CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2013, n. 25701
Tributi – Imposte indirette – Iva – Associazione in partecipazione – Compensi – Imponibilità – Non sussiste
Fatto
G. F., a seguito di un processo verbale di constatazione della guardia di finanza, ricevette un avviso di accertamento col quale l’Agenzia delle entrate gli contestò, in relazione all’anno d’imposta 1997, di non aver emesso fatture per operazioni imponibili e di non aver presentato la dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto in relazione alle attività da lui svolte in favore di s.p.a. S.AI.PI in esecuzione di un contratto di associazione in partecipazione, irrogandogli altresì le relative sanzioni.
Il contribuente impugnò l’avviso, con ricorso, che fu respinto dalla Commissione tributaria provinciale, là dove la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto da F..
Ricorre l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso ad un unico motivo.
Resiste con controricorso il contribuente.
Diritto
1.- Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 3, c.p.c., l’Agenzia delle entrate si duole della violazione degli articoli 1 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, degli articoli 44 e 53 del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986 e dell’articolo 5 del decreto legge numero 282 del 2002, sostenendo che siano assoggettate ad IVA tutte le prestazioni di lavoro fomite come unico apporto dall’associato in partecipazione prima dell’entrata in vigore dell’articolo 5 del decreto legge numero 282 del 2002, al quale non può essere assegnata efficacia retroattiva.
1.1. Formulato in questa maniera, il quesito di diritto che correda il motivo di ricorso coglie pienamente ed in maniera esauriente, così evidenziando l’infondatezza delle eccezioni d’inammissibilità mosse in controricorso, la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Ratio che, escludendo che l’attività svolta dall’associato abbia natura imprenditoriale, professionale o comunque di lavoro autonomo, ha in conseguenza assegnato al comma Ibis dell’articolo 5 del decreto legge numero 282 del 2002, introdotto dalla legge di conversione 27/2003 (il quale, interpolando il primo periodo del secondo comma dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633/72, ha aggiunto il riferimento al «le prestazioni di lavoro effettuate dagli associati nell’ambito dei contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 49, comma 2, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi…, rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo»), natura chiarificatrice anche della situazione normativa previgente.
2. -Benché ammissibile, il motivo di ricorso è infondato.
2.1.-La Corte ha avuto occasione di affermare che, anche nel regime antecedente all’interpolazione dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, dovuta all’articolo 5, comma Ibis, del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, numero 27, non era possibile reputare assoggettabile ad iva la quota di utili percepita dall’associato chiamato a prestare attività lavorativa in seno al contratto di associazione in partecipazione e ciò in ragione dell’assimilazione quoad effectum della prestazione dell’attività lavorativa dell’associato al conferimento in associazione, equiparabile sotto il profilo fiscale, alla distribuzione degli utili fra i soci (Cass. 2 luglio 1998, n. 6466; conforme, in motivazione, Cass. 25 febbraio 2010, n. 4588).
2.2. -La tesi non trova riscontro in altro orientamento della prima sezione civile della Corte (vedi, fra varie, Cass. 28 ottobre 2011, n. 22521) e non ha avuto soverchio successo in dottrina (dà conto di critiche a tale orientamento anche Cass. 13 settembre 2013, n. 20977 resa da questa sezione), in quanto, si è obiettato, l’apporto dell’associato non concorre a formare un fondo comune, non incrementa i mezzi a disposizione dell’associante, finanziando l’esercizio della sua impresa.
3.- Ciononostante, e indipendentemente dalla fondatezza delle critiche in questione, anche antecedentemente alla novella apportata dal comma Ibis dell’articolo 5 del decreto legge 282 del 2002, come convertito, l’apporto dell’associato consistente nella prestazione di lavoro sembra esulare dal novero delle attività imponibili.
Il che esclude la necessità della rimessione alle sezioni unite richiesta dal sostituto procuratore generale.
3.1. – L’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 configura come operazioni imponibili, ai fini iva, le «cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti o professioni…».
3.2. -Ciò posto, l’articolo 4 della sesta direttiva stabilisce, al primo paragrafo, che «si considera soggetto passivo chiunque esercita in maniera indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività», precisando, al quarto paragrafo, che «l’espressione “in modo indipendente” di cui al paragrafo 1. esclude dall’imposizione i lavoratori dipendenti ed altre persone se essi sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto giuridico che introduca vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità del datore di lavoro».
3.3. – AI riguardo, la Corte di giustizia ha chiarito, ai fini dell’individuazione del soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto, che «…un vincolo di subordinazione non sussiste qualora gli interessati sopportino il rischio della loro attività» (Corte giust. 25 luglio 1991, C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, punto 13; Corte giust. 18 ottobre 2007, C-355/06, l.a. Van der Steen, punto 24).
3.4.- Il che, nel caso in questione, conduce ad escludere la soggettività passiva del ricorrente, il quale, in base alla configurazione giuridica del contratto di associazione in partecipazione, si limita a prestare attività lavorativa, là dove l’affare o l’impresa, con i relativi rischi, restano di esclusiva pertinenza dell’assodante: di fatti, «la gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’assodante» (art. 2552, 1° co., cod.civ.); «i terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l’associante” (art. 2551 cod.civ.), di guisa che l’associato può pretendere unicamente che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettante degli utili dell’impresa dell’assodante (ex art. 2549 cod.civ.) e all’apporto (in termini, Cass. 24 giugno 2011, n. 13968).
4. – Effettivamente, allora, l’interpolazione dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 ha valenza chiarificatrice del quadro normativo applicabile alla prestazione di attività lavorativa dell’associato.
5. Il ricorso va in conseguenza respinto.
Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
– respinge il ricorso;
– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate in € 2500,00 oltre ad euro 200,00 per spese.
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