CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 novembre 2013, n. 26489
Tributi – Reddito d’impresa – Indennità di clientela – Deducibilità – Nell’esercizio di corresponsione – Thin capitalization – Elusione fiscale – Sussiste
Svolgimento del processo
1. L’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 151/27/10, depositata il 17 dicembre 2010, con la quale questa, rigettato l’appello principale della medesima e l’altro incidentale della società C.W.F. Italia srl. contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione inerente all’avviso di accertamento, relativo all’Ires, Irap e Iva per l’anno d’imposta 2004, veniva accolta solo in parte. In particolare il giudice di secondo grado osservava che i costi attinenti all’indennità di clientela erano deducibili nell’anno in cui erano sorti, come pure andavano dedotti gli interessi passivi attinenti al rapporto di conto corrente, riguardante acquisti e cessioni con la casa madre C.W.F. France, ancorché socia unica della contribuente, rientrando ciò nello schema di convenzione tra esse, che prevedeva quel rapporto di conto corrente fruttifero, mentre invece i debiti su crediti non andavano riconosciuti, perché non di competenza. C.W.F. Italia resiste con controricorso.
2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 109 Dpr. n. 917/86, in quanto la CTR non considerava che l’indennità suppletiva di clientela, attribuita agli agenti di commercio, costituiva una componente aleatoria, atteso che essa non era determinata nel suo preciso ammontare, né v’era certezza che sarebbe stata corrisposta, altrimenti tale meccanismo violerebbe il principio della competenza, e quindi non poteva portarsi in detrazione se non solo nell’anno di corresponsione, altrimenti i contribuenti potrebbero differire il pagamento delle imposte a loro piacimento, con incertezza sulla realizzazione delle entrate da parte dell’Erario.
Il motivo è fondato. Infatti in tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’art. 75, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, disponendo che i ricavi ed i costi di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare vanno imputati all’esercizio in cui si verificano tali condizioni, esclude la deducibilità di provvigioni non ancora certe e determinate nella loro debenza e nel loro ammontare, in quanto contrattualmente condizionate al buon fine delle prestazioni, non ricorrendo, fino al momento in cui dette prestazioni non siano ultimate effettivamente, il requisito della certezza, normativamente prescritto ai fini dell’imputabilità ai costi di esercizio (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 23361 del 30/10/2006, 7690 del 2003). Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 98 Dpr. n. 917/86, giacché il giudice di appello non considerava che la posizione della contribuente si era rivelata sempre debitoria nei confronti della socia d’oltralpe nel rapporto di conto corrente, per il quale il saldo delle fatture avveniva sempre oltre il previsto termine di 60 giorni, con ciò sostanzialmente determinandosi una situazione di elusione mediante il lucro insito nella deduzione degli interessi passivi mediante il c.d. sistema del “thin capitalization”, normativamente non consentito ex art 98 Dpr. n. 917/86.
La censura va condivisa. Invero risultava che la C.W.F. pagava i propri debiti a oltre 60 giorni dalle fatture, sicché il continuo procrastinarsi dei tempi di soluzione non poteva non fare evincere un intento lucrativo in ordine alla deduzione degli interessi passivi, specie ove si consideri la strettissima cointeressenza delle società strettamente collegate, facenti cioè parti dello stesso gruppo di cui era a capo proprio quella francese. Infatti la “thin capitalization” o capitalizzazione sottile consiste nella sottocapitalizzazione di una società rispetto all’attività d’impresa esercitata, e nel contestuale finanziamento della stessa con apporto di capitale di credito da parte dei soci qualificati.
L’operazione si presta a trasformare dividendi in interessi passivi per la società partecipata e attivi per i soci qualificati; per questo motivo il legislatore fiscale ha ritenuto regolamentarla .
Il vantaggio fiscale ottenibile da tale trasformazione di flussi reddituali consiste:
a. per la società partecipata, nell’imposta che la stessa risparmia grazie alla deducibilità dal suo reddito di impresa degli interessi passivi corrisposti ai soci, rispetto alla diretta corresponsione di dividendi fiscalmente indeducibili;
b. per i soci qualificati, nel minore o nullo ammontare dell’imposta che gli stessi assolvono sugli interessi attivi percepiti rispetto all’ammontare di quell’altra che avrebbero scontato sui dividendi.
Occorre tuttavia precisare che, ancorché la norma è stata abolita dalla Finanziaria 2008 L. 244/2007 comma 33 e 34, con la riscrittura completa dell’art. 96 del TUIR, in vigore dal periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, essa non ha efficacia retroattiva rispetto all’annualità d’imposta in argomento.
Perciò anche su tale punto la decisione impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
4. Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
5. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia, altra sezione, per nuovo esame.
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