CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24920
Tributi – IVA – Imposta fatturata – Compravendita non andata a buon fine – Detraibilità e rimborso – Sussiste
Svolgimento del processo
In relazione al contratto di compravendita della testata giornalistica “Paese Sera” stipulato in data 28.12.1993 tra F. s.r.l. cedente e P. s.r.l. acquirente, quest’ultima procedeva alla cessione del contratto in favore di P.I. s.r.l. nei cui confronti la società cedente provvedeva ad emettere fattura n. 3/1994 per il prezzo pattuito.
Con la “dichiarazione annuale” IVA 1994, P.I. s.r.l. richiedeva il rimborso dell’imposta liquidata nella predetta fattura, ai sensi dell’art. 30 co 3 lett. c) del Dpr n.633/72 (in quanto la compravendita aveva ad oggetto un bene riconducibile tra le immobilizzazioni immateriali e quindi ammortizzabile).
In data 9.4.1997 a seguito di verifica fiscale veniva redatto PVC dall’Ufficio provinciale IVA di Roma con il quale si contestava la fittizietà della cessione della testata giornalistica, non essendo stato pagato il residuo importo della somma pattuita ed indicata nella fattura utilizzata per il rimborso.
Con atto in data 16.12.1998, non essendo stato ancora disposto il rimborso, P.I. s.r.l. cedeva il credito di rimborso IVA ad Editoriale Progetto s.p.a., società poi fusa per incorporazione in A. s.p.a. che agiva avanti la CTP di Roma per l’accertamento del credito d’imposta.
Entrambi i gradi del giudizio di merito si risolvevano sfavorevolmente per la società creditrice. Con sentenza 6.12.2006 n. 134 la Commissione tributaria della regione Lazio confermava la pronuncia di primo grado, ritenendo che i termini indicati nel contratto per la esecuzione dei pagamenti del corrispettivo dovevano considerarsi “essenziali” e che la parte acquirente non era stata in grado di provare di aver tempestivamente adempiuto alla obbligazione. Inoltre A. s.p.a. non aveva fornito alcun elemento probatorio “in ordine al perfezionamento del negozio di trasferimento della testata”, non risultando prestata la garanzia fideiussoria, né l’approvazione da parte della assemblea soci di F. s.r.l. della cessione del contratto (effettuata da P.E. a favore di P.I.), né la prestazione della garanzia “pro-quota” da parte dei soci della cessionaria, né l’intervenuto pagamento dell’intero prezzo fatturato, con la conseguenza che la mera liquidazione dell’IVA nella fattura non integrava i presupposti richiesti per la richiesta di rimborso.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Agenzia Stampa Quotidiano Nazionale s.p.a. deducendo tre motivi. Ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
Il pagamento del corrispettivo doveva essere eseguito nei termini previsti “ai fini della validità” del contratto, da ritenersi essenziali ex art. 1457 c.c., e non era stata fornita alcuna prova che la società acquirente della testata giornalistica avesse adempiuto a tale obbligazione né che avesse adempiuto ad alcuno degli altri obblighi contrattuali
la società appellante non aveva fornito elementi probatori idonei a dimostrare il “perfezionamento del negozio di trasferimento della testata giornalisitica”, non essendo stato provato: 1 – l’adempimento della prestazione della garanzia (fidejussione bancaria od assicurativa) prevista dall’art. 4 del contratto; 2 – l’approvazione della cessione del contratto a P.I. s.r.l. da parte dell’assemblea dei soci F.; 3 – il rilascio della garanzia fidejussoria pro quota da parte dei soci di P.I. s.r.l.; 4 – il pagamento dell’intero prezzo pattuito la emissione di regolare fattura non era sufficiente a fondare il diritto al rimborso del credito IVA in mancanza di prova ”’dell’asserito perfezionamento della trasferimento della testata giornalistica”.
