato impugnato il diniego di revoca anche in relazione alla sussistenza “dei presupposti normativi per il rimborso infrannuale del credito IVA producendo in giudizio le dichiarazioni fiscali e il contratto di locazione inerente la sede legale di Roma, probanti la esistenza della società”).
1.2 Orbene, indipendentemente dalla carente descrizione del contenuto del provvedimento tributario opposto (indispensabile alla verifica dell’oggetto del diniego), la eccezione pregiudiziale -proposta dalla Agenzia fiscale- di inammissibilità del ricorso per cassazione per “carenza di interesse” risulta evidentemente infondata, in quanto formulata nella erronea supposizione che la società non avesse contestato con il ricorso introduttivo proposto avanti la CTP di Napoli anche il diniego nel merito del diritto al rimborso, circostanza smentita dalla lettura degli atti difensivi delle parti da cui risulta, invece, che la società contribuente aveva specificamente impugnato il provvedimento di diniego in relazione a tutti i profili, producendo in giudizio le prove a confutazione dei rilievi di merito formulati dall’Ufficio.
1.3 Deve, invece, essere esaminata -unitamente a motivi del ricorso principale- l’altra questione pregiudiziale sollevata dalla Agenzia fiscale resistente secondo cui, essendo fissato dall’art. 1 del DM 23.7.1975 alla Amministrazione finanziaria un termine per eseguire il rimborso accelerato IVA infrannuale, ed essendo questo ampiamente spirato al momento della notifica del ricorso giurisdizionale da parte della società contribuente, quest’ultimo dovrebbe ritenersi inammissibile ai sensi dell’art. 21 Dlgs n. 546/1992, essendosi consolidato il rapporto tributario in conseguenza della omessa tempestiva impugnazione proposta dalla società avverso il “silenzio-rifiuto” formatosi sulla istanza della contribuente alla scadenza del termine previsto per il rimborso.
2. Preliminarmente va dichiarato inammissibile il quinto motivo del ricorso principale (con il quale viene dedotto vizio di “insufficienza e contraddittorietà della motivazione ex art. 111 Cost, 132 c.p.c, 36 Dlgs n 546/92; inesistenza ex art. 161 c.p.c. della sentenza appellata ….per difetto assoluto di istruttoria, omesso esame ed omessa pronuncia su alcune eccezioni formulate dalla contribuente , omessa descrizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e diritto ed incompletezza del dispositivo “) in quanto: a) non viene formulato il quesito di diritto; b) dalle norme indicate in rubrica, il vizio denunciato sembrerebbe doversi ricondurre al paradigma di cui all’art. 360 co 1 n. 4 c.p.c. venendo fatta valere la nullità della sentenza per carenza assoluta del requisito di validità della motivazione ai sensi dell’art. 36 Dlgs n. 546/92, mentre, nella esposizione del motivo, la parte censura la omessa considerazione da parte della CTR di “eccezioni1 od argomenti giuridici prospettati dalla ricorrente: ne segue la incertezza nella individuazione del fatto processuale contestato in quanto il vizio, da un lato, ipotizzerebbe la violazione dell’art. 112 c.p.c. -diversa dalla nullità ex art. 132 c.p.c e 36 Dlgs n. 546/92 indicata-, peraltro già dedotta con il quarto motivo; dall’altro invece verrebbe a prospettare un vizio di logicità motivazionale -omessa confutazione delle argomentazioni difensive prospettate dalla contribuente- che avrebbe dovuto, allora, essere censurato in relazione all’art. 360col n. 5 c.p.c.; c) la parte ricorrente ha omesso del tutto di indicare su quali “eccezioni in senso stretto” la CTR avrebbe omesso di pronunciare -tale non potendo ritenersi la mera richiesta di declaratoria di perentorietà di un termine, ove non vengano specificati quali effetti giuridici derivino da tale perentorietà sul diritto controverso- e ciò a prescindere dal dirimente rilievo secondo cui, nella controversia relativa al credito di rimborso, il contribuente assume la posizione di attore e dunque è soltanto la Agenzia fiscale resistente che, costituendosi, può proporre eventuali eccezioni di merito.
3. Con i primi quattro motivi la società censura la sentenza di appello in quanto i Giudici di merito non avrebbero considerato che al termine stabilito dal decreto ministeriale del 1975 per la esecuzione del rimborso da parte della Amministrazione finanziaria -che nella specie andava a scadere il 20.6.2004- doveva riconoscersi natura perentoria, con la conseguenza che allo spirare dello stesso il diritto della contribuente all’utilizzo -anche in compensazione- del credito, non poteva più essere contestato dall’Ufficio finanziario (primo motivo), e su tale questione la CTR aveva omesso del tutto di pronunciare (quarto motivo); in ogni caso il provvedimento di diniego doveva ritenersi impugnabile avanti la giurisdizione tributaria in quanto, risolvendosi in un accertamento negativo del diritto di credito vantato dalla contribuente, lo stesso rivestiva i caratteri dell’atto impositivo (terzo motivo); inoltre la facoltà della società contribuente di revocare la precedente istanza di rimborso trovava fondamento nel principio di emendabilità delle dichiarazioni fiscali, in quanto mere manifestazioni di scienza, nonché nell’assenza di espresse disposizioni di legge ostative, tanto più che, con circolare 19.12.2006, la Amministrazione finanziaria aveva riconosciuto la revocabilità del rimborso IVA “annuale” (secondo motivo).
