Corte di Cassazione sentenza n. 25914 del 01 luglio 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – LEGALE RAPPRESENTANTE DITTA – APPALTO – LESIONE COLPOSA – DPI
massima
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E’ responsabile il legale rappresentante di una ditta cui era appaltato il servizio di facchinaggio e movimentazione merci per il reato di lesioni colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica.
L’art. 35 del D.Lgs. n. 626 del 1994 impone al datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere e idonee dal punto di vista della sicurezza. Nello specifico, i doveri incombenti sul datore di lavoro sono riconducibili a tre diverse categorie concettuali: – il dovere di prevenzione tecnica ed organizzativa – il dovere di prevenzione informativa e formativa – il dovere di controllare e vigilare che le norme antinfortunistiche vengano scrupolosamente osservate. Atteso ciò, il datore di lavoro non può esimersi da responsabilità invocando l’imprevedibilità del comportamento del lavoratore, laddove gli si possa rimproverare di non avere adempiuto ai predetti doveri, i quali tendono proprio ad evitare che il lavoratore, nell’esecuzione della propria mansione, si avvalga di accorgimenti diversi da quelli imposti dalla legge o suggeriti dalla migliore ricerca (Trib. Novara, 02/03/2006). Infatti, nel caso di specie, accadeva infatti che un dipendente, offertosi di riparare una grondaia del capannone della società appaltante, in sostituzione del collega assente, saliva sul tetto utilizzando un trabattello rudimentale; dopo che aveva percorso pochi metri, una lastra di onduline cedeva a causa del suo peso ed egli finiva a terra riportando plurime fratture alle costole e al bacino.
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FATTO
Il Tribunale di Cagliari, sezione di Sanluri, ha ritenuto (…), nella qualità di responsabile e legale rappresentante della (…), responsabile del reato di lesioni colpose commesse con violazione della normativa antinfortunistica, in particolare dell’art. 35, co. 1, D.Lgs. 626/94 (per non aver dotato i propri dipendenti di idonea attrezzatura), in danno di (…), l’infortunio si era avuto nello stabilimento (…), al cui interno la (…) era presente come una delle ditte cui era appaltato il servizio di facchinaggio e movimentazione merci. Il 21 ottobre 2003, giorno dell’incidente, poiché mancava uno dei dipendenti della (…) ed era necessario ed urgente riparare una grondaia del capannone, (…) si era offerto per tale lavoro, in sostituzione del collega assente; aiutato da un altro operaio, saliva sul tetto utilizzando un trabattello rudimentale; dopo che aveva percorso pochi metri, una lastra di onduline cedeva a causa del suo peso ed egli finiva a terra riportando plurime fratture alle costole e al bacino.
2. La Corte di appello confermava la sentenza concedendo all’imputato la sospensione condizionale della pena. Rilevava la Corte che era pacifico che il (…), dipendente della (…) di cui il (…) era legale rappresentante, svolgeva la propria attività di magazziniere presso la ditta (…) e che il giorno dell’infortunio era impegnato nella riparazione di una grondaia insieme ad altri operai della (…); egli era salito sul tetto utilizzando un rudimentale trabatello e dopo aver percorso pochi metri sul tetto stesso, era caduto, a causa del cedimento di una lastra di onduline che non aveva retto il peso; il medesimo aveva dichiarato di non aver preso la cintura di sicurezza perché dove doveva lavorare non esistevano punti di ancoraggio e comunque per la fretta di porre in essere l’intervento a causa della imminente pioggia; la testimonianza, ritenuta del tutto attendibile resa dallo stesso (…), era confermata dalle dichiarazioni di un dipendente della (…) e dalle indagini svolte dall’ispettore del lavoro intervenuto a seguito dell’incidente, da cui era risultato che, in caso di necessità, gli operai della (…) erano direttamente utilizzati dai responsabili della (…) per lo svolgimento di lavori di vario genere, come appunto quelli di manutenzione e riparazione, ricevendo in tali occasioni istruzioni ed ordini dagli stessi responsabili della (…) ed in particolare, come era avvenuto nella specifica occasione, dall’ing. (…); in tale contesto, rilevava la Corte di appello, in quanto già ritenuto dal primo giudice, pur potendosi ritenere provato che il (…) si era dichiarato spontaneamente disponibile a svolgere il lavoro in questione, non si poteva ritenere che si fosse trattato di un comportamento imprevedibile ed eccezionale, tale da elidere il nesso di causalità, dal momento che la condotta collaborativa del medesimo si inseriva nelle normali modalità dello svolgimento dell’attività lavorativa, modalità di cui l’imputato ben era consapevole; era del tutto normale che, a seconda delle necessità, quando i dipendenti della (…) non erano sufficienti alla bisogna, si facesse ricorso agli operai della (…) al momento disponibili, i quali erano pienamente consapevoli di dover prestare la propria opera. L’infortunio si era dunque svolto a causa e nello svolgimento delle mansioni lavorative dell’infortunato ed evidente era la colpa dell’imputato, suo datore di lavoro, per aver consentito che svolgesse la propria attività in un ambiente privo delle idonee misure di sicurezza.
3. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. Con un primo motivo lamenta che la Corte di Cagliari non abbia dichiarato la prescrizione della contravvenzione antinfortunistica, pur essendo la prescrizione maturata fin dal giudizio di primo grado come riconosciuto in motivazione dalla stessa sentenza di primo grado che però non aveva riportato tale statuizione al dispositivo. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e); sostiene il ricorrente che la motivazione data dai giudici di merito parte da un dato non vero e cioè che i dipendenti della (…) fossero tenuti a svolgere lavori di carpenteria del tipo di quello nel quale si è verificato l’incidente e che egli fosse a conoscenza di una prassi per la quale i dirigenti della (…) impartivano direttamente ordini del genere ai dipendenti della (…); i dipendenti (…), ed in particolare (…), svolgeva l’attività di magazziniere e facchinaggio, e saltuariamente, come dallo stesso dichiarato, aiutava i meccanici; soltanto di questo era a conoscenza il (…) che, invece, assolutamente ignorava l’esistenza della ritenuta prassi più ampia per la quale i dirigenti della (…) impartivano ordini di eseguire lavori anche di carattere straordinario; in realtà l’incidente era avvenuto per colpa esclusiva del (…) che, con un atto assolutamente estraneo al processo produttivo e alle mansioni attribuitegli, si era offerto, come dallo stesso riconosciuto, di fare un pericoloso lavoro di carpenteria; non gli si poteva dunque imputare di non aver messo a disposizione i dispositivi di sicurezza necessari, dispositivi che invece erano regolarmente disponibili presso lo stabilimento per l’attività di magazziniere e facchinaggio.
DIRITTO
Osserva il Collegio che deve essere dichiarata la prescrizione in ordine al al reato contravvenzionale ex art. 35, comma primo, DLgs. 626/1994, contestato al ricorrente al capo b) della rubrica e accertato il 21 ottobre 2003, per essere il medesimo reato estinto per prescrizione. Una analoga statuizione era stata resa nella motivazione della sentenza di primo grado ma non era stata riportata nel dispositivo di tale sentenza e nemmeno era stata resa dalla sentenza di appello, onde correttamente la questione è stata sollevata davanti a questa Corte.
2. Per il resto il ricorso non merita accoglimento, risultando correttamente apprezzata e valutata la responsabilità dell’imputato.
L’accertamento dei fatti effettuato dalle ben motivate sentenze di primo e secondo grado ha consentito di affermare l’esistenza di una prassi per la quale i dipendenti della (…) non si limitavano a svolgere l’attività di facchinaggio e magazziniere che era propria del contratto di appalto stipulato tra le due ditte, ma dovevano offrire e concretamente offrivano la propria disponibilità e collaborazione anche per lavori diversi che si rendevano necessari, e non solo quelli che consistevano nel dare una mano ai meccanici ma in attività di qualunque tipo a seconda delle concrete necessità del momento. E’ di conseguenza corretta l’affermazione di responsabilità del (…), tenuto, secondo pacifici principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, a garantire che il proprio dipendente svolgesse la propria attività in un ambiente di lavoro sicuro e avesse a disposizione idonee attrezzature di sicurezza, laddove invece è risultato provato che i caschi di protezione nemmeno esistevano e che le cinture di sicurezza non venivano in concreto utilizzate o per la fretta o perché non vi erano punti di ancoraggio.
3. Conclusivamente deve essere dichiarata la prescrizione del contestato reato contravvenzionale e il ricorso deve essere nel resto rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato contravvenzionale ex art. 35, comma primo, D.Lgs. 626/1994 per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso nel resto.
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