Corte di Cassazione sentenza n. 2610 del 07 maggio 2012
RAPPORTO DI LAVORO – IMPIEGO PUBBLICO – ISTRUZIONE PUBBLICA E PRIVATA – ESCLUSIONE DALLA GRADUATORIA DEL CONCORSO DI OPERATORE DI POLIZIA MUNICIPALE PER DIFETTO DEL TITOLO DI STUDIO
massima
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La nozione di diploma d’istruzione secondaria di secondo grado non vale per qualunque titolo rilasciato da una qualsiasi scuola, cui si acceda dopo un corso di studi medi inferiori, ma si riferisce ai corsi che si concludono con un esame di maturità o di abilitazione ed aprono l’accesso agli studi universitari od abilitano ad una professione.
Il diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio non può ritenersi equipollente al diploma di abilitazione (o maturità), rilasciato a chiusura dei corsi di scuola secondaria di secondo grado di durata quinquennale, questi ultimi sono validi – Cons. Stato, Sez. VI, 26/07/2005, n. 3992 – per l’accesso ai corsi di laurea universitari ed alle carriere di concetto presso una pubblica amministrazione.
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FATTO e DIRITTO
1.- Con ricorso proposto davanti al TAR del Lazio – Roma A.B. ha impugnato a) la deliberazione della Giunta comunale di C. n. 90 del 20 maggio 2010, recante la riformulazione della graduatoria relativa alla selezione pubblica, per soli esami, per il reclutamento di un operatore di Polizia locale, indetta con bando in data 11 settembre 2006 e approvata con deliberazione della Giunta n. 442 del 12 dicembre 2006, con l’esclusione dalla selezione della stessa B. per carenza del titolo di studio del diploma di scuola secondaria superiore; e b) la determinazione dirigenziale n. 9 del 7 giugno 2010 recante, in attuazione della citata DGC n. 90/10, la risoluzione del rapporto di lavoro con la B. a decorrere dal 1° luglio 2010.
Con la sentenza n. 4952 del 2011 la Sezione seconda ter del TAR del Lazio ha:
– dichiarato inammissibile il ricorso avverso la determina di risoluzione del rapporto di lavoro per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (capo di sentenza non impugnato e coperto dalla forza del giudicato interno); e
– accolto il terzo motivo del ricorso di primo grado giudicando fondata la censura relativa alla violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, con conseguente annullamento del provvedimento di esclusione.
2.- E.P., controinteressata nel giudizio di primo grado, ha appellato la sentenza e questa Sezione, con decisione in forma semplificata n. 4896 del 2011, ha accolto il ricorso in appello giudicando infondati tutti i motivi dell’originario ricorso di primo grado.
La Sezione ha in particolare statuito che:
– il titolo di studio posseduto dall’appellata (diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio conseguito all’esito di un corso triennale) non può essere legittimamente inteso quale diploma di istruzione secondaria superiore a mente del combinato disposto degli articoli 191 e 195 del T.U. n. 297 del 1994;
– nei concorsi per l’accesso a un posto di pubblico impiego i requisiti generali che legittimano la nomina e l’instaurazione del rapporto di lavoro (quale il possesso del pertinente titolo di studio) devono permanere in costanza di servizio: pertanto in materia vige il principio generale in base al quale, nell’ipotesi di mancanza successivamente accertata del requisito legale, indipendentemente dal riscontro di qualsivoglia profilo di colpevolezza del candidato, l’amministrazione deve escludere dal concorso il candidato e dichiarare la decadenza di diritto dalla nomina con la conseguente cessazione del rapporto di servizio, in tal caso il provvedimento essendo atto interamente vincolato;
– in capo al candidato che partecipa a un procedimento concorsuale gravano obblighi di correttezza, fra cui il dovere di cooperare lealmente fornendo tutte le informazioni richieste in modo veridico …: nella specie l’appellata ha violato tali doveri perché, a suo tempo, ha dichiarato di essere in possesso del diploma di scuola secondaria superiore indicando un punteggio in sessantesimi mai conseguito.
3.- Avverso tale pronuncia A.B. ha proposto ricorso per revocazione “ai sensi e per gli effetti dell’art. 106 c. p. a. e dell’art. 395, n. 4, c.p.c.”.
Ad avviso della ricorrente la sentenza costituirebbe l’ingiusto ed erroneo frutto del travisamento di alcune circostanze di fatto, documentalmente provate, che avrebbe portato a un esito del giudizio opposto a quello giusto e corretto che ci si attendeva.
Il primo elemento rilevante ai fini della revocazione consisterebbe nell’avere imputato alla signora B. la violazione di “obblighi di correttezza” , fra cui il dovere di cooperare lealmente fornendo tutte le informazioni richieste in modo veridico, avendo la B. a suo tempo “dichiarato di essere in possesso del diploma di scuola secondaria superiore indicando un punteggio in sessantesimi mai conseguito”, circostanza questa assai significativa per le conseguenze che se ne sono fatte derivare in sentenza in termini di mancata tutela dell’affidamento, essendosi omesso di considerare che la B., prima di essere assunta dal Comune di C., aveva consegnato il proprio titolo di studio all’Amministrazione, e tanto doveva bastare per elidere ogni valutazione di mancanza di correttezza nel comportamento (v. da pag. 13 a pag. 16 ric. per revocazione).
