Corte di Cassazione sentenza n. 25344 del 24 giugno 2011
LAVORO AUTONOMO – RAPPORTO CLIENTE E AVVOCATO – APPROPRIAZIONE INDEBITA – SOMME PAGATE DAL GIUDICE – AVVOCATO
massima
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Il cliente che incassa la somma liquidata dal giudice e non paga l’avvocato non commette il reato di indebita appropriazione.
La presente giurisprudenza ritiene che non è reato di appropriazione indebita il fatto che il cliente incassa le spese liquidate dal giudice ma non paga l’avvocato. Ciò si pone in contrasto con Trib. Genova, 24 ottobre 2005, il quale stabilisce che configura il reato di appropriazione indebita, di cui all’art. 646 c.p., il fatto commesso dal cliente che, una volta ricevuta la somma liquidata dal giudice a conclusione di un giudizio (nella specie, procedimento lavoristico, definito con il risarcimento del danno per illegittimo licenziamento), abbia trattenuto, pur a seguito di numerosi solleciti, la parte liquidata a favore dell’avvocato difensore a titolo di onorari, diritti e spese, rendendosi indebitamente proprietario della medesima, nella piena consapevolezza di ciò e senza che la ritenzione della somma sia giustificata da plausibili ragioni.
Inoltre, in merito al contratto professionale che si instaura tra il cliente e l’avvocato per la riscossione dei crediti dall’impresa assicurativa, la giurisprudenza (Trib. L’Aquila, 16 febbraio 2010) ritiene che si configurerebbe il reato di appropriazione indebita qualora il legale incassasse direttamente la parcella omettendo di consegnare la somma nell’interezza al cliente. La totalità delle somme versate spettano, infatti, al danneggiato il quale è chiamato a corrispondere l’onorario al proprio legale.
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FATTO
§ 1. Con sentenza del 8/7/2010, la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza pronunciata in data 21/01/2008 con la quale il Tribunale della medesima città aveva assolto G. A. dal reato di cui all’art. 646 c.p. «per essersi appropriato indebitamente della somma di € 16.710,00 percepita al solo scopo di corrisponderla al suo legale avv. N.L. ed in realtà mai consegnata».
§ 2. Avverso la suddetta sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 646 c.p.
Sostiene, infatti, il ricorrente che le somme liquidate dal giudice in favore del difensore sono detenute dalla parte vincitrice nomine alieno con la conseguenza che, mutare ad opera della parte vincitrice in giudizio la destinazione delle somme liquidate dal sentenza trattenendole per sé, costituisce un comportamento appropriativo che integra gli estremi della condotta descritta nell’art. 646 c.p.
DIRITTO
§ 3. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate. Il fatto che ha dato origine al presente procedimento penale è pacifico: all’esito di un giudizio civile, al G., assistito dall’avv.to N. L., veniva liquidata la somma di € 16.710,00 a titolo di competenze legali. Il G., però, non pagava l’avv.to L. Da qui il processo.
In punto di diritto, è appena il caso di rammentare che i requisiti giuridici perché possa ritenersi configurabile il reato di cui all’art. 646 c.p. sono i seguenti: a) l’appartenenza dei beni oggetto di appropriazione, ad un terzo in virtù di un titolo giuridico; b) il possesso legittimo dei suddetti beni da parte del terzo; c) la volontà di interversione del possesso, la qual cosa si verifica quando il possessore effettua e rende esplicito al proprietario del bene, l’interversione del possesso ossia la sua volontà di non restituire più il bene del quale ha il possesso; d) l’ingiusto profitto.
Infatti, la ratio dell’art. 646 c.p. “deve essere individuata nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa” (Cass. 11628/1989 riv. 182001).
Tanto premesso in diritto, occorre quindi verificare a) se la somma liquidata dal giudice a favore del G. fosse o meno di proprietà dell’avv.to L.; b) se il G. la possedeva in virtù di un qualche legittimo titolo di possesso e, quindi, se effettuò l’interversione. La risposta ai suddetti quesiti discende dalla disamina del rapporto che lega il cliente all’avvocato.
In proposito è indiscusso che il suddetto rapporto ha alla base un rapporto di mandato professionale a seguito del quale il professionista ha il diritto di pretendere il pagamento della prestazione.
Il pagamento della suddetta prestazione costituisce, quindi, a carico del cliente, un obbligo che discende dall’interno rapporto di mandato essendo regolamentato dalle pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum ed alle modalità.
Nell’ipotesi, poi, di una causa civile, le modalità con le quali il professionista può farsi pagare sono due: 1) direttamente dal cliente ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza; 2) direttamente dalla parte soccombente: è l’ipotesi espressamente prevista dall’art. 93 c.p.c. che disciplina la appunto, della distrazione delle spese.
Nel caso in esame, è pacifico che la somma in questione è stata liquidata a favore non dell’avv. L. ma del G. in quanto parte vincitrice a titolo di spese. E’ chiaro, pertanto, che quella somma era di sua esclusiva proprietà ed alla stessa il G. era libero di dare la destinazione che più gli aggradava pur essendo tenuto al pagamento della parcella dell’avv.to L.
Costui, quindi, non poteva su di essa accampare alcun diritto potendo solo richiedere la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l’opera professionale svolta, direttamente nei confronti del suo cliente, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.
Erra, quindi, il P.G. ricorrente quando sostiene che la somma liquidata aveva un vincolo di destinazione a favore dell’avvocato.
In realtà, la somma era di proprietà esclusiva del G. essendo stata liquidata a suo favore, sicché nessuna appropriazione indebita è ipotizzabile proprio perché manca il principale presupposto giuridico ossia che la somma fosse di proprietà dell’avvocato e che il G., possedendola per un legittimo titolo, effettuò l’interversione del possesso rifiutandosi di consegnarla all’avvocato.
Nel respingere pertanto il ricorso può enunciarsi il seguente principio di diritto: “non commette il reato di appropriazione indebita, la parte vincitrice di una causa civile, a cui favore il giudice abbia liquidato una somma a titolo di spese legali, che si rifiuti di consegnarla al proprio avvocato che reclami come propria la suddetta somma”.
P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso
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