3.1 II quarto motivo (con cui si denuncia il vizio di nullità processuale ex art. 360co 1 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.) è da ritenersi inammissibile in quanto risulta oggettivamente incompatibile con il primo motivo: la denuncia dell’”error in judicando” relativo alla qualificazione giuridica della natura termine stabilito dal DM 23.7.1975 per la esecuzione dei rimborsi postula, infatti, che il Giudice di merito abbia emesso proprio quella pronuncia che, con il quarto motivo di ricorso -contraddittoriamente- si reputa, invece, omessa.
Nella specie, infatti, la CTR campana, ritenendo legittimo il provvedimento di diniego emesso dall’Ufficio finanziario successivamente alla scadenza dell’indicato termine, ha implicitamente – idest secondo una relazione di implicazione logica necessaria tra l’enunciato espresso e quello presupposto inespresso- negato carattere perentorio al detto termine, venendo quindi a pronunciare sullo specifico motivo di gravame proposto dalla società.
3.2 Passando quindi, secondo un ordine logico, all’esame del terzo motivo, coglie nel segno la censura mossa alla sentenza di appello laddove il ricorso introduttivo proposto avverso il provvedimento di diniego della istanza di revoca è stato ritenuto inammissibile, non essendo ricompreso tale atto nell’elenco di cui all’art. 19 Dlgs. n. 546/1992.
La individuazione ex lege degli atti tributari alla cui impugnazione è condizionato l’accesso alla tutela avanti le Commissioni tributarie (art. 19 Dlgs n. 546/1992) evidenzia la necessità, voluta dal Legislatore, che la controversia sul rapporto tributario abbia ad oggetto sempre una “formali pretesa di natura tributaria, nel senso che a fondamento del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio deve sussistere comunque una manifestazione di volontà impositiva (nel duplice aspetto di volontà “pretensiva” -del maggiore tributo- od ”’’oppositiva” -al diritto alla restituzione del tributo riscosso od al riconoscimento del diritto alla esenzione o alla applicazione del minore tributo-) dell’Ufficio, rivestita dei caratteri formali tipici prescritti dalla legge, e dunque un atto provvedimentale impugnabile ai sensi dell’art. 19 Dlgs n. 546/1992 in quanto idoneo ad incidere negativamente nella sfera patrimoniale del contribuente.
3.2.1 Premesso che l’elenco degli atti “autonomamente” impugnabili, contenuto nell’art. 19 Dlgs n 546/1992, è suscettibile di essere integrato con la indicazione di ulteriori atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, espressamente considerati tali da specifiche norme di legge (art. 19 comma 1 lett. i), Dlgs n. 546/92), questa Corte ha, peraltro, precisato che la tassatività dell’elenco, deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma alla individuazione di “categorie” di atti considerate in relazione agli effetti giuridici da quelli prodotti (tra cui predomina la categoria degli atti di natura impositiva), con la conseguenza che non è impedito all’interprete —mediante la qualificazione giuridica dell’atto in concreto impugnato, da compiere in relazione agli elementi funzionali ed agli effetti prodotti- di ricondurre ad una delle predette categorie anche atti “atipici” od individuati con “nomen juris” diversi da quelli indicati nell’elenco.
E’ stato, pertanto, precisato in proposito che debbono qualificarsi come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una “pretesa tributaria”, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un “invito bonario” a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12194 del 15/05/2008), ed ancora che debbono qualificarsi come avviso di accertamento anche gli atti di “invito al pagamento” emessi in materia doganale, tanto in quanto sussiste un interesse attuale del contribuente a proporre azione di accertamento negativo sulla debenza del tributo, posto che, ove tale situazione non venisse rimossa, resterebbe legittimata l’azione esecutiva erariale, con lesione dei diritti soggettivi del contribuente (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22015 del 13/10/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 3918 del 15/02/2008).
Ne segue che anche ‘ la impugnazione di atti emessi dalla Amministrazione finanziaria, pur se non direttamente ricompresi nell’elenco tassativo degli atti tributari autonomamente impugnabili previsto dall’art. 19 Dlgs n. 546/1992, può, pertanto, costituire veicolo di accesso al giudizio tributario, laddove tale atti risultino comunque idonei a portare a conoscenza “/ presupposti di fatto e le ragioni in diritto” della pretesa impositiva o del diniego del diritto vantato dal contribuente e siano quindi astrattamente suscettibili a fondare l’interesse alla impugnazione ex art. 100 c.p.c. del contribuente, trovando giustificazione la applicazione dei criteri di interpretazione “estensiva” ed analogica delle categorie di atti contenute nell’elenco tanto nella esigenza di certezza dei rapporti tributari (che richiede un immediata definizione delle potenziali controversie) quanto nei principi costituzionali di buon andamento della PA ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost. (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21045 del 08/10/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 16100 del 22/07/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 7344 del 11/05/2012; id. Sez, 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012).
