CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24975
Società – Società a responsabilità limitata – Delibere dell’assemblea – Aumento di capitale – Giudizio – Sospensione – Limiti
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 23.4.2005, P.D., socio della D. S.r.l., per il 5% del capitale sociale, impugnò due deliberazioni adottate dall’assemblea ordinaria della società e precisamente: a) quella del 23.3.2005, con la quale era stato approvato il bilancio al 31.12.04 (predisposto, a compimento del suo mandato, dall’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Napoli); b) quella del 15.4.2005 con la quale era stato nominato (all’esito dell’amministrazione giudiziaria) il nuovo organo amministrativo della società, con opzione per la forma dell’amministratore unico con carica a tempo indeterminato, nella persona del socio rag. P.D.M.. Riguardo alla prima delibera dedusse che essa non offriva una rappresentazione veritiera e chiara della situazione patrimoniale in relazione all’imputazione tra le poste del patrimonio netto di soli € 7.199,00 rimasti dall’originario finanziamento dei soci per £ 1.915.000.000; che a partire dal bilancio al 31.12.2000 era stato erroneamente appostato all’attivo della situazione patrimoniale, in modo da coprire illegittimamente le perdite con somme da restituire ai soci e quindi da imputare al passivo, tra i debiti verso i soci, tanto che i bilanci approvati da quel momento in poi, al pari di quelli relativi agli esercizi dal 1995 in poi erano stati già impugnati e le relative impugnazioni pendevano innanzi al Tribunale di Napoli; il bilancio, inoltre, avrebbe dovuto esporre anche le perdite della società controllata A.A. S.a.s., il che avrebbe completamente eroso il capitale sociale; la deliberazione, infine, era stata adottata con il voto determinante dei soci A. e M.P., che erano in conflitto d’interessi con la società, per conto del loro genitore V. P..
Riguardo alla seconda delibera dedusse che: a) la nomina del l’amministratore era invalida poiché la società a partire dal 1995 era in stato di scioglimento, a causa della perdita del capitale sociale occultata con l’imputazione all’attivo del finanziamento soci sopra ricordato e della mancata appostazione in bilancio delle perdite della società controllata, sicché sarebbe stato necessario nominare un liquidatore; b) essa era, in ogni caso, in contrasto con la pendenza dell’amministrazione giudiziaria ancora in corso; c) la deliberazione era stata adottata con una maggioranza inferiore a quella prescritta dall’art. 2479/bis, c. 3°, c.c. (almeno metà del capitale sociale), necessaria perché, disponendo il passaggio dall’amministrazione giudiziaria a quella ordinaria, implicava una rilevante modificazione dei diritti dei soci; d) infine essa era annullabile, perché assunta con il voto determinante dei soci A. e M.P., che erano in conflitto d’interessi con la società, per conto del loro genitore V. P., il quale era socio accomandatario della A.A. S.a.s., di cui la D. S.r.l. era socia accomandante con una partecipazione pari all’intero capitale (essendo il P. socio d’opera), che costituiva il suo unico cespite patrimoniale, con la conseguenza che compito essenziale, se non esclusivo, del suo amministratore era quello di esercitare i poteri di vigilanza e controllo che spettano al socio accomandante sull’operato dell’accomandatario; l’assemblea, in tale contesto, con il voto determinante dei figli di V. P., aveva nominato amministratore il rag. D.M. che era da sempre legato da rapporti professionali al P. e quindi non avrebbe esercitato con la dovuta correttezza il controllo sulla sua opera di accomandatario della A.A. S.a.s..
La società convenuta si costituì contraddicendo tutte le avverse argomentazioni e chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Napoli ,con sentenza n. 1163/2006, dispose la separazione della causa riguardante l’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio al 31.12.04 (da sospendere in attesa della definizione dei giudizi relativi all’impugnazione dei precedenti bilanci dal 1995 in poi) e respinse l’impugnazione della delibera di nomina del nuovo amministratore.
Riguardo a quest’ultima, osservò, in sintesi, che: a) non vi era incompatibilità con la pendenza del procedimento di amministrazione giudiziaria; b) per la nomina del nuovo amministratore non era richiesta la maggioranza di cui all’art. 2479/bis, c. 30 in riferimento all’art. 2479, n. 5, c.c.; c) alla stregua della disciplina di cui ai novellati artt. 2484 e segg. c.c., l’adozione dei provvedimenti occorrenti per la liquidazione di una società postulava che lo scioglimento fosse stato iscritto nel registro delle imprese ed in mancanza era necessario che i soci si fossero rivolti al Tribunale per l’accertamento del verificarsi della causa di scioglimento e solo dopo che il provvedimento fosse stato iscritto era possibile procedere alla nomina dei liquidatori, sicché, non essendo stato accertato ed iscritto lo stato di scioglimento della società, non sussistevano le condizioni perché l’assemblea nominasse un liquidatore; d) la deliberazione non era annullabile per conflitto d’interessi (benché fosse ravvisabile una rilevante comunanza di interessi tra A. e M.P. ed il padre, sul cui operato di socio accomandatario della A.A. S.a.s. l’amministratore doveva vigilare) poiché nel caso in esame non emergevano indizi sufficienti a far ritenere che la decisione impugnata perseguisse lo scopo pratico di anteporre l’interesse individuale del P. a quello della società; e) inoltre la particolare posizione del P. non poteva determinare una sorta di sterilizzazione del diritto di voto di tali soci riguardo alla nomina dell’amministratore; f) difettava infine anche il pericolo di danno per la società, poiché questa aveva a disposizione gli strumenti per ovviare ai rischi paventati dall’attore potendo intervenire direttamente l’assemblea, ai sensi del novellato art. 2479 c.c., per deliberare l’impugnazione dei rendiconti del socio accomandatario della S.a.s. partecipata e per valutare se agire per la sua revoca.
