CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24951
Tributi – Condoni – Definizione di una controversia tributaria – Presunto mafioso che ha scontato la misura di prevenzione – Accesso alla procedura di condono – Esclusione
Svolgimento del processo
P. A. propose, ai sensi dell’art. 53, 1° co., della l. n. 413 del 1991, istanza di definizione di una controversia tributaria afferente l’accertamento di maggior valore di un appezzamento di terreno posto in Palermo, loc. Partanna Mondello, per il quale egli aveva alienato il diritto di enfiteusi.
L’istanza fu dichiarata inaccoglibile dall’ufficio, in base all’art. 65 della l. n. 413 del 1991, per esser risultato il contribuente sottoposto a misura di prevenzione.
A. propose impugnazione eccependo che la misura di prevenzione era stata interamente scontata al tempo della proposizione dell’istanza, e prospettando, in subordine, l’incostituzionalità dell’art. 65 cit.
L’adita commissione tributaria provinciale di Palermo respinse il ricorso con sentenza confermata, in appello, dalla commissione tributaria regionale della Sicilia.
La commissione regionale ritenne di non esser tenuta ad acquisire, ex art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992, elementi di prova integrativi di oneri di parte, e osservò che l’appellante non aveva provveduto a dimostrare l’assunto inerente l’effettiva sua posizione rispetto al profilo ostativo di cui all’art. 65 della l. n. 413-91, con riferimento al momento di presentazione dell’istanza di condono. Reputò assorbite tutte le restanti censure.
A. ha impugnato per cassazione la sentenza d’appello, depositata il 15-12-2006 e non notificata, articolando tre censure e nuovamente prospettando, infine, l’incostituzionalità dell’art. 65 della l. cit.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita resistendo.
Motivi della decisione
I. – Col primo mezzo il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. e il vizio di motivazione della sentenza d’appello. Sostiene che spettava all’amministrazione l’onere di provare in giudizio l’inesistenza delle condizioni di accesso al provvedimento di condono, con specifico riferimento alla lett. c) della l. n. 413 del 1991.
Col secondo mezzo il ricorrente denunzia, in consecuzione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 6, 4° co., della l. n. 212-00, nonché il vizio di motivazione della sentenza, rilevando che all’amministrazione spettava di produrre in giudizio i documenti attestanti l’esistenza delle condizioni ostative di cui all’art. 65, lett. c) della l. n. 413 del 1991, trattandosi di fatti, stati e qualità del contribuente risultanti da documenti e informazioni già in possesso dell’amministrazione pubblica.
Col terzo mezzo, infine, il ricorrente denunzia, sempre ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 65 della l. n. 413 del 1991, con associato ancora una volta il vizio di motivazione della sentenza, sul rilievo che la norma evocata si applica esclusivamente ai contribuenti che si trovino sottoposti a misura di prevenzione al momento di presentazione dell’istanza di condono, e non a quelli che, invece, la detta misura abbiano già, al momento, interamente finito di scontare. Giustappunto in subordine a siffatta conclusione, il ricorrente prospetta, altrimenti, l’illegittimità costituzionale dell’art. 65 in relazione agli artt. 3 e 53 cost.
– I motivi pongono questioni tra loro intimamente connesse, sicché possono essere trattati congiuntamente. Riguardo al problema fondamentale, in essi agitato, non risultano precedenti nella giurisprudenza della corte.
motivi sono infondati.
– L’art. 65 della l. n. 413 del 1991 così dispone:
“1. Le disposizioni per la definizione agevolata delle pendenze e delle situazioni tributarie, di cui ai precedenti Capi del presente titolo non si applicano:
– ai condannati per i delitti di cui agli articoli 416-bis, 648-bis, 648-ter del codice penale o per taluni dei delitti richiamati nel citato articolo 648-bis;
– ai condannati, se ricorrono le circostanze previste dall’art. 7, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 203;
– alle persone indiziate di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso e sottoposte ad una misura di prevenzione ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni;
– alle società nelle cui attività economiche o finanziarie risultino, nella sentenza, impiegati denaro, beni o altre utilità provenienti dai reati indicati nel citato articolo 648-bis del codice penale.