3.2.2 Tanto premesso (anche a tralasciare il rilievo che, secondo quanto sostenuto dalla stessa Amministrazione finanziaria, il provvedimento opposto conteneva anche un disconoscimento del diritto al rimborso, sicché in tal caso non potrebbe certo dubitarsi della impugnabilità dello stesso, in quanto ricompreso nelle ipotesi previste dall’art. 19 co 1 lett. g) del Dlgs n. 546/1992) ritiene il Collegio che, rifluendo il diniego opposto alla revoca della istanza di rimborso sul disconoscimento del diritto del contribuente di portare la eccedenza d’imposta in detrazione nelle liquidazioni periodiche successive (cfr. art. 1 co 1 Dpr 23.3.1998 n. 100) ovvero di esercitare “in alternativa” la compensazione prevista dall’art. 17 Dlgs 9.7.1997 n. 241 (cfr. art. 8 co 3 Dpr 14.10.1999 n. 542), non possano sollevarsi dubbi in ordine alla immediata incidenza del provvedimento in questione sul rapporto tributario concernente il debito IVA relativo al corrispondente anno d’imposta, in quanto, se per un verso non appare coerente con il sistema della giurisdizione tributaria -estesa con carattere di generalità ai rapporti tributari- sottrarre ad essa la impugnazione di provvedimenti della PA lesivi dei diritti concernenti le modalità di esercizio del credito d’imposta, riconosciuti direttamente dalla legge al contribuente (detrazione, rimborso, compensazione), per altro verso occorre considerare la portata generale della categoria dell’atto impugnabile di cui all’art. 19 co 1 lett. g) Dlgs n. 546/1992 (“rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi”) il cui ambito oggettivo non può ritenersi circoscritto alla mera negazione del diritto di credito vantato dal contribuente, ma deve coerentemente essere esteso anche le modalità -predeterminate ex lege e che attribuiscono a) contribuente vere e proprie situazioni di vantaggio- di attuazione di tale credito nel rapporto tributario, dovendo in conseguenza includersi anche il provvedimento di diniego della revoca della istanza di rimborso infrannuale nella categoria degli atti impugnabili indicata nella lettera g) dell’art. 19 citato.
3.3 Venendo a trattare le questioni sollevate con il primo ed il secondo motivo, rileva il Collegio che debbono ritenersi prive di fondamento le contrapposte tesi prospettate dalle parti, concernenti, rispettivamente, la asserita natura perentoria del termine indicato dall’art. 1 comma 2 DM 23.7.1975 (nel testo modificato dal DM Finanze 15.2.1979 “i rimborsi infrannuali delle eccedenze dell’imposta sul valore aggiunto devono essere eseguiti entro il giorno 20 del secondo mese successivo ciascuno dei primi tre trimestri solari “) per la esecuzione dei rimborsi accelerati IVA, e la asserita definitività dell’atto amministrativo conseguente allo spirare del medesimo termine (tesi, sostenuta dalla Agenzia fiscale, che ripropone la risalente teoria della “fictio iuris” del provvedimento negativo implicito al quale viene equiparata la inerzia della PA in ordine all’obbligo a provvedere sulla istanza del privato).
La tesi della società ricorrente secondo cui il termine consumerebbe il potere di provvedere in merito al diritto al rimborso, e la tesi sostenuta dalla Agenzia resistente secondo cui con la decorrenza del termine si formerebbe il “silenzio-rifiuto” sull’obbligo di provvedere (non invece il silenzio-rigetto, come erroneamente indicato nel controricorso, che attiene a diversa figura giuridica circoscritta all’ambito dell’attività amministrativa contenziosa) con conseguente onere di tempestiva impugnazione a carico del contribuente, non sono infatti supportate da alcun referente normativo.
3.3.1 II termine fissato dal Decreto 23 luglio 1975 e succ. mod. (regolamento che trova fondamento legislativo nell’art. 38 bis comma 5 del Dpr n. 633/72 “Co« decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro sono stabilite le modalità relative all’esecuzione dei rimborsi e le modalità ed i termini per la richiesta dei rimborsi relativi a periodi inferiori all’anno e per la loro esecuzione”) non è rivolto a disciplinare, infatti, l’esercizio della potestà amministrativa (tanto meno discrezionale) della PA, ma soltanto l’adempimento di una obbligazione restitutoria avente natura patrimoniale, insorgendo il credito d’imposta del contribuente, non in dipendenza di un provvedimento amministrativo costitutivo di tale diritto ma, al momento dei singoli versamenti effettuati dal contribuente stesso, in relazione alla differenza tra l’ammontare complessivo dell’imposta sul valore aggiunto esigibile nel periodo (mensile, trimestrale) precedente, risultante dalle annotazioni eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse od ai corrispettivi delle operazioni imponibili, e quello superiore dell’imposta, risultante dalle annotazioni eseguite nei registri relativi ai beni ed ai servizi acquistati, ossia in relazione alla differenza tra l’ammontare delle imposte dovute sulle fatture attive e il maggiore importo dell’IVA da detrarre sulle fatture passive, risultante dalle liquidazioni periodiche (art. 27 Dpr n. 633/72).