Occorre premettere che la soluzione della presenta controversia sconta l’ evidente approssimazione nell’impiego da parte dei Giudici territoriali di talune nozioni giuridiche, venendo affermato in sentenza che il contratto di compravendita non si sarebbe “perfezionato”, o ancora che difetterebbe la “validità” del contratto (nozioni che implicano difetti inerenti la fase genetica e gli elementi costitutivi dello schema contrattuale e che rimandano a vizi quali la nullità e l’annullabilità del negozio), venendo, poi, ad essere ricollegati tali fenomeni -seguendo lo sviluppo argomentativo della sentenza – alla omessa prova, da parte della società contribuente, dell’effettivo adempimento di obblighi scaturenti dal contratto, e dunque non più a vizi genetici ma a vizi propriamente funzionali, attinenti alla fase esecutiva del rapporto obbligatorio, e che, per inderogabile necessità logica, presupporrebbero, al contrario, un negozio validamente perfezionato ed efficace.
La evidenziata imprecisione dei Giudici di merito trova origine, verosimilmente, nella stessa terminologia utilizzata nel PVC redatto il 9.4.1997 per esplicare i presupposti di fatto e le ragioni di diritto addotti a sostegno del diniego che, a quanto è dato desumere dallo scarno riassunto di tale atto riportato nella sentenza impugnata e dai riferimenti ad esso contenuti nella esposizione delle tesi difensive a confutazione dei relativi argomenti giustificativi della ripresa fiscale (tesi difensive formulate, peraltro, in via meramente ipotetica dalla società che si profonde in tentativi diretti ad una astratta ricostruzione, meramente congetturale, delle ragioni poste a fondamento dei rilievi formulati nel PVC e fatte proprie dai Giudici di merito), sembrerebbero spaziare tra la “simulazione assoluta” del contratto (operazione oggettivamente inesistente, desunta – sembra, anche e non solo – dalla mancata iscrizione della testata del periodico nel Registro della Stampa ex art. 5 legge n. 47 del 1948), l’ “inadempimento delle obbligazioni contrattuali (e specificamente di quella concernente il mancato pagamento del residuo prezzo), e la “risoluzione automatica” del contratto (prevista dall’art. 4 dell’accordo negoziale in caso di omessa prestazione della garanzia prevista).
La società ricorrente, accanto a tali ipotesi ricostruttive delle ragioni dell’avviso di accertamento, indica – peraltro al solo fine di procedere alla loro confutazione – anche ulteriori eventuali ragioni che, probabilmente, avrebbero potuto determinare il diniego di rimborso, congetturando che l’Ufficio finanziario avesse – forse – inteso contestare anche la “inefficacia del contratto” per mancato avveramento della condizione – sospensiva – della prestazione della garanzia (condizione rimessa interamente alla condotta della parte acquirente), ovvero avesse inteso contestare il “mancato perfezionamento” del contratto, per omesso pagamento dell’ultima rata, riconducendo il negozio allo schema della vendita con riserva della proprietà ex art. 1523 c.c..
In tale congerie di astratte ipotesi ricostruttive, prospettate dalla società ricorrente con riferimento alle ragioni poste dai verbalizzanti a fondamento del diniego di rimborso, ed alle quali la CTR si richiamerebbe per fondare la propria decisione – affermazione che alla Corte non è dato, tuttavia, verificare in difetto di trascrizione del contenuto del PVC, attesi i limiti all’accesso diretto agli atti e documenti del giudizio di merito – occorre procedere all’esame dei motivi di ricorso avendo quale unico ed indefettibile riferimento le “rationes decidendo della sentenza di appello, riportate al precedente paragrafo 1 della presente motivazione, dovendo fin d’ora evidenziarsi una diversa portata semantica delle locuzioni “perfezionamento del negozio” e “perfezionamento del trasferimento” utilizzate nella sentenza di appello, dovendo ritenersi che la CTR abbia inteso fondare la decisione, sia argomentando sul piano – propriamente del diritto civile – relativo alla ermeneutica contrattuale (che viene attinto dalle critiche mosse dalla società con il primo e secondo motivo), sia sul piano – prettamente del diritto tributario – relativo ai presupposti normativi del diritto al rimborso del credito d’imposta (che viene attinto dalla critica mossa dalla ricorrente con il terzo motivo): in relazione a tale duplice contenuto decisiorio la sentenza di appello deve, pertanto essere sottoposta al sindacato di legittimità in relazione alle specifiche censure rivolte dalla società ricorrente.
