CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 novembre 2013, n. 25507
Tributi – IVA – Sanzioni – Società cancellata – Art. 2495 c.c. – Applicazione – Retroattività – Esclusione
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria della regione Lombardia con sentenza 30.1.2006 n. 126 accoglieva l’appello proposto da R. s.r.l. in liquidazione avverso la cartella di pagamento, notificata il 10.7.2003 avente ad oggetto la liquidazione delle somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria ed interessi iscritte a ruolo in data 27.12.2001, ai sensi degli artt. 17 co 3 Dlgs n. 472/2997 e 54 bis Dpr n. 633/72, per ritardato versamento dell’IVA relativa alla dichiarazione annuale presentata per l’anno di imposta 1998.
I Giudici territoriali, rigettati gli altri motivi di gravame relativi alla nullità della cartella per difetto di motivazione ed alla eccezione di decadenza dal potere irrogativo della sanzione, accoglievano il primo motivo di impugnazione rilevando che la società era stata cancellata dal registro delle imprese in data 21.1.2000, con la conseguenza che la sanzione pecuniaria doveva ritenersi illegittimamente irrogata nei confronti dì un soggetto giuridico ormai già estinto, giusta la interpretazione della disposizione dell’art. 2495 c.c. secondo cui, dopo la cancellazione, ”ferma la estinzione della società” le azioni dei creditori soci potevano essere esperite esclusivamente nei confronti dei soci nei limiti della liquidazione della rispettive quote.
Avverso la sentenza di appello non notificata ha proposto ricorso per cassazione , affidato ad un unico motivo, la Agenzia delle Entrate con atto ritualmente notificato in data 15.2.2007 alla società nel domicilio eletto presso l’incaricato della difesa tecnica nominato ex art. 17 Dlgs n. 546/1992.
La parte resistente non ha spiegato difese.
Motivi della decisione
Il motivo con il quale si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del previgente art. 2456 c.c. (applicabile ratione temporis) e degli artt. 6 e 10 de Dlgs n. 6/2003, in relazione all’art. 360 co 1 n. 3 c.p.c., è fondato.
Risulta dagli atti di causa che:
– in data 27.7.1999 è stato depositato il bilancio finale di liquidazione di R. s.r.l. e presentata istanza di cancellazione della società dal registro delle imprese
– in data 21.1.2000 è stata disposta la cancellazione della società
– in data 27.12.2001 l’Amministrazione finanziaria, a seguito di verifica formale ex art. 54 bis Dpr n. 633/72 della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno 1998, ha iscritto a ruolo le somme dovute dalla società a titolo di soprattassa ed interessi per tardivo versamento della imposta
– in data 10.7.2003 è stata notificata la relativa cartella di pagamento, che unitamente al ruolo, è stata ritualmente opposta dal liquidatore della società (cancellata) con ricorso proposto avanti la CTP di Milano
– avverso la sentenza della CTP pubblicata in data 28.9.2004 n. 103 il liquidatore ha proposto appello depositato presso la Segreteria della Commissione tributaria in data 6.12.2004.
Tali i fatti incontestati, la CTR della Lombardia ha ritenuto illegittima la iscrizione a ruolo, rilevando che a tale data la società di capitali -soggetto giuridico debitore- doveva ritenersi già estinta in conseguenza della avvenuta cancellazione dal registro delle imprese, giusta il disposto dell’art. 2495 co 2 c.c. (introdotto dall’art. 4 del Dlgs n. 17.1.2003 n. 6 recante riforma organica della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative) che ricollegava l’effetto “estintivo” delle società dotate di personalità giuridica alla pubblicità costitutiva della iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese, con la conseguenza che, estinta la società, i diritti vantati dal creditore della società rimasto insoddisfatto avrebbe potuto essere fatti valere esclusivamente nei confronti dei soci e soltanto fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero anche nei confronti dei liquidatori ma soltanto nel caso in cui questi avessero versato in colpa.