3.3.2 Gli effetti previsti dalla legge in conseguenza della scadenza del predetto termine, senza che l’Ufficio abbia provveduto al rimborso, vengono dunque ad essere ricondotti a quelli propri del diritto delle obbligazioni, essendo tenuta la PA inadempiente a corrispondere in caso di ritardato rimborso anche gli interessi di mora (art. 38 bis comma 4 Dpr n. 633/1972; art. 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29) “« ragione del 5 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni” ( nel caso, invece, di “dichiarazione redatta su modello approvato con decreto dirigenziale contenente i dati che hanno determinato l’eccedenza di credito” la norma dispone che “agli effetti del computo degli interessi, si tiene conto della data di presentazione della dichiarazione stessa art. 38 bis comma 1 Dpr n. 633/72 nel testo vigente al tempo), dovendo estendersi tali disposizioni (collocate nel “primo comma” dell’art. 38 bis, relativo ai rimborsi IVA richiesti con le dichiarazioni annuali -cd. rimborsi “annuali”-) anche ai rimborsi “accelerati” infrannuali, di cui al comma 2, essendo indistintamente riferita ad entrambe le tipologie di rimborsi (annuale ed infrannuale) la disposizione del successivo comma 4, che determina le modalità di pagamento anche per quanto concerne la obbligazione accessoria per interessi, ed in assenza di disposizioni in deroga dettate dal DM 2.7.1975 (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 7180 del 25/03/2009 ; id. Sez. 5, Sentenza n. 25717 del 09/12/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 2589 del 04/02/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 26272 del 29/12/2010).
3.3.3 Dalla netta distinzione, che emerge dall’esame della disciplina normativa, tra attività di verifica della istanza di rimborso ed attività di accertamento impositivo, debbono trarsi i seguenti corollari:
a) il termine stabilito per l’adempimento del rimborso ha natura oggettivamente diversa dal termine (di decadenza) stabilito per l’esercizio della potestà di accertamento della imposta: la verifica compiuta dagli Uffici finanziari sulla istanza di rimborso attiene, infatti, ad elementi estrinseci quali la regolarità formale della istanza e la verifica delle condizioni -predeterminate dalla legge- cui è subordinata la erogazione delle somme chiesta a rimborso (la corretta compilazione del modello di domanda, i limiti di importo stabiliti per il rimborso in presenza di compensazioni in conto fiscale, la qualità di soggetto IVA del richiedente, eventuali pendenze fiscali a carico del contribuente, riscontro delle garanzie prestate dal richiedente: Circolare Direz. Centrale gestione tributi Agenzia Entrate del 31.7.2002 n. 61/E), e non pregiudica in alcun modo la successiva attività di controllo ed accertamento impositivo ex artt. 51 ss. Dpr n. 633/72 (che deve essere svolta nei termini di decadenza indicati nell’art. 57 del medesimo decreto presidenziale), come peraltro è dato agevolmente desumere dallo stesso art. 38 bis comma 6 che prevede espressamente l’ipotesi in cui, successivamente alla erogazione del rimborso, venga notificato avviso di rettifica o di accertamento, disponendo in tal caso l’obbligo a carico del contribuente di “versare all’ufficio le somme che in base all’avviso stesso risultano indebitamente rimborsate, insieme con gli interessi…”. La evidenziata disomogeneità funzionale dei termini indicati, priva di ogni rilevanza l’assunto difensivo della società ricorrente che sembra voler assimilare l’esame della istanza di rimborso infrannuale all’accertamento sulla dichiarazione fiscale al fine di desumere la natura perentoria del termine per la esecuzione del rimborso, dovendo ritenersi destituita di fondamento anche la correlata tesi, dedotta a sostegno del medesimo assunto, della asserita ingiustificata disparità di trattamento tra il contribuente -soggetto a termine di decadenza per la richiesta di rimborso- e la Amministrazione finanziaria -non soggetta invece a termine perentorio per la esecuzione del rimborso-, attesa la non comparabilità, nella disciplina dell’IVA, della posizione della Amministrazione finanziaria con quella del contribuente soggetto-passivo, e quindi la inconfigurabilità -in relazione alla diversa natura dei termini indicati- di situazioni di ingiustificata ineguaglianza, affermazione che ha trovato piena conferma anche nella giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte giustizia 8.5.2008, in cause riunite C- 95/07 e C-96/07, Ecotrade s.p.a., punti 49-52: con riferimento al termine di decadenza dell’accertamento fiscale, decorrente in data posteriore a quella prevista per l’analogo termine di decadenza fissato per l’esercizio da parte del soggetto passivo del diritto a detrazione IVA, il Giudice comunitario ha, infatti, escluso la lesione del principio di eguaglianza, in quanto la PA viene a disporre di tutti i “dati necessari per fissare l’importo dell’IVA esigibile e quello delle detrazioni da operare, solamente a partire dal momento in cui le perviene la dichiarazione fiscale del soggetto passivo”).