Con il primo motivo la società censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 1456 bis 1453 c.c., dell’art. 1353 c.c., nonché dei criteri ermeneutici degli atti negoziali, sostenendo che la CTR ha erroneamente qualificato come “condizione sospensiva”, anziché come clausola risolutiva espressa, la disposizione contrattuale secondo cui il contratto “si intenderà risoluto di diritto” nel caso di mancato rilascio della prescritta garanzia da parte della ditta cessionaria (lett. a), nonché per aver ritenuto il Giudice di merito che la “risoluzione di diritto del contratto” operava in via automatica senza richiesta della parte interessata (lett, b), cd ancora la parte ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1470 e 1523 c.c., avendo la CTR ritenuto che il mancato pagamento del prezzo impedisse l’effetto traslativo della proprietà sul bene (testata giornalistica) anche in assenza di patto di riserva di proprietà (lett. c).
Con il secondo motivo la società ricorrente censura l’errore in cui sarebbe incorsa la CTR nella interpretazione del contenuto del contratto in data 28.12.1993 e del successivo atto aggiunto stipulato in data 27.1.1994 tra F. s.r.l. e P.E. s.r.l. (atto aggiuntivo cui aveva fatto seguito il negozio di cessione del contratto di compravendita stipulato in data 28.1.1994 tra P.E. s.r.l. e P.I. s.r.l. e che determinava il subentro di quest’ultima società nel contratto 28.12.1993 con F. s.r.l.) avente ad oggetto: l’assenso della parte venditrice F. s.r.l. alla cessione del contratto di compravendita in favore di P.I. s.r.l.; 2-la modifica dell’art. 4 del contratto di compravendita in data 28.12.1993 (nel quale subentrava P.I. s.r.l.), con la quale veniva sostituita all’originaria garanzia (polizza fidejussoria) la prestazione di fidejussioni pro quota rilasciate dai soci di P.I. s.r.l..
Le critiche formulate dalla ricorrente involgono la statuizione contenuta in sentenza secondo cui “la società non ha prodotto idonei elementi probatori in ordine al perfezionamento del negozio di trasferimento della testata giornalistica”, nonché la correlazione logica istituita nella sentenza impugnata tra l’indicata proposizione ed il precedente argomento motivazionale secondo cui “ai fini della validità del contratto di compravendita” doveva condividersi il convincimento del primo giudice in ordine al carattere “essenziale” dei termini entro cui dovevano essere effettuati i pagamenti.
In relazione al difetto della “valida” conclusione di un atto negoziale produttivo dell’effetto traslativo della proprietà, le plurime censure mosse dalla parte ricorrente debbono ritenersi fondate, ad eccezione della cesura formulata sub lett b) del primo motivo, che deve invece essere dichiarata inammissibile, venendo con essa introdotta una questione inconferente rispetto al “decisum” (modalità di operatività della clausola risolutiva espressa ai sensi dell’art. 1456 c.c.), in quanto neppure indirettamente esaminata o presa in considerazione dal Giudice territoriale.