Qualora la sentenza e il provvedimento di cui al comma 1, per fatti precedentemente commessi, divengano definitivi successivamente alla presentazione della dichiarazione integrativa o della istanza di definizione, queste rimangono prive di effetti e l’azione di accertamento può comunque essere esercitata entro il secondo anno successivo a quello in cui la sentenza e il provvedimento sono divenuti definitivi. Le somme versate, relativamente ai singoli tributi, non sono in ogni caso ripetibili.
Ai fini delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 copia della sentenza definitiva di condanna o del provvedimento definitivo è trasmessa a cura della cancelleria al locale ufficio delle imposte per l’inoltro all’ufficio competente, se diverso”.
– Nel caso di specie è pacifico, perché ammesso dal ricorrente, che egli soggettivamente rientrava nella categoria di cui alla lett. c), essendo persona “sottoposta ad una misura di prevenzione ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni”. Diversamente da quanto affermato nel primo e nel terzo motivo, la norma non contiene alcun riferimento idoneo ad avvalorare la tesi della necessaria persistenza della soggezione alla misura al momento di presentazione dell’istanza di condono fiscale.
In verità, la disposizione contempla uno status ostativo, al pari di quelli ulteriori in essa enumerati, alla fruizione del beneficio fiscale.
Quel che rileva, in vista della cessazione dell’effetto della avvenuta sottoposizione a misura di prevenzione, è unicamente la riabilitazione, la quale, tuttavia, va utilmente invocata nel giudizio di merito, e provata nella effettività della sua anteriore consecuzione, a cura dell’interessato, allo specifico fine di avvalorare, per tale unica via, il superamento della fattispecie ostativa da misura di prevenzione.
L’elemento decisivo, cioè, non era affatto integrato dall’avere, il sottoposto, scontato la misura al tempo della proposizione dell’istanza di definizione, quanto piuttosto dalla circostanza che egli fosse stato, anteriormente alla domanda suddetta, riabilitato ai sensi degli artt. 179 c.p. e 15, 2° co., della l. n. 327 del 1988 pro tempore vigente [oggi abrogata nell’ambito del riordino della materia di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione], atteso il principio per cui la riabilitazione comporta la cessazione degli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione. Di tutti gli effetti, quindi, ivi compresi quelli di ordine fiscale.
Su tale elemento l’onere della prova incombeva al contribuente.
– Manifestamente infondata devesi allora ritenere la questione di costituzionalità al riguardo dal ricorrente prospettata in subordine.
Il ricorrente evoca gli artt. 53 e 3 cost.
Ma va osservato che il condono è un beneficio finalizzato alla chiusura della lite sull’imposta; ed è solo con riguardo all’imposta, non alla disciplina di accesso al condono, che può rilevare il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 cost.
Nel contempo una qualsivoglia lesione dell’art. 3 cost. è logicamente inficiata dalla considerazione previa, posto che il disvalore associabile allo status di persona sottoposta a misura di prevenzione (come del resto quello di chi risulti condannato per uno dei gravi delitti pure enumerati dalla norma) giustifica razionalmente – fino alla riabilitazione – un diverso trattamento del soggetto a tutti gli effetti di legge, senza che il punto di vista dell’accesso ai benefici fiscali possa costituire eccezione.
La riabilitazione consegue difatti al positivo accertamento, da parte del giudice appositamente investito, non tanto della mancanza di ulteriori elementi negativi, bensì di prove effettive e costanti di buona condotta. Il che appunto implica una nuova valutazione della personalità sulla base di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell’interessato a un corretto modello di vita cui associare il venir meno del giudizio negativo prima rilevante.
– Dalle esposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso per cassazione.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
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