CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 novembre 2013, n. 25983
Tributi – Imposte dirette – Studi settore – Professionista – Lavoro presso una pubblica amministrazione – Irrilevanza.
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria regionale della Basilicata accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Potenza, ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento per l’anno 1996 con il quale erano stati accertati a carico di G. B. maggiori ricavi derivanti dall’attività di architetto, con conseguente maggiore IRPEF e volume d’affari IVA, secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, ai sensi dell’art. 3, commi 181 e 183, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, mediante l’applicazione dei parametri approvati con il d.P.C.m. 29 gennaio 1996, ed all’esito del contraddittorio instaurato con il contribuente.
Il giudice d’appello rilevato che lo scostamento tra reddito dichiarato e maggiori compensi accertati era di proporzioni importanti, ha ritenuto non meritevoli di accoglimento le ragioni addotte dal contribuente a giustificazione dell’impossibilità che la sua attività di architetto fosse produttiva di un reddito superiore a quello dichiarato, atteso che lo scarso impegno pomeridiano della sua attività di insegnante nell’arco dell’intero anno scolastico e quello, davvero irrisorio, connesso alla sua attività di consigliere comunale di Marsicovetere non costituivano elementi ostativi ad un più ampio esercizio dell’attività di architetto, cui egli poteva aver dedicato una congrua parte del tempo, con effetti proficui sul piano reddituale, considerata anche la non disprezzabile entità della struttura professionale. Nella specie, poi, il contribuente non aveva addotto elementi di crisi intrinseci all’attività esercitata, bensì fattori ad essa estrinseci tali da non esprimere alcuna capacità di incidere sulla redditività dell’attività medesima; non risultavano operare, insomma, le variabili negative che di solito confluiscono nel giudizio globale formulato in materia di accertamenti parametrici, approfondendo doverosamente la quaestio facti e coniugando con essa il principio generale della legittimità formale dell’accertamento.
Nei confronti della decisione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo il contribuente denuncia emessa o insufficiente motivazione.
Il motivo, anche a voler trascurare la mancanza del “momento di sintesi” prescritto dall”art. 366 bis cod proc. civ. per le ipotesi in cui si deducano vizi di motivazione, è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”. Tale procedura di accertamento “costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio – contraddittorio che risulta attivato e svolto nel caso in esame – da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Officio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass., sezioni unite, 18 dicembre 2009, n. 26635).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro 2.025, oltre alle spese prenotate a debito.
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