Osserva il Collegio che:
– palesemente errata in diritto è l’affermazione dei Giudici di merito secondo cui il negozio di compravendita non si sarebbe perfezionato o dovrebbe comunque considerarsi affetto da insanabili vizi validità (dunque da vizio di nullità) in dipendenza di eventi connessi alla attuazione del rapporto obbligatorio (scadenza dei termini essenziali; inadempimento delle obbligazioni), nonché è del pari errata in diritto la affermazione secondo cui l’effetto traslativo del diritto di proprietà della testata giornalistica non si sarebbe prodotto in conseguenza di eventi integranti inadempimento contrattuale (mancato rilascio della garanzia bancaria od assicurativa prevista dall’art. 4 contratto; assenza di approvazione della cessione del contratto da parte dell’assemblea F. s.r.l.; mancato rilascio della fidejussione pro quota da parte dei soci di P.I. s.r.l.; omesso pagamento del residuo prezzo). Quanto alla inosservanza dei termini “essenziali”, individuati dalla CTR esclusivamente con riferimento ai pagamenti (del residuo prezzo) – premesso che è infondata la eccezione della Agenzia fiscale secondo cui la ricorrente non avrebbe specificamente impugnato detta statuizione, atteso che dalla esposizione del motivo, integrata con la contestazione di alcuni passaggi motivazionali del PVC in data 9.4.1997, di cui a pag. Il ricorso, risulta chiaramente che la società ha inteso criticare proprio il collegamento istituito dalla CTR tra omessa prova del pagamento nei termini previsti e mancato perfezionamento del contratto, la CTR laziale, qualora avesse inteso applicare l’art. 1457 c.c. (ma sul punto difetta qualsiasi motivazione), ha poi comunque omesso di trarre espressamente le dovute conclusioni, atteso che l’effetto giuridico della inutile scadenza del termine da ritenersi essenziale nell’interesse della parte alienante, è dato dalla risoluzione “ope iuris” per inadempimento del contratto ex art. 1457 c.c., e non anche dalla invalidità o dal mancato perfezionamento del contratto, dovendo ulteriormente osservarsi che tale vicenda tuttavia non inciderebbe “ex se” sul diritto al rimborso dell’IVA fatturata, come è dato evincere dal combinato disposto degli artt. 26 e 21 co 7 Dpr n. 633/1972: la omessa variazione in diminuzione dell’importo del prezzo fatturato o la mancata neutralizzazione della fattura obbliga, comunque, il soggetto passivo al pagamento della imposta liquidata, consentendo corrispondentemente al cessionario/committente di portare in detrazione o di chiedere il rimborso dell’IVA (con l’unica eccezione data dalla inesistenza oggettiva o soggettiva della operazione imponibile: cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12353 del 10/06/2005; id. V sez. Sez. 5, Sentenza n. 22882 del 25/10/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 2823 del 07/02/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 24231 del 18/11/2011). In proposito è stato specificato da questa Corte che la mera regolarità formale dei documenti contabili non è, tuttavia, sufficiente a fondare il diritto alla detrazione od al rimborso della imposta fatturata, che richiede pur sempre che alla rappresentazione documentale corrisponda la esistenza di una reale operazione economica anche se eventualmente parzialmente divergente da quella rappresentata in fattura (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21949 del 27/10/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 20445 del 06/10/2011), con la conseguenza che, se eventi quali il mancato adempimento della prestazione dedotta in contratto o la risoluzione per inadempimento dello stesso non consentono di qualificare l’operazione come inesistente a fini fiscali e dunque di escludere per ciò stesso il diritto alla detrazione/rimborso dell’imposta assolta con la fattura, tale diritto può invece essere efficacemente contestato laddove attraverso l’esame della volontà negoziale delle parti ed in relazione agli elementi fattuali inerenti la fase della stipula e della esecuzione dell’accordo, emerga la natura elusiva della operazione (simulazione assoluta) o l’intento fraudolento delle parti in quanto diretto a dissimulare una operazione soggettivamente od oggettivamente inesistente (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12192 del 15/05/2008) quanto al ritenuto “mancato perfezionamento” del contratto, o ancora alla ritenuta mancata produzione degli effetti traslativi della proprietà, per l’inadempimento della obbligazione principale (omesso pagamento