Corte di Cassazione sentenza n. 25036 del 28 novembre 2011
RAPPORTO DI LAVORO – DEMANSIONAMENTO – REVOCA INCARICO – MANSIONE EQUIVALENTE
massima
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La revoca dell’incarico a un dipendente, con la conseguente assegnazione di mansione equivalente, non è demansionamento. In virtù dell’art. 2103 c.c., modificato dall’art. 13 della L. 300/1970, non si può parlare di illegittimo demansionamento quando il lavoratore svolge mansioni comunque confacenti al suo livello di appartenenza e del tutto analoghe a quelle precedentemente svolte (Trib. Bologna, Sez. lavoro, 28/04/2010). Il demansionamento, infatti, si connota per sua natura, nell’abbassamento del globale livello di prestazioni del lavoratore – Trib. Milano, 23/09/2008 – con una sottoutilizzazione delle sue capacità ed una consequenziale apprezzabile menomazione – non transuente – della sua professionalità, della sua collocazione in ambito aziendale nonché con perdita di “chance” ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o ulteriori possibilità di guadagno.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Messina ha dichiarato l’illegittimità del decreto della Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale (…) del 16.10.2000, con cui G.C. era stato rimosso dall’incarico di Capo del II Reparto dell’Ufficio IVA di (…), ordinando all’Agenzia delle Entrate di reintegrare il ricorrente in mansioni ritenute equivalenti a quelle svolte in precedenza dal lavoratore presso il suddetto Ufficio e condannando l’Amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dal ricorrente per effetto del demansionamento.
La sentenza, su appello dell’Agenzia delle Entrate, è stata riformata dalla Corte d’appello di Messina, che ha rigettato la domanda del C. ritenendo che il provvedimento di revoca fosse giustificato alla luce di una valutazione complessiva delle numerose violazioni dei doveri d’ufficio commesse dal dipendente e dei risultati negativi della gestione del reparto, osservando altresì che non vi era comunque prova che le nuove mansioni assegnate al C. non rientrassero tra quelle proprie della qualifica rivestita dal ricorrente.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione G. C. affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’Amministrazione intimata. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo si lamenta il vizio di motivazione su più punti decisivi della controversia, tutti attinenti alla ritenuta legittimità del provvedimento di revoca, sostenendo che la motivazione della sentenza si risolverebbe in una serie di affermazioni apodittiche assolutamente inidonee a dimostrare l’attribuibilità al C. di manchevolezze e negligenze nell’espletamento dei suoi compiti.
2.- Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 1, 2, 4, 5, del D.Lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 97 Cost., agli artt. 17, 18, 19 del Ccnl del comparto Ministeri, e agli artt. 2106 c.c., 55 D.Lgs. 165/2001 e 7 legge n. 300/70, sostenendo che il provvedimento di revoca dell’incarico sarebbe stato adottato in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione e, dato il suo carattere sostanzialmente disciplinare, costituirebbe esercizio illegittimo del potere sanzionatorio del datore di lavoro.
3.- Con il terzo motivo si lamenta violazione degli art. 2103 c.c., assumendo che l’attribuzione delle funzioni di Capo Nucleo Verifica, conferite al C. successivamente alla rimozione dall’incarico di capo reparto dell’Ufficio IVA, avrebbe comportato un illegittimo trasferimento della sede di lavoro del ricorrente.
4.- Il primo motivo è infondato, dovendo ritenersi, come più volte affermato da questa Corte, che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c, si configuri soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, vizio che non è certamente riscontrabile allorché il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.
Nella specie la Corte territoriale, è pervenuta a ritenere giustificato il provvedimento di revoca dell’incarico, adottato dall’Amministrazione nei confronti del ricorrente, sulla base di un esame complessivo delle manchevolezze riscontrate nella gestione del reparto al quale il C. era preposto, manchevolezze ritenute “di esiziale importanza, in quanto relative alla principale finalità istituzionale dell’Agenzia delle Entrate”, oltre che reiterate in un arco temporale inferiore ad un anno, osservando che il ritardo nell’invio di numerosi atti di contestazione e avvisi di accertamento alla firma del Dirigente non poteva trovare alcuna valida giustificazione, considerato anche “il rischio derivante dal ritardo nell’attività di riscossione” e “il pregiudizio che ne risente l’attività amministrativa, gravemente penalizzata dalla necessità di avviare alla notifica, in prossimità della scadenza, una gran mole di atti che ben potevano, invece, se correttamente gestiti, essere scaglionati nel tempo”. Altrettanto grave e ingiustificato era il calo di produttività del reparto, che si attestava intorno al 74% e che, date le proporzioni, non poteva essere spiegato con le pur lamentate carenze di organico.
Si tratta, come è evidente, di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile in cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, dovendo rimarcarsi, al riguardo, che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poiché in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n. 6064/2008).
5.- Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile, sotto entrambi i profili sottoposti all’esame di questa Corte (inosservanza dei principi di correttezza, imparzialità e buon andamento nell’esercizio del potere di revoca; natura sostanzialmente disciplinare del provvedimento di revoca), in quanto con la denuncia del vizio di violazione di legge viene, in realtà, prospettata una ricognizione della fattispecie concreta che non trova rispondenza nella sentenza impugnata (la contrarietà del provvedimento di revoca agli obiettivi di “efficienza, efficacia ed economicità” dell’organizzazione degli uffici e la natura sostanzialmente disciplinare dello stesso provvedimento) e che avrebbe dovuto essere fatta valere, se del caso, sotto il profilo del vizio di motivazione, trattandosi di allegazione che impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, esclusivamente sotto l’aspetto del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c, anche per quello previsto dal n. 3 dello stesso articolo (Cass. n. 9076/2006, Cass. n. 6972/2005).
6.- Del pari inammissibile deve ritenersi il terzo motivo, con cui si denuncia la violazione dell’art. 2103 c.c., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) del lavoratore trasferito, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per la sanzioni disciplinari, e con l’ulteriore conseguenza che, in questi casi, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative produttive deve essere diretto ad accertare soltanto la corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell’impresa e non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo.
7.- Il ricorso deve essere pertanto respinto con la conferma della sentenza impugnata.
8.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in € 50,00 oltre € 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.
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