b) la inutile scadenza del termine di cui al DM del 1975 per la esecuzione del rimborso, pertanto, non impedisce alla Amministrazione finanziaria di procedere, anche in tempo successivo, alla verifica delle condizioni e dei presupposti cui è ricollegato il pagamento del rimborso (in quanto l’attività ricognitiva rimessa agli Uffici finanziaria in sede di esame della istanza di rimborso infrannuale, non implica -secondo la previsione normativa- l’esercizio di potestà discrezionale ed il controllo predetto è volto soltanto a contestare la pretesa del contribuente ove formulata in difetto delle condizioni di legge, e non anche ad avanzare ulteriori pretese impositive nei confronti del contribuente), nonché di procedere -nel prescritto termine di decadenza- all’accertamento ed alle rettifiche della dichiarazione annuale IVA. Ne consegue che, operando il termine decadenziale esclusivamente con riferimento alla dichiarazione annuale, soltanto nel caso in cui non siano stati adottati accertamenti in rettifica entro detto termine di decadenza stabilito per l’esercizio della potestà impositiva, il diritto al rimborso esposto nella dichiarazione annuale (nella quale deve essere computato anche l’importo dei rimborsi infrannuali: art. 1 u.c. DM 23.7.1975) potrà ritenersi definitivamente cristallizzato nell’ “an” e nel “quantum”, ed il contribuente potrà agire in giudizio a tutela del proprio credito nell’ordinario termine di prescrizione dei diritti ex art. 2946 c.c., rimanendo conseguentemente preclusa all’Amministrazione finanziaria -successivamente alla intervenuta definitività del rapporto tributario- ogni contestazione dei fatti che hanno originato la pretesa di rimborso, salve evidentemente le eccezioni volte a fare valere i fatti sopravvenuti impeditivi, modificativi, od estintivi del credito (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n, 9339 dell’8/6/2012).
3.3.4 La efficacia immediatamente lesiva del diritto del contribuente che deve essere riconosciuta al provvedimento di diniego “espresso” della revoca della istanza di rimborso infiammale, non consente peraltro di condividere la tesi sostenuta dalla Agenzia fiscale secondo cui il mancato esperimento del ricorso giurisdizionale tributario nel termine di gg. 60 di cui all’art. 21 col Dlgs n. 546/1992, decorrente dalla scadenza del termine previsto dall’art. 1 del DM 23.7.1975, per intervenuta formazione del “silenzio-rifiuto” sulla originaria istanza di rimborso accelerato del credito IVA, precluderebbe l’ammissibilità del ricorso introduttivo proposto dalla società avverso il provvedimento espresso (di diniego della revoca della istanza di rimborso e sembra anche di disconoscimento del credito d’imposta) oggetto del presente giudizio.
La eccezione pregiudiziale deve ritenersi manifestamente infondata.
L’istituto giuridico di diritto amministrativo -richiamato dalla Agenzia resistente- secondo cui, quando è configurarle in capo all’Amministrazione pubblica un dovere di provvedere in conformità delle richieste dell’interessato -in assenza di margini di discrezionalità-, la inerzia mantenuta dalla PA può essere contestata giudizialmente dal soggetto che si assume leso dall’omissione solo attraverso la rigorosa sequenza articolata nella formazione tipica del “silenzio-rifiuto” e la conseguente impugnazione nel termine decadenziale, decorrente dallo spirare del trentesimo giorno successivo alla diffida, deve ritenersi invocato a sproposito dalla parte resistente nell’ambito dei rapporti di diritto tributario, in quanto -a prescindere dal rilievo che, nel caso di specie, la sequenza indicata neppure si sarebbe perfezionata, in difetto di formale diffida ad adempiere, avendo la società fatto seguire, alla presentazione della istanza di rimborso, un atto di revoca della
istanza- il predetto schema giuridico della inerzia qualificata della PA, con il conseguente onere di tempestiva impugnazione del silenzio-rifiuto, non trova comunque applicazione (neppure nei rapporti di diritto amministrativo) nelle ipotesi in cui la pretesa dell’interessato assume la consistenza del diritto soggettivo perfetto (non subordinata quindi all’adozione di un “provvedimento di carattere costitutivo” dell’Amministrazione pubblica): in tali casi, infatti, per far valere 1’ “inadempimento” della PA non occorre ricorrere all’attivazione della procedura del silenzio-rifiuto, in quanto l’esercizio del diritto soggettivo è assoggettato esclusivamente all’ordinario termine di prescrizione (cfr. Cons. St. V sez. 14.7.1997 n. 820; id. VI sez. 13.5.2003 n. 2534; id. 7.5.2003 n. 2412).