del residuo prezzo alle scadenze indicate in contratto) o di altre obbligazioni derivanti dal contratto, è sufficiente rilevare che, in tanto può realizzarsi una violazione dell’impegno assunto dalle parti, in quanto questo trovi titolo in un vincolo giuridico validamente costituito e perfezionato. L’eventuale inadempimento (o nella specie, la mancata prova dell’adempimento) delle altre obbligazioni contrattuali può certamente legittimare la parte alienante a richiedere ed agire per la risoluzione o per l’adempimento del contratto ex art. 1453 c.c.: tuttavia finché la parte interessata non eserciti gli eventuali poteri di autotutela ad essa riservati dal contratto ovvero non intraprenda l’azione giudiziaria volta alla risoluzione del contratto (cfr. Corte cass. II sez. 11.7.2003 n. 10935; id. I sez. 1.8.2007 n. 16993, in relazione alla non rilevabilità ex officio della risoluzione del contratto per inadempimento, in mancanza di attivazione della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. in esso prevista), il rapporto obbligatorio deve considerarsi attualmente pendente (in quanto fondato su negozio perfetto ed efficace), non avendo l’inadempimento alcuna incidenza ostativa o risolutiva degli effetti giuridici già prodotti in virtù del consenso (se trattasi infatti di “contratto ad effetti reali ex art. 1376 c.c., come nel caso di specie, in assenza delle predette iniziative rimesse alla parte alienante, rimane fermo il trasferimento del diritto alla parte acquirente, anche se questa sì è resa totalmente inadempiente al pagamento del prezzo). Con la conseguenza che anche nel caso di inadempimento delle obbligazioni permane intatto il presupposto impositivo di cui agli artt. 2 e 3 Dpr n. 633/1972 cui è connesso l’obbligo di versamento della imposta liquidata in fattura e, corrispondentemente, l’esercizio dei diritti previsti dagli artt. 19 e 30 Dpr n. 633/1972 inficiata da errore di diritto è la statuizione della CTR che, esprimendo adesione al convincimento del Giudice di primo grado sulla rilevanza degli inadempimenti dell’acquirente, avrebbe inteso (peraltro in modo assolutamente criptico, nulla trasparendo dalla motivazione della sentenza) richiamarsi alla soluzione giuridica adottata dal primo giudice secondo cui il mancato rilascio della garanzia a prima richiesta integrava l’evento cui era stata “risolutivamente condizionata” la efficacia del contratto (come è dato rilevare dal breve stralcio della motivazione della sentenza della CTP, trascritto a pag. 13 del ricorso), non essendosi quindi prodotto l’effetto traslativo della proprietà. Premesso che l’art. 4 del contratto di compravendita, in data 28.12.1993, richiedeva, a garanzia del pagamento del residuo prezzo, il rilascio di fidejussione bancaria od assicurativa, disponendo che “m difetto di consegna della fidejussione, il contratto di compravendita si intenderà risolto automaticamente” (cfr. pag. 6 e 23 ricorso, ove è riportata in stralcio la clausola), e che con successivo atto in data 27.1.1994 tale clausola veniva sostituita “dall’obbligo di costituzione di garanzia fidejussoria personale pro-quota dei soci della cessionario P.I.” (ricorso pag. 6), difetta del tutto nella specie una qualsiasi indagine ermeneutica – da parte della CTR – della disposizione negoziale in questione, condotta alla stregua dei criteri indicati dagli artt. 1362 ss c.c., volta a qualificare giuridicamente il patto negoziale come clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. (con l’ovvio corollario che, in mancanza di esercizio del relativo diritto potestativo da parte del cedente, il contratto non poteva ritenersi improduttivo di effetti) ovvero come condizione risolutiva (secondo la CTP di Roma) ovvero sospensiva (come sembrerebbe invece sia stato ritenuto dai verbalizzanti nel PVC su cui è fondato il diniego di rimborso: cfr. pag. 11 e 16-17 ricorso) della efficacia del contratto ex art. 1353 c.c., essendosi limitato il Giudice di merito ad affermare la equazione “mancata prova della prestazione della garanzia” = “mancato perfezionamento del negozio ” (e dell’effetto traslativo). In assenza di tale indispensabile attività interpretativa della comune volontà negoziale delle parti che, come è dato rilevare, ha avuto per oggetto nello specifico – diversamente da quanto vuol far credere la parte ricorrente – non la prestazione principale (pagamento del prezzo), ma l’adempimento della obbligazione accessoria di garanzia, la statuizione della sentenza di appello per cui il negozio