Deve ritenersi errata la interpretazione della norma di cui all’art. 2495 co 2 c.c. fornita dal Giudice di merito in relazione alla efficacia temporale retroattiva riconosciuta alla stessa.
Se, infatti, va confermato l’indirizzo giurisprudenziale formatosi all’indomani della riforma societaria e delle modifiche introdotte dal Dlgs n. 6/2003 anche alla disciplina della estinzione delle società di capitali (non più regolata dall’art. 2456 c.c. ma collocata nell’art. 2495 c.c.), secondo cui , con esclusione dei rapporti definitivamente esauriti e degli effetti irreversibilmente prodotti, la nuova norma – da estendersi analogicamente anche alle “società di persone”, dotate di limitata soggettività, c dei consorzi con attività esterna- trova applicazione anche in ordine alle cancellazioni intervenute anteriormente alla data 1 gennaio 2004 di entrata in vigore della stessa (cfr. Corte cass. 28.8.2006 n. 18618; id. sez. lav. 18.9.2007 n. 19347), errata deve invece ritenersi la applicazione retroattiva della stessa, in quanto come è stato correttamente rilevato la norma -pur limitandosi a disciplinare gli effetti senza incidere sui fatti genetici della fattispecie estintiva- non può ritenersi meramente ricognitiva del senso e della portata della precedente norma di cui all’art. 2456 c.c., ed in assenza di esplicita previsione legislativa non può neppure considerarsi norma interpretativa (come ritenuto nei precedenti di questa Corte cass. II sez. 15.10.2008 n. 25192 e I sez. 12.12.2008 n. 29242), trattandosi invece di norma dettata “in modo da regolare i soli effetti estintivi a decorrere dalla entrata in vigore della riforma del diritto societario anche in rapporto alle cancellazioni precedenti, avendo carattere di jus superveniens ultrattivo e produttivo di effetti estintivi nuovi, anche per le pregresse cancellazioni, in rapporto a quanto previsto nelle preleggi ed in Costituzione” con la conseguenza, da un lato, che “la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, soltanto nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che, modificando l’art. 2495, secondo comma, cod. civ., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione”, e dall’altro che, non avendo detta norma efficacia retroattiva “e dovendo tutelarsi l’affidamento dei cittadini in ordine agli effetti della cancellazione in rapporto all’epoca in cui essa ha avuto luogo, per le società cancellate in epoca anteriore al 1° gennaio 2004 l’estinzione opera solo a partire dalla predetta data’’’ (cfr. Corte cass. SS.UU. 22.2.2010 n. 4060 e n. 4061).
Ne segue che al tempo della iscrizione a ruolo e della notifica della cartella di pagamento (10.7.2003) la società -se pure già cancellata dal registro delle imprese- non poteva tuttavia considerarsi già estinta in applicazione dell’art. 2495 co2 c.c. e dunque la pretesa sanzionatoria della Amministrazione finanziaria era stata fatta valere nei confronti di un soggetto giuridico che -secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale fornita in relazione al previgente art. 2456 c.c., e fondata sulla natura di pubblicità meramente dichiarativa della cancellazione- conservava ancora dopo la cancellazione, lo scioglimento e la liquidazione del patrimonio sociale, una soggettività attenuata ed un correlativa ridotta legittimazione processuale (cd. ultrattività della società cancellata) in ordine ai rapporti giuridici, non ancora definiti, con i terzi creditori. Ed infatti, anteriormente alla riforma del diritto societario doveva ritenersi pacifico che la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese non ne determinava, “ipso facto”, l’estinzione, che si verificava solo in conseguenza della definizione di tutti i rapporti ancora pendenti: la società conservava, pertanto, in pendenza di una siffatta situazione, la sua piena capacità processuale, tanto attiva quanto passiva, e doveva essere evocata in giudizio in persona del suo liquidatore o, in mancanza, di un curatore speciale nominato ai sensi del disposto di cui all’art. 78 cod. proc. civ.. (cfr. ex pluribus Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 10314 del 28/05/2004).