Tale soluzione trova piena conferma nel disposto dell’art. 21 comma 2 Dlgs n. 546/1992 secondo cui, in caso di “rifiuto tacito della restituzione” del tributo, il contribuente può promuovere con ricorso avanti il giudice tributario l’azione per conseguire la somma dovuta a rimborso dopo il “novantesimo giorno dalla domanda di restituzione e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto” (con riguardo al credito di rimborso IVA il termine di prescrizione è quello ordinario ed inizia a decorrere dal momento in cui è divenuto incontestabile il credito iscritto nella “dichiarazione annuale” in seguito alla mancata notifica di avviso di accertamento in rettifica nel termine di decadenza: cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 7180 del 25/3/2009 ; id. Sez, 5, Sentenza n. 25717 del 9/12/2009; id. Sez, 5, Sentenza n. 2589 del 4/2/2010; id. Sez- 5, Sentenza n, 26272 del 29/12/2010).
La disposizione processuale richiamata (comma 2), concernente il rifiuto tacito”, si pone quindi in rapporto di species ad genus rispetto a quella (comma 1) invocata -erroneamente- dalla parte resistente, che disciplina invece il termine di decadenza per la proposizione del ricorso tributario avverso il provvedimento di rifiuto “espresso” (con la conseguenza che il termine, infatti, viene a decorrere “dalla data di notificazione dell’atto impugnato”).
Nel caso sottoposto all’esame della Corte, risulta che il provvedimento espresso -di contestazione del diritto al rimborso e di diniego della revoca della istanza di rimborso- è intervenuto quando il termine di decadenza per l’accertamento fiscale sulla “dichiarazione annuale” IVA relativa all’anno 2004 non era ancora decorso, e dunque non poteva ritenersi consumato il potere di accertamento tributario della PA (né, come si è visto, poteva ritenersi definitivamente consolidato il diritto al rimborso infrannuale della società contribuente).
Ne consegue che, alla data di notifica del provvedimento espresso di diniego, la società contribuente bene poteva agire a tutela del credito di rimborso in ordine al quale non era ancora maturata la prescrizione (il cui termine iniziale va individuato ai sensi dell’art. 21 comma 2 Dlgs n. 546/1992 dalla scadenza del novantesimo giorno di protrazione della inerzia della PA sulla istanza di rimborso), non essendo incorsa, pertanto, in alcuna decadenza la società contribuente, che ha impugnato -correttamente nel termine di decadenza di cui al primo comma dell’art. 21 Dlgs n.546/1992- il provvedimento di “rifiuto espresso” (art. 19 co 1 lett, g) Dlgs n. 546/92) del rimborso e di diniego della revoca della istanza di rimborso emesso dalla Amministrazione finanziaria e notificato in data 18.7.2005.
3.3.5 Residua quindi l’esame della questione di diritto sollevata dalla società ricorrente in ordine alla ammissibilità nell’attuale ordinamento tributario dell’esercizio del jus poenitendr da parte del contribuente il quale, dopo aver richiesto il rimborso infrannuale del credito IVA (relativo al primo trimestre 2004) ha poi ritenuto conveniente richiedere la revoca di tale istanza al fine di utilizzare il predetto credito di imposta in detrazione – nella successiva liquidazione periodica-, ovvero in compensazione ai sensi del Dlgs n. 241/997.
La società ricorrente assume in particolare che, in conseguenza della inutile scadenza del termine per la esecuzione del rimborso, previsto dal DM 23.7.1975, il contribuente sarebbe legittimato a richiedere la revoca della istanza di rimborso -modificabile in quanto mera manifestazione di scienza- nonché ad avvalersi del relativo credito d’imposta, sia portandolo in detrazione nelle successive liquidazioni periodiche, sia utilizzandolo in compensazione (cfr. quesiti di diritto formulati in calce al primo e secondo motivo).
3.3.6 Al quesito come sopra formulato va data risposta negativa alla stregua del “principio di alternatività” delle scelte rimesse al contribuente in ordine all’utilizzo del credito d’imposta.
3.3.7 La facoltà di revoca della scelta operata (nella specie richiesta di rimborso), non risulta espressamente disciplinata ex lege (artt. 30 e 38 bis Dpr n. 633/1972), trattandosi di aspetto attinente alle modalità esecutive delle forme di impiego del credito d’imposta (nella specie alla esecuzione dei rimborsi infrannuali) che le norme di legge demandano alla disciplina regolamentare od amministrativa, dovendo verificarsi pertanto se – eventualmente- detta facoltà riceva riconoscimento e regolamentazione nelle fonti normative secondarie o nelle cd. “norme interne” -adottate con atti amministrativi di natura organizzativa- volte a conformare le attività procedimentali degli Uffici finanziari.