di trasferimento non si sarebbe perfezionato in difetto di prova del rilascio della garanzia, si palesa del tutto apodittica in quanto priva del necessario referente normativo, tanto più in considerazione della esegesi sistematica che avrebbero richiesto le altre disposizioni contrattuali evidenziate dalla parte ricorrente (l’art. 2 denotava la comune intenzione di disporre con immediata efficacia l’effetto traslativo; l’art. 5 disponeva il contestuale subentro della cessionaria nel preesistente contratto di locazione avente ad oggetto il medesimo bene oggetto della compravendita), propedeutica alla sussunzione della fattispecie nello schema normativo ad essa ritenuto appropriato non è chiaro quale effetto giuridico (mancato perfezionamento della cessione di contratto; condizione sospensiva dell’assenso della parte contraente ceduta ex art. 1406 c.c.) i Giudici territoriali abbiano inteso far conseguire alla mancata prova della approvazione della assemblea dei soci F. s.r.l. della modifica della clausola di garanzia prevista nella lettera del 27.1.1994 con la quale P.E. s.r.l. aveva chiesto ed ottenuto l’assenso di F. alla cessione del contratto di compravendita in cui sarebbe subentrata quale cessionaria P.I. s.r.l.: se infatti si dovesse ipotizzare un mancato perfezionamento della “cessione del contratto” di compravendita, si dovrebbe allora ritenere che la fattura emessa da P.E. s.r.l. nei confronti di P.I. s.r.l. è rappresentativa di una operazione “oggettivamente” inesistente, con inevitabile ricaduta sul diritto al rimborso dell’imposta fatturata, da quest’ultima ceduto alla società attuale ricorrente.
Indipendentemente dalla considerazione che precede, anche in questo caso, tuttavia, è difettata completamente da parte dei Giudici di merito qualsiasi indagine ermeneutica del contenuto negoziale della predetta lettera 27.1.1994, trasmessa da P.E. e restituita da F. con assenso alla cessione del contratto ed anche al patto modificativo della garanzia (venendo sostituita la polizza fidejussoria o bancaria a prima richiesta, con le polizze fidejussorie rilasciate “pro quota” dai singoli soci di P.I.) con la specificazione inerente alla garanzia che “quest’ultima modifica sarà sottoposta all ’esame ed all ’approvazione dell ’assemblea dei soci di F.’ (cfr. ricorso pag. 28-29). La CTR laziale si è infatti limitata ad istituire una apodittica equiparazione tra omessa approvazione dell’assemblea F. e mancato perfezionamento od inefficacia del contratto di compravendita, non tenendo affatto conto, da un lato, alla valida espressione del consenso previsto dall’art. 1406 c.c. per la sostituzione della parte cessionaria (che deve essere tenuto distinto dalla manifestazione di consenso -contestualmente espressa nella lettera – in al patto modificativo concernente la garanzia), e dall’altro della irrilevanza -tanto sul momento perfezionativo del negozio, quanto sul trasferimento del diritto di proprietà della testata giornalistica- della mancata approvazione da parte dell’assemblea F. del patto modificativo della clausola del contratto di compravendita, atteso che la disposizione dell’art. 2384 comma 1 e 2 c.c. nel testo vigente “ratione temporis” – applicabile alle società a responsabilità limitata in virtù del rinvio operato dall’art. 2487 co 2 c.c., volto a tutelare la buona fede dei terzi nella validità degli atti compiuti dagli organi della società con la quale vengono in relazione, rimette pur sempre alla parte interessata – idest alla società – l’iniziativa volta ad eccepire la estraneità dell’atto all’oggetto sociale ovvero il superamento dei limiti imposti dallo statuto o dall’atto costitutivo al potere rappresentativo (subordinata alla prova che i terzi abbiano intenzionalmente agito in danno della società), con la conseguenza che in difetto della ridetta eccezione o comunque in mancanza di contestazioni in ordine alla cessione di contratto da parte del contraente ceduto F. s.r.l., ed anzi in presenza di un comportamento per “facta concludentia” del tutto opposto (avendo F. s.r.l. emesso la fattura nei confronti di P.I. s.r.l. subentrata nella compravendita in qualità di nuova cessionaria: come risulta dalla stessa sentenza impugnata), i Giudici di appello, che non avrebbero comunque potuto rilevare ex officio la eventuale violazione dei limiti statutari (tanto più in assenza di esame del contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto), sono incorsi nel vizio di “error juris” denunciato con il secondo motivo di ricorso.