Il secondo elemento (su cui v. da pag. 16 a pag. 20 ric.) riguarda la lettura e il travisamento dell’art. 195 del D.Lgs. n. 297 del 1994, atteso che il Consiglio di Stato, nel ritenere che il diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio conseguito all’esito di un corso triennale non possa essere qualificato come diploma di scuola secondaria superiore in base al combinato disposto di cui agli articoli 191 e 195 del testo unico n. 297 del 1994, ha fatto richiamo, in modo frettoloso, a un proprio precedente, non pertinente, e ha errato giacché il diploma di abilitazione suddetto costituisce diploma di scuola secondaria superiore ai sensi dell’art. 3 del bando.
La ricorrente ha concluso chiedendo alla Sezione di revocare la sentenza in epigrafe, con ogni conseguenze in ordine al ricorso in appello cui la stessa si riferisce.
La P. si è costituita e ha puntualmente controdedotto chiedendo che il ricorso per revocazione sia dichiarato inammissibile e comunque infondato, segnalando, per scrupolo difensivo, che il Consiglio di Stato (sezione VI, nn. 5886/10 e 3992/05) si è ripetutamente pronunciato sulla non equipollenza tra il diploma di abilitazione triennale posseduto dalla ricorrente e il diploma di scuola secondaria superiore (quinquennale).
4.- Premesso che la produzione documentale della B., fatta in prossimità dell’udienza di trattazione del ricorso, è tardiva e, in ogni caso, non appare rilevante ai fini del decidere, il ricorso è chiaramente inammissibile sul piano rescindente.
In via preliminare e in termini generali, premesso che in base a quanto dispone l’art. 395, n. 4), c. p. c. l’impugnazione per revocazione è consentita se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa (e questo errore vi è quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare), va rammentato che, in base a una elaborazione giurisprudenziale ormai sedimentata, il che esime questo Collegio dal segnalare precedenti specifici:
– l’errore di fatto che può dar luogo a revocazione consiste in una falsa percezione, da parte del giudice, della realtà risultante dagli atti di causa, in una svista materiale che abbia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto che obiettivamente non esiste, oppure a considerare inesistente un fatto che, viceversa, risulti positivamente accertato; la lettura e l’interpretazione dei documenti di causa appartiene all’insindacabile valutazione del giudice e non può essere censurata quale errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c. , salvo trasformare lo strumento revocatorio in un inammissibile terzo grado di giudizio; ciò in quanto l’errore di fatto deducibile in sede di revocazione non è ravvisabile qualora si assuma che il giudice abbia omesso di esaminare, su questione oggetto di discussione tra le parti, le prove documentali esibite o acquisite d’ufficio, ovvero abbia proceduto a una erronea e incompleta valutazione delle medesime, siffatta doglianza risolvendosi in una censura di errore di giudizio rientrante nella valutazione complessiva delle produzione documentale, esorbitante in quanto tale dall’ambito della revocazione;
– ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. l’errore di fatto revocatorio deve riguardare un punto non controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice;
– in ogni caso, l’errore di fatto che può dar luogo a revocazione dev’essere stato decisivo ai fini della pronuncia: l’errata percezione deve avere avuto, cioè, un ruolo determinante rispetto alla decisione.
Con riferimento al caso in esame, dalla lettura della sentenza della Sezione n. 4896/11 e dall’esame degli atti e dei documenti di causa non emerge alcun errore di fatto, avendo la ricorrente inteso sindacare nel merito la sentenza della Sezione.
Risulta infatti evidente che:
– la questione sulla quale la ricorrente deduce essere caduto l’errore di fatto (ci si riferisce al primo elemento in contestazione), oltre a essere controversa, e a coinvolgere l’attività valutativa del Giudice, riguardava un aspetto tutt’altro che decisivo del giudizio, avendo la Sezione fondato la propria decisione, essenzialmente:
– (v. lett. f) sent. ) sulla non qualificabilità del diploma posseduto dall’appellata come diploma di scuola secondaria superiore, e
– (v. lett. g) sent.) sul rilievo secondo cui nei concorsi per l’accesso a un posto di pubblico impiego i requisiti generali che legittimano la nomina e l’instaurazione del rapporto di lavoro (quale il possesso del pertinente titolo di studio) devono permanere in costanza di servizio: pertanto, vige in materia il principio generale in base al quale, nell’ipotesi di mancanza successivamente accertata del requisito di accesso, indipendentemente dal riscontro di qualsivoglia profilo di colpevolezza del candidato, l’amministrazione è tenuta a escludere dal concorso il candidato e a dichiarare la decadenza di diritto dalla nomina, con la conseguente cessazione del rapporto di servizio, in tal caso il provvedimento espulsivo essendo atto interamente vincolato;
– il secondo elemento revocatorio, attinente alla qualificazione del “diploma di abilitazione all’insegnamento nelle scuole di grado preparatorio conseguito all’esito di un corso triennale” come “diploma di istruzione secondaria superiore” ex artt. 191 e 195 del T.U. n. 297 del 1994 attiene a una valutazione di stretto diritto, come tale non assoggettabile a rimedio revocatorio (giurisprudenza pacifica).
Le spese, liquidate come in dispositivo a favore della parte intimata costituita, seguono la soccombenza.
Nulla per le spese nei confronti del Comune di C., non costituitosi in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la ricorrente a rimborsare alla intimata costituita E.P. le spese di giudizio liquidate in complessivi euro 2500 (duemilacinquecento), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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