Corte di Cassazione sentenza n. 26139 del 6 dicembre 2011
PREVIDENZA – CONTRIBUTI PREVIDENZIALI – RISCOSSIONE – NOTIFICA CARTELLA ESATTORIALE DA PARTE DEL CONCESSIONARIO – GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE – LEGITTIMAZIONE PASSIVA – INDIVIDUAZIONE
massima
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Nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale, notificata dall’istituto di credito concessionario per la riscossione di contributi previdenziali pretesi dall’INPS, la legittimazione passiva spetta unicamente a quest’ultimo ente, quale titolare della relativa potestà sanzionatoria, mentre l’eventuale domanda in opposizione, attinente a tale oggetto, formulata contestualmente anche nei confronti del concessionario della gestione del servizio di riscossione tributi, deve intendersi come mera “denuntiatio litis” (prevista dall’art. 24 del D.Lgs. n. 46/1999, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 209/2002, convertito in legge n. 265/2002) che non vale ad attribuirgli la qualità di parte ed a far nascere la necessità di un litisconsorzio necessario.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’11 gennaio 2006 il Tribunale di Firenze, accogliendo il ricorso della Casa di Riposo S.L. S.r.l., annullava la cartella esattoriale notificatale dall’Inps, per il recupero di contributi omessi e relativi accessori, pari ad euro 135.661,20, relativi a soci della cooperativa Arcobaleno che, nel periodo tra il 1997 e il 2002, aveva operato all’interno della Casa di Riposo. Appellava l’Inps, resisteva la s.r.l. Casa di Riposo; restava contumace il concessionario E.C. s.p.a.
Con sentenza del 5 agosto 2008, la corte d’appello di Firenze accoglieva il gravame e rigettava la domanda proposta dalla Casa di Riposo S.L. S.r.l.
Riteneva la corte territoriale che la cooperativa avesse svolto una funzione di mero interposto, e che la gestione dei rapporti di lavoro fosse svolta dalla Casa di Riposo, che forniva anche le attrezzature e materiali.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Casa di Riposo, affidato a sei motivi, poi illustrati con memoria.
Resistono l’I.N.P.S. e la E.C. s.p.a con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 331 c.p.c. Lamenta in particolare che la corte di merito non dispose l’integrazione del contraddittorio nei confronti della C. s.p.a., determinando la nullità dell’intero procedimento e della sentenza impugnata.
2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla eccezione di improcedibilità o inammissibilità del gravame per la mancata notificazione del gravame alla società concessionaria. Con il terzo motivo la ricorrente censura anche l’omessa motivazione della corte sul punto.
Ad illustrazione dei motivi formulava i prescritti quesiti di diritto.
3. – I tre motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.
Come più volte rilevato da questa Corte, nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale, notificata dall’istituto di credito concessionario per la riscossione di contributi previdenziali pretesi dall’I.N.P.S., la legittimazione passiva spetta unicamente a quest’ultimo ente, quale titolare della relativa potestà sanzionatoria, mentre l’eventuale domanda in opposizione, attinente a tale oggetto, formulata contestualmente anche nei confronti del concessionario della gestione del servizio di riscossione tributi, deve intendersi come mera “denuntiatio litis” (prevista dall’art. 24 del D.Lgs. n. 46 del 1999 nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 209 del 2002, conv. in L. n. 265 del 2002) che non vale ad attribuirgli la qualità di parte e a far nascere la necessità di un litisconsorzio necessario (Cass. n. 11274 del 2007, Cass. 12 maggio 2008 n. 11687).
Ed invero, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 265 del 2002, l’art. 24, comma 5, del D.Lgs. n. 46 del 1999 dispone che il ricorso vada notificato solo all’ente impositore e non più al concessionario.
La corte territoriale non è incorsa neppure in alcun error in procedendo, dovendosi ritenere l’infondata eccezione implicitamente respinta, né in alcun vizio motivazionale difettando, per le ragioni dette, la decisività della questione (art. 360 n. 5 c.p.c.)
4. – Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione degli artt. 1 e 3 della L. n. 1369 del 1960 in relazione all’art. 2094 c.c.
Lamenta la Casa di Riposo che la corte fiorentina non tenne in adeguato conto che negli appalti c.d. endoaziendali (art. 3) è sufficiente che sussista una organizzazione e gestione autonoma dell’appaltatore; che era inoltre risultato che “alcune” delle socie della cooperativa Arcobaleno erano impegnate in più appalti nel medesimo periodo, sicché dovevano ritenersi dipendenti esclusivamente della Cooperativa.
Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se nell’appalto di servizi, la prestazione (da parte della Cooperativa appaltatrice) di detti servizi in favore di una pluralità di utilizzatori, con impiego delle proprie socie in più sedi, escluda la presunzione di un unico rapporto di lavoro a tempo pieno con uno solo di detti utilizzatori, stante il disposto dell’art. 2094 c.c., e conseguentemente l’interposizione fittizia di mano d’opera”.
Il motivo è inammissibile.
Ed invero la ricorrente, in contrasto col principio dell’autosufficienza, non allega né riproduce in ricorso i documenti da cui le circostanze in questione (peraltro già esposte in modo generico -“alcune delle persone indicate nel documento 3…”) emergerebbero, né indica in quali verbali di causa quelle circostanze siano state riportate.
5. – La Casa di Riposo denuncia inoltre omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e cioè l’effettiva imputabilità ad essa dei rapporti di lavoro in questione, lamentando che negli appalti c.d. endoaziendali è evidente che l’appaltante impartisca ai dipendenti dell’appaltatore istruzioni circa le modalità esecutive del lavoro da svolgere, così come doveva evincersi dalle testimonianze escusse, di cui riportava alcuni stralci.
Il motivo risulta inammissibile, sia per la violazione del principio di autosufficienza, non avendo la ricorrente allegato o riprodotto integralmente i verbali di udienza contenenti le deposizioni testimoniali in questione, sia perché finisce per richiedere alla Corte di legittimità un inammissibile riesame del fatto.
Deve inoltre evidenziarsi che il motivo non contiene, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso, consentendo alla Corte di valutarne immediatamente l’ammissibilità, senza necessità di un’attività interpretativa dell’intero motivo (Cass. 30 dicembre 2009 n. 27680, Cass. 7 aprile 2008 n. 8897, Cass. 18 luglio 2007 n. 16002, Cass. sez. un. 1°ottobre 2007 n. 20603).
6. – Con il quinto ed il sesto motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., sulla contestazione del quantum debeatur.
Lamenta in particolare la Casa di Riposo che dalle deposizioni testimoniali era emerso che non tutte le socie lavoratrici in questione erano state utilizzate dalla ricorrente per tutto il periodo considerato dall’I.N.P.S. (1997-2002), mentre la corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi al riguardo.
Anche tali motivi risultano inammissibili.
In primo luogo per non contenere, il denunciato vizio motivazionale, il momento di sintesi di cui all’art. 366 bis c.p.c. sopra chiarito.
In secondo luogo per non contenere l’attuale ricorso, in contrasto col principio dell’autosufficienza, la trascrizione dei documenti e dei verbali ispettivi richiamati, di cui non risulta neppure l’ubicazione all’interno dei fascicoli di parte, o la specifica indicazione degli atti di causa in cui la ricorrente aveva fatto riferimento a quelle deposizioni.
Alla luce di tali considerazioni, le censure risultano inammissibili finendo per richiedere alla Corte un riesame di fatto, connotando inoltre il denunciato error in procedendo come vizio motivazionale, che non consente alla Corte di esaminare direttamente gli atti processuali.
7. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di lite, nei confronti dell’I.N.P.S. (v. punto 3), seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nulla per le spese nei confronti di E.C., cui il ricorso è stato notificato solo per denuntiatio litis.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, in favore dell’I.N.P.S., pari ed euro 50,00 per esborsi, euro 4.000,00 per onorari, oltre spese generali. Nulla per le spese nei confronti di E.C.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 settembre 2011.
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