Procedendo ad una rapida rassegna dei provvedimenti normativi e degli atti amministrativi generali succedutisi nel tempo -fino alla data del provvedimento di diniego impugnato nel presente giudizio- si deve rilevare quanto segue:
l’art. 1 del DM Finanze del 23.7.1975 (recante modalità per la esecuzione delle disposizioni dell’art.38 bis co 5 del Dpr n. 633/72) si limita a stabilire i noti termini per la presentazione della istanza e per la esecuzione del rimborso accelerato, disponendo che l’importo chiesto a rimborso non deve essere riportato nelle successive liquidazioni periodiche e va computato in sede di dichiarazione annuale
– la circolare del Ministero Finanze 4.2.1988 n. 11, prendendo atto del grave ritardo con il quale venivano liquidati dagli Uffici i rimborsi accelerati, ha ammesso in via del tutto eccezionale la facoltà di revoca, qualora la PA non avesse rispettato il termine previsto per la esecuzione del rimborso accelerato e questo non fosse intervenuto nell’anno della richiesta (è significativo al riguardo che la circolare in questione si premurava di specificare che l’eccezionale riconoscimento della facoltà di revoca era volto soltanto ad introdurre un temperamento al “principio di irretrattabilità della scelta” compiuta dal contribuente -tra la detrazione della eccedenza e la richiesta di rimborso accelerato- stabilito dalla precedente circolare 17.5.1974 n. 19 i cui criteri dovevano in linea generale pertanto essere confermati)
la circolare 14.1.1993 n. 4/1993, con scopi deflattivi ed acceleratori, disponeva la facoltà di revoca delle istanze di rimborso relative a precedenti anni di imposta non ancora rimborsate dagli Uffici e la detraibilità dei relativi crediti (imponendo peraltro ai creditori determinati adempimenti formali )
– la circolare 9.2.1994 n. 9/1994 -integralmente sostitutiva della precedente- disponeva che a seguito della introduzione del nuovo sistema dei rimborsi mediante il “conto fiscale”, doveva ritenersi definitivamente preclusa a far data dal mese di aprile (per i contribuenti mensili) e dal secondo trimestre 1994 (per i contribuenti trimestrali) ogni facoltà di revoca delle istanze di rimborso non liquidate dagli Uffici come previsto dalla precedente circolare n. 4/1993
– con l’art. 3 comma 137 lett. c) della legge n. 662/1996 cui veniva data attuazione con regolamento approvato con Dpr 10.11.1997 n. 443 ed ulteriore specificazione con circolare del Ministero delle Finanze del 28.5.1998 n. 134/E, è stata dettata la disciplina delle ipotesi in cui il provvedimento di diniego del rimborso del credito IVA “per difetto dei presupposti” stabiliti dall’art. 30 del Dpr n. 633/72 contenesse, contestualmente, la “indicazione del credito spettante in tal caso il credito non rimborsabile poteva essere portato in detrazione in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale successivamente alla notificazione dell’atto di diniego ovvero della sentenza divenuta definitiva, nel caso in cui il diniego fosse stato impugnato in sede giurisdizionale
– né l’art. 1 del Dpr 23.3.1998 n. 100 (norma regolamentare che disciplina la liquidazione periodica “mensile” in alternativa alla istanza di rimborso accelerato), né l’art. 8 del Dpr 14.10.1999 n. 542 (norma regolamentare che modifica i termini di presentazione della istanza di rimborso accelerato , disponendo l’alternatività -comma 3- tra detta istanza di rimborso e l’utilizzo del credito d’imposta in compensazione ai sensi del Dlgs n. 241/1997), entrambi nel testo modificato dall’art. 11 del Dpr 7.12.2001 n. 435, recano disposizioni volte a consentire e regolare l’esercizio della facoltà di revoca della scelta compiuta dal contribuente la circolare dell’Agenzia delle Entrate 31.7.2002 n. 61/E si limita a disciplinare le modalità dei controlli rimessi agli Uffici sulle istanze di rimborso.
3.3.8 Tanto premesso va confermata la consolidata giurisprudenza della Corte in ordine al “principio di alternatività” delle scelte compiute dal contribuente in ordine al rimborso od alla detrazione della eccedenza d’imposta (cfr. Corte cass. Sez., 1, Sentenza n. 6932 del 25/07/1994), dovendo ribadirsi il principio di diritto secondo cui “in tema di IVA, la facoltà del contribuente di portare in detrazione il credito d’imposta può essere esercitata soltanto nell’anno successivo alla maturazione di detto credito, mediante annotazione nel registro di cui all’art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, derivando tale preclusione dagli articoli 32, comma 2°, e 55, comma 1°, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Ne consegue che, una volta maturata tale preclusione, il contribuente può soltanto domandare il rimborso della maggior imposta pagata, nei limiti e con le forme prescritte per la relativa istanza” (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 16257 del 23/07/2007).
