CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2013, n. 25713
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Imposta – Solidarietà nell’obbligazione tributaria – Litisconsorzio necessario – Esclusione
Fatto
La Commissione tributaria regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con sentenza n. 7.16.07, depositata il 23.3.2007 confermava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria n. 37/01/1990 che accoglieva parzialmente il ricorso di L.A. e C.R.M., acquirenti, in regime di comunione indivisa con la moglie e altri soggetti, di un terreno agricolo in località P.C., riducendo il valore accertato a L. 1000 al metro quadrato per alcune particelle (5 e 6 f.l.), disponendo, per il resto, la valutazione automatica. Proponeva ricorso per cassazione il contribuente deducendo i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma uno, D.lgs 546/92 e dell’art. 102 c.p.c. rilevando l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti acquirenti e venditrici, vertendosi in tema di litisconsorzio necessario;
b) violazione e falsa applicazione del principio del “ne bis in idem” previsto dall’art. 39 c.p.c., essendo divenuta definitiva la sentenza di appello n. 2441, in data 25/5/1993 a carico di S.G.M.;
c) omessa, insufficiente e/o contraddittorio motivazione della sentenza con riferimento all’omesso accoglimento da parte dei giudici d’appello del principio del litisconsorzio necessario e del principio del “ne bis in idem”.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso nel giudizio di legittimità.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 24.10.2013, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione
Deve essere, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità del ricorso in quanto la sentenza di appello, a seguito di impugnazione dell’Agenzia delle entrate, confermava quella di primo grado, non impugnata con appello incidentale dagli attuali ricorrenti, parzialmente soccombenti nel giudizio di primo grado che, quindi non sono legittimati a censurare in Cassazione la sentenza non impugnata dagli stessi in grado di appello.
Infatti, la parte parzialmente soccombente in primo grado, anche nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata abbia, sia pure implicitamente, risolto in senso sfavorevole ad essa una questione preliminare o pregiudiziale, nel caso di impugnazione dell’altra parte, ha l’onere di riproporre con appello incidentale le domande od eccezioni comprese quelle preliminari o pregiudiziali non accolte nella sentenza di primo grado, operando, altrimenti la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ.. e in mancanza di tale impugnazione incidentale, il riesame del ricorso resta precluso al giudice di legittimità.
Comunque il ricorso è infondato.
Va premessa, in relazione al primo motivo, l’inammissibilità del quesito di diritto risolventesi nell’interrogazione se sia stata violata la norma sul litisconsorzio necessario, non circostanziata in relazione alla specifica fattispecie e tale dunque da non rendere possibile una risposta al quesito che di per sé consenta di decidere il motivo; il motivo difetta anche di autosufficienza con riferimento al dedotto “contrasto di giudicati”, non documentando i ricorrenti il passaggio in giudicato delle altre sentenze indicate, limitandosi ad affermare solamente il passaggio in giudicato della sentenza di appello n. 2441/1993, senza, tuttavia, riprodurne il contenuto o allegarla agli atti di appello, trattandosi di documento al quale questa Corte non può accedere direttamente e la cui conoscenza è necessaria per valutare la fondatezza delle censura dell’atto proposta in questa sede, con riferimento al primo e terzo motivo di ricorso.
Peraltro il primo motivo è anche infondato.
Tutte le parti contraenti, (acquirenti e venditori) secondo quanto stabilito dagli articoli 52 e 57 del d.P.R. n. 131/86, sono solidalmente obbligate al pagamento dell’imposta.
Anche in materia tributaria trovano applicazione i principi civilistici sulle obbligazioni solidali, i quali, naturalmente, devono subire i necessari adattamenti per l’influenza sull’assetto del rapporto obbligatorio degli effetti dell’accertamento tributario e della particolare struttura del processo tributario.
Non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando la causa ha ad oggetto un’obbligazione solidale, poiché la struttura del rapporto consente all’Amministrazione finanziaria di esigere – e obbliga ciascun contribuente a corrispondere – l’intero.
Va, quindi, esclusa l’applicabilità dell’art. 102 cod.proc.civ. alla causa intentata da uno o più dei condebitori solidali nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri coobbligati solidali.
Ciascuno dei coobbligati può autonomamente impugnare l’atto e questo può autonomamente diventare definitivo nei confronti di ciascun obbligato.
Tale separatezza e autonomia dei singoli rapporti tra amministrazione finanziaria – creditore e singoli condebitori solidali si traduce, sul piano processuale, in distinti processi e non ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario. Anche nel caso della solidarietà tributaria, quindi, ciascun ricorso contro lo stesso accertamento instaura distinti rapporti processuali, anche nel caso in cui vi sia stata trattazione unitaria.
L’unico correttivo alla possibilità di contrastanti giudicati è l’estensione del giudicato più favorevole, secondo il principio enunciato dall’art. 1306 cod. civ.., circostanza di cui non vi è prova nella fattispecie.
In relazione al secondo motivo non sussiste la violazione del principio “ne bis in idem”, anche in base alla mera prospettazione di parte, poiché non trattasi del medesimo giudizio, rispetto agli altri indicati, stante la diversità dei soggetti.
Il terzo motivo, comunque infondato, non si traduce in una vizio di motivazione, essendo stato censurato sotto il profilo dell’art. 360, n. cinque, c.p.c. mentre avrebbe dovuto essere censurato quale vizio di nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, n. quattro, c.p.c. trattandosi di omessa pronuncia sulla richiesta di applicazione del principio del litisconsorzio necessario e del principio del “ne bis in idem”.
Va, conseguentemente, rigettato il ricorso con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in €. 5.000 per compensi professionali, oltre alle spese prenotate a debito.
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