Contro tale sentenza il P. proponeva appello con atto notificato l’11.4.2006, con il quale chiedeva la sospensione del giudizio e, nel merito, l’accoglimento della domanda respinta in primo grado.
La società appellata si costituiva, chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 2600/07 rigettava l’appello.
Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il P. sulla base di due motivi cui resiste con controricorso, illustrato con memoria, la D. srl.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia disatteso il primo motivo di appello, avente ad oggetto la necessità di sospendere il presente giudizio in attesa della definizione di quelli relativi all’annullamento dei bilanci della D. dal 1995 al 2002, il cui esito avrebbe potuto determinare una causa di scioglimento della D. medesima per totale erosione del capitale sociale. Contesta a tale proposito, in particolare, la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che l’art. 218 disp. att. c.c. nella formulazione novellata dal d.lvo 6.2.2004 n. 37, con la eliminazione della parola “poste” debba interpretarsi nel senso della applicazione della precedente normativa riguardo agli effetti delle cause di scioglimento quando comunque determinatesi di fatto prima del 1.1.2004.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto, ma anche attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento alcuna ragion d’essere, e traducendosi anzi in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione. Ne consegue che, ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l’onere di dimostrare che quest’altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto, dovendosi ritenere, in difetto, che manchi la prova dell’interesse concreto ed attuale che deve sorreggere il ricorso, non potendo né la Corte di cassazione, né un eventuale giudice di rinvio disporre la sospensione del giudizio, in attesa della definizione di un’altra causa che non risulti più effettivamente in corso. (Cass 18026/12; Cass 16992/07).
Nel caso di specie nessuna prova è stata fornita sulla attuale pendenza del giudizio tra le parti volto a determinare la correttezza dei bilanci e l’eventuale perdita del capitale sociale fin dal 1995 onde il motivo va dichiarato inammissibile.
Si aggiunge ,ancorché superfluamente che il motivo sarebbe comunque infondato.
La costante giurisprudenza di questa Corte ha infatti affermato che l’annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 2378, terzo comma, cod. civ., (circostanza nella specie non dedotta) non incide sulla validità delle successive deliberazioni adottate, poiché l’omessa adozione del provvedimento di sospensione dell’esecuzione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali. (Cass 4946/13) Da ciò discende che il giudizio di impugnazione della deliberazione (nel caso di specie di approvazione di bilanci) non si trova in un rapporto di pregiudizialità tale da impedire al giudice di altra causa da essa dipendente di decidere la controversia. (Cass 10054/03).
Con il secondo motivo, per come rappresentato nel quesito, il ricorrente censura la sentenza impugnata, sotto il profilo della violazione di legge e della omessa o insufficiente motivazione, per non avere la Corte distrettuale considerato che la posizione del P. si poneva in piena incompatibilità con le funzioni esercitate poiché, questi quale socio accomandatario della A. sas, avrebbe amministrato di fatto l’intero patrimonio della D. srl socia accomandante della predetta A.. A tale proposito il quesito poneva la seguente questione:” se la partecipazione totalitaria di una società di capitali in qualità di accomandante in una società in accomandita semplice comporti o meno la violazione delle regole, relativamente all ’amministrazione ed alla redazione dei bilanci, previste per le società di capitali e per tale motivo debba considerarsi nulla per violazione delle norme imperative preposte al rispetto di tali regole.
Il motivo è inammissibile.
La Corte è tenuta ad esaminare il motivo per come lo stesso risulta sintetizzato nel motivo e, sotto tale aspetto, non può non rilevarsi che della questione della nullità della partecipazione totalitaria di una società di capitali in una società in accomandita semplice sotto il profilo della violazione degli artt. 1343, 1344 e 1418 c.c. non si rinviene cenno nella sentenza impugnata.
Quest’ultima si è infatti occupata A esclusivamente della questione proposta con l’atto di appello dell’annullabilità della delibera impugnata perché adottata con la partecipazione determinante di soci in conflitto d’interessi con la società e per questa dannosa.
Era pertanto onere del ricorrente riportare nel ricorso i brani dell’atto di appello ove aveva prospettato le predetta questione della nullità della partecipazione per consentire a questa Corte di valutare una eventuale carenza motivazionale. Nulla di tutto ciò si rinviene nel ricorso onde il motivo in quanto nuovo non può trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 5000,00 oltre euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
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