Acconsentire all’illimitato esercizio della facoltà di revoca della scelta compiuta dal contribuente, anche oltre il periodo di imposta in cui l’opzione deve essere effettuata, si pone in contrasto con il principio dell’alternatività tra la richiesta di rimborso e la detrazione del credito dalla dichiarazione annuale, nonché con l’obbligo, previsto dal cit. D.P.R. n. 633, art. 30, comma 2, di portare l’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, al fine di rendere conoscibile e controllabile da parte dell’ufficio la complessiva posizione del contribuente nell’arco del biennio di riferimento (cfr. Corte cass. Sez- 5, Sentenza n. 4246 del 23/02/2007; id. V sez. 12.2.2009 n. 3417; id. V sez. 26.2.2010 n. 4743), fermo restando che, in ogni caso, l’esaurimento della facoltà di opzione non può mai determinare, ex se, anche la perdita del diritto di credito, potendo sempre agire il contribuente per la ripetizione dell’indebito (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13949 del 24/06/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 268 del 12/01/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 8716 del 10/04/2013).
Il sistema fiscale è, infatti, regolato da tassativi adempimenti di tipo formale e sostanziale che rispondono alla esigenza di consentire ed agevolare le verifiche e gli accertamenti del Fisco e di garantire il controllo dei flussi delle entrate fiscali fatto salvo il principio fondamentale comunitario della neutralità della IVA che garantisce al soggetto passivo di portare in detrazione dall’ÌVA assolta sulle operazioni attive quella corrisposta in rivalsa sulle operazioni passive, e fatto salvo il principio per cui eventuali errori di fatto o diritto, non possono risolversi nel far gravare sul contribuente un onere fiscale maggiore di quello a cui legittimamente è tenuto a sopportare, le predette esigenze pubblicistiche verrebbero ad essere compromesse ove i contribuenti fossero liberamente facoltizzati a reiterate modifiche -per ragioni di convenienza od opportunità – delle scelte cui la legge li autorizza in funzione della rapida definizione e certezza dei rapporti giuridici tributari.
Pertanto il sistema previsto dalla legge IVA, in caso di eccedenza d’imposta, fondato sul criterio di alternatività delle forme di utilizzazione del credito d’imposta, da portare in detrazione (nelle dichiarazioni periodiche od annuali) ovvero chiedendone il rimborso nei termini prescritti a pena di decadenza (ritenuti compatibili dalla Corte di giustizia), od ancora utilizzando il credito in compensazione ai sensi del Dlgs n. 241/12997, da un lato non pregiudica il diritto del contribuente e dall’altro soddisfa alle esigenze dell’Erario.
A tale conclusione non vale opporre il principio -tratto dai precedenti giurisprudenziali di questa Corte- della emendabilità degli errori formali e sostanziali commessi dal contribuente nella esposizione dei dati indicati nella dichiarazione fiscale.
Premesso che nel caso di specie non si tratta di correggere un errore ma di modificare una precedente opzione liberamente esercitata, come è stato precisato da questa Corte, il principio di correzione degli errori materiali e di diritto in cui è incorso il contribuente fonda il suo indefettibile presupposto nella natura di dichiarazione di mera scienza -e non di volontà diretta alla produzione di effetti giuridici- che viene riconosciuta alla dichiarazione fiscale.
Nella specie, al contrario, l’esercizio della facoltà di opzione si traduce nella scelta della modalità di attuazione del credito d’imposta che è rimessa esclusivamente a valutazioni di convenienza economica e fiscale del soggetto – contribuente, dovendo in conseguenza distinguersi nettamente tra la emendabilità degli errori (formale o sostanziale) concernenti la inesatta rilevazione o qualificazione del dato esposto in dichiarazione, dall’ errore vizio che attiene invece a manifestazioni di volontà negoziale ed in ordine al quale viene in questione la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. cod. civ., estesa dall’art. 1324 cod. civ. agli atti unilaterali in quanto compatibile, essendo in tal caso onerato il contribuente, che intende far valere la invalida formazione e manifestazione del proprio volere, della prova dei requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità dell’errore che inficia l’atto negoziale di opzione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 7294 del 11/05/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 1427 del 22/01/2013), prova che nella specie non è stata neppure indicata dalla società contribuente.
4. In conclusione, previa correzione della motivazione della sentenza di appello in punto di ammissibilità del ricorso proposto avverso il provvedimenti di diniego della revoca della istanza di rimborso infrannuale, il ricorso per cassazione deve essere rigettato con compensazione delle spese del presente giudizio, essendosi venuto a formare l’orientamento giurisprudenziale della Corte in ordine al principio di irrettrattabilità dell’opzione esercitata dal contribuente nelle more del processo.
P.Q.M.
– rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
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