CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2013, n. 25685
Credito di imposta – Investimenti su beni condotti in locazione – Agevolazione – Riconoscimento – Presupposti
Ritenuto in fatto
1. La A. s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello principale della contribuente ed accogliendo quello incidentale dell’Ufficio, è stata affermata la legittimità dell’avviso di recupero parziale del credito d’imposta per investimenti in aree svantaggiate, previsto dall’art. 8 della legge n. 388 del 2000, emesso nei confronti della A. per l’anno 2001.
Il giudice d’appello ha ritenuto, per quanto qui interessa, che non possono considerarsi nuovi investimenti i miglioramenti apportati su beni di proprietà di terzi non dotati di una autonoma funzionalità, come avvenuto nella specie, trattandosi di spese per la ristrutturazione e l’ampliamento di un immobile condotto in locazione dalla contribuente. Ha, inoltre, escluso che ricorressero le condizioni previste dall’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 per la disapplicazione delle sanzioni.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
3. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, è inammissibile poiché, in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis), non contiene una chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, o delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (ex plurimis, Cass. nn. 2652 e 8897 del 2008, 27680 del 2009).
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 (recte, della legge n. 388 del 2000) e formula, al riguardo, il quesito di diritto se, “ai fini dell’agevolazione di cui all’art. 8 L. 23.12.2000, n. 388, comma 2 (credito d’imposta per investimenti in territori svantaggiati), sia consentito computare nel costo della nuova struttura operativa (nella specie call-center) installata in locali presi in affitto, non solo il costo delle nuove apparecchiature rimovibili dalla muratura, ma anche quello delle spese direttamente necessarie per consentire il funzionamento della nuova struttura, quali impianti elettrici, di riscaldamento, refrigerazione e comunque accessori benché stabilmente inseriti sulle pareti dei locali stessi”.
Il motivo è infondato.
Qualora gli investimenti suscettibili di agevolazione ai sensi dell’art. 8 della legge n. 388 del 2000 – il quale precisa che “per nuovi investimenti si intendono le acquisizioni di beni strumentali nuovi di cui agli articoli 67 e 68” del TUIR, secondo la numerazione all’epoca vigente (ora, artt. 102 e 103) – consistano in spese sostenute su immobili non di proprietà dell’impresa, ma, come nella specie, condotti in locazione, il criterio distintivo in ordine alla applicabilità del beneficio è quello della sussistenza, o meno, di un’autonomia funzionale del bene acquisito rispetto al bene del terzo: in altre parole, affinché la spesa sostenuta dia diritto al credito d’imposta occorre che essa riguardi beni dotati di una propria individualità, tali, cioè, da essere rimovibili dall’immobile cui accedono e, quindi, suscettibili di utilizzazione separata da parte del locatario (o comodatario) al termine del periodo di locazione (o comodato).
Tale criterio trova conferma, oltre che nella lettera e nella ratio della norma, anche nella disciplina in tema di determinazione del reddito d’impresa. Le spese sostenute per interventi migliorativi privi di autonomia funzionale, infatti, sono soggette alla disciplina delle “spese relative a più esercizi” di cui all’art. 74, comma 3, del TUIR (vecchia numerazione, ora art. 108), che stabilisce la loro deducibilità “nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio”: ciò significa che tali investimenti, anche se hanno natura incrementati va, non costituiscono “beni” ai sensi dell’art. 8 in esame, bensì meri costi.
In definitiva, nella fattispecie, la natura degli interventi effettuati (ristrutturazione ed adeguamento impiantistico dell’immobile condotto in locazione), pur se indubbiamente aventi carattere incrementativo delle potenzialità dell’immobile locato, non possiedono le caratteristiche sopra evidenziate per poter fruire dell’agevolazione in questione (cfr., in termini sostanzialmente analoghi, Cass. nn. 21411 del 2012 e 21541 del 2013).
3. Infine, con il terzo motivo, la ricorrente, in via subordinata, denuncia la violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere il giudice a quo disatteso la richiesta di disapplicazione delle sanzioni; chiede che si affermi il principio secondo il quale, a tal fine, “il giudice non è esonerato dall’esercitare una sua autonoma indagine al fine di stabilire la sussistenza o meno di un’oggettiva situazione di incertezza e pertanto non può limitarsi a prendere atto del solo mutato orientamento ministeriale che, originariamente favorevole al contribuente, sia stato successivamente modificato a suo sfavore, essendo la presenza di contrastanti interpretazioni ministeriali soltanto sintomatica di detta incertezza”.
Il motivo è infondato.
E’, infatti, costante l’orientamento di questa Corte nel senso che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. 27 luglio 2000, n. 212, e dell’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (da ult. Cass. nn. 3245 e 4522 del 2013).
Nella fattispecie, il giudice d’appello, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, non si è limitato a rilevare che l’amministrazione, all’epoca di presentazione della dichiarazione, aveva ormai chiarito il suo pensiero, ma ha egli stesso escluso, con autonoma valutazione, che siano configurabili i detti presupposti per la disapplicazione delle sanzioni, non essendo rilevabili particolari incertezze interpretative nella normativa de qua.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
5. La novità della questione rispetto all’epoca di proposizione del ricorso induce a dispone la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
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