La errata statuizione della CTR lombarda non determina tuttavia l’accoglimento del ricorso. Ed infatti, verificatosi nel corso del processo di merito, a far data dall’1.1.2004, data di entrata in vigore del nuovo art. 2495 c.c., l’effetto costitutivo della estinzione della società in conseguenza della pregressa iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, effettuata in data 21.1.2000, e non essendo stata correttamente disposta la interruzione del processo in difetto di rituale dichiarazione o notificazione dell’evento estintivo della soggettività giuridica della società di capitali, tuttavia la Commissione tributaria regionale investita dall’appello proposto in data 6.12.2004 dall’ex liquidatore della società, estinta alla data 1.1.2004, bene avrebbe dovuto rilevare, proprio in applicazione dell’art. 2495 c.c., il sopravvenuto difetto di legittimazione processuale del liquidatore; infatti il fenomeno successorio che si verifica con la estinzione della società di capitali (privata della capacità di stare in giudizio: Corte cass. SU 12.3.2013 n. 6070), come regolato dalla norma predetta, determina il trasferimento ex art. 110 c.p.c. delle obbligazioni della società direttamente ai singoli soci -che ne rispondono solo in quanto risultino attributari di diritti e beni in base al bilancio finale di liquidazione e soltanto nei limiti di quanto riscosso. Sicchè, in pendenza di lite, la legittimazione sostanziale e processuale viene acquistata ex art. 110 c.p.c. dai soci, nei cui confronti soltanto, pertanto, debbono essere proposte le eventuali impugnazioni (cfr. Corte cass. IlI sez. 10.11.2010 n. 22830; id. V sez. 16.5.2012 n. 7676 che ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nei confronti della società di capitali cancellata dal registro delle imprese nelle more del processo; id. SU n. 6070/2013 cit.; id. V sez. 6.6.2012 n. 9110 che ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto nei confronti del socio, nel giudizio in cui era stata originariamente parte la società poi cancellata). Rimanendo esclusa pertanto una concorrente legittimazione processuale dell’ex liquidatore privato, a seguito della estinzione della società, del potere di rappresentanza di tale soggetto (e dunque anche del potere di conferimento della procura ad litem che se rilasciata deve ritenersi affetta da nullità: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 29242 del 12/12/2008; id. V sez. ord. 3.11.2011 n. 22863), non ricorrendo nel caso di specie la ipotesi di responsabilità diretta per colpa del liquidatore prevista dall’ultima parte dell’art. 2495 comma 2 c.c., nè la ipotesi speciale disciplinata dall’art. 36 comma 1 del Dpr n.602/1973 (responsabilità diretta -per il pagamento della imposta- del liquidatore che, durante la esecuzione delle operazioni di liquidazione, abbia omesso di versare in tutto od in parte -in violazione della prelazione- le imposte sui redditi della persona giuridica: su cui vedi Corte cass. V sez. 13.7.2012 n. 11968).
Cessata la capacità processuale della società, l’appello proposto dal liquidatore avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile dal Giudice di appello ed il ricorso per cassazione proposto dalla Agenzia fiscale avrebbe dovuto essere proposto nei confronti dei soci e non della società cancellata (soggetto estinto), e neppure nei confronti dell’ex liquidatore cessato dall’incarico e privato del potere rappresentativo.
Trattandosi pertanto di questione attinente alla “legitimatio ad causam” in ordine alla quale -in difetto di espressa pronuncia del Giudice di merito- sussiste il potere della Corte di rilevabilità ex officio, deve essere dichiarato inammissibile l’appello proposto da soggetto che al tempo era già decaduto dalla nomina di liquidatore e non poteva quindi rappresentare in giudizio un soggetto giuridico già estinto con la iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese.
In conclusione la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c. in quanto il giudizio di appello non poteva essere proseguito.
Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio, essendo pervenute le SS.UU a comporre il contrasto giurisprudenziale sul punto soltanto in tempo successivo alla presentazione dell’atto di appello.
P.Q.M.
Decidendo sul ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile l’appello proposto dal liquidatore della società contribuente,
– dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.