Se, pertanto, la sentenza impugnata risulta inficiata dai vizi di legittimità indicati, in relazione alla soluzione delle questioni concernenti il perfezionamento, la validità e la efficacia del contratto di compravendita, motivazione, deve ritenersi “ex se” insufficiente a ritenere “oggettivamente inesistente” la operazione economica rappresentata in fattura, sicché al sentenza di appello incorre nella censura denunciata, d’altro canto non può condividersi neppure l’assunto difensivo secondo cui il diritto al rimborso dell’IVA ha natura meramente cartolare in quanto esercitabile in base al possesso di un titolo “astratto” (la fattura).
Se non è dubbio che le disposizioni degli artt. 19, 21 e 30 del Dpr n. 633/72 (che si adeguano alle norme comunitarie del sistema armonizzato dell’IVA di cui alla Sesta direttiva n. 77/388/CEE del 17.5.1977 e succ. mod., applicabile ratione temporis) impongono al soggetto passivo che intende conseguire la detrazione IVA od il rimborso d’imposta, di documentare il credito mediante la fattura in cui viene liquidata l’imposta, occorre altresì rilevare che, come più volte affermato dalla Corte di giustizia e da questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1950 del 30/01/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 735 del 19/01/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 12802 del 10/06/2011), il possesso della fattura, formalmente regolare, costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per conseguire il diritto alla detrazione/rimborso, non essendo dato prescindere dalla necessaria corrispondenza tra la rappresentazione documentale – espressa nella fattura- e la effettiva realtà del fenomeno economico sottostante, assunto come fatto generatore di imposta (cfr. Corte giustizia sentenza 3.12.1989 in causa C-342/87, Genius Holding BV, punti 15-19 che ha puntualizzato come “l’esercizio del diritto di detrazione non si estende all’imposta dovuta esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura”, confermata dalle sentenze della Corte di giustizia in data 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel, punto 53, in data 6 novembre 2003, cause riunite da C-78/02 a C-80/02, Karagcorgou e a, in data 15.3.2007 in causa C-30/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH). Ne consegue che il diritto di credito al rimborso va negato le volte in cui il soggetto passivo non abbia versato l’IVA cui era tenuto (operazioni attive) o non è stato chiamato a pagare in rivalsa (operazioni passive), ovvero in ogni caso in cui si contesti la inesistenza soggettiva od oggettiva della operazione sottostante la fattura emessa: tanto in applicazione del principio ribadito dal Giudice di Lussemburgo secondo cui gli operatori non possono avvalersi dei vantaggi o benefici previsti dall’ordinamento comunitario esercitando i diritti loro riservati in modo abusivo o fraudolento.
Da quanto sopra deriva la necessità che il Giudice del rinvio in applicazione dei principi di diritto richiamati verifichi se, alla stregua degli atti negoziali e dei documenti che risultino ritualmente acquisiti al giudizio, le vicende attinenti alla esecuzione del contratto di compravendita unitamente considerate alle modalità attuative della “cessione di contratto” denotino o meno un complesso indiziario dotato dei requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. dimostrativo della reale intenzione delle parti di non realizzare la operazione di compravendita (simulazione assoluta) e quindi una cessione di tale contratto oggettivamente inesistente, in tal caso soltanto potendo ritenersi legittimo il diniego al rimborso del credito d’imposta opposto dalla Agenzia fiscale resistente.
13. In conclusione il ricorso della società contribuente deve essere accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lazio che, attenendosi ai principi di diritti richiamati ai punti 8 lett. a) ed 11 della presente motivazione, dovrà procedere a nuovo esame, liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lazio che, attenendosi ai principi di diritti? richiamati ai punti 8 lett. a) ed 11 della presente motivazione, dovrà procedere a nuovo esame, liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.
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