CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2013, n. 26750

Tributi – Imposta di registro – Agevolazioni fiscali – Finanziamenti bancari – Durata minima – Revoca del finanziamento prima dei diciotto mesi – Recesso ad nutum della banca – Perdita delle agevolazioni – Sussistenza

Svolgimento del processo

Con avviso di liquidazione in data 3.6.2003, l’Agenzia del Territorio revocava nei confronti di N.A. e V. D. i benefici fiscali previsti dall’art. 15 del dPR n. 601 del 1973, per violazione del termine minimo di durata, connesso alla previsione della facoltà di recesso ad nutum, da parte della banca erogatrice. II ricorso dei contribuenti è stato accolto dalla CTP di Sassari, ma, in esito all’appello dell’Ufficio, la decisione è stata riformata, con sentenza n. 119/9/08 depositata il 14.10.2008, dalla CTR della Sardegna, Sez. staccata di Sassari, avverso la quale i contribuenti ricorrono con quattro motivi. L’Agenzia del Territorio resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo, i ricorrenti deducono l’insufficienza della motivazione, ex art. 360, 1° co, n. 5 cpc, sostenendo che l’impugnata sentenza non ha tenuto conto che la clausola di recesso ad nutum non è prevista dal contratto di finanziamento, ma dall’art. 6 delle norme che regolano il sottostante e diverso contratto di conto corrente, che è solo lo strumento giuridico attraverso il quale sono disciplinate le obbligazioni derivanti dalla concessione del credito, da parte della banca.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 15 e 17 del dPR n. 601 del 1973, ex art. 360, 1° co, n. 3 cpc. I ricorrenti affermano che, dal punto di vista oggettivo, l’agevolazione va concessa in costanza di un’operazione di finanziamento a medio o a lungo termine, e tale deve ritenersi quella che è contrattualmente stabilita in un tempo pari a 18 mesi ed un giorno, essendo del tutto irrilevanti le successive vicende contrattuali. A tale principio, proseguono i ricorrenti, non si è uniformata la sentenza impugnata, che non ha tenuto conto che, per contratto, il finanziamento aveva una durata di venti anni, non potendo in contrario considerarsi né la facoltà di recesso per giustificato motivo, prevista dall’art 2 del contratto di finanziamento – che non costituisce un recesso ad nutum ed è compatibile con l’agevolazione-, e neppure l’art. 6 del contratto di conto corrente, che è inapplicabile all’operazione di finanziamento.

3. Col terzo motivo, si deduce la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cc, in relazione all’art. 360, 1° co, n. 3 cpc, per non avere i giudici d’appello tenuto conto che, in base ai detti canoni ermeneutici, la volontà delle parti era chiaramente desumibile esclusivamente dal “principale contratto di finanziamento”, potendo le norme sui conti correnti di corrispondenza (in esse compreso l’art 6 citato), pur “parte integrante del contratto medesimo”, applicarsi, solo, se non divergenti dalla volontà dei contraenti, quale espressa nel contratto di finanziamento.

4. Col quarto motivo, i ricorrenti lamentano, nuovamente, la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cc, ribadendo che, in base all’art. 4 del contratto di finanziamento, le norme sui conti correnti di corrispondenza si applicano “solo ed esclusivamente laddove nulla è disposto ovvero solo ed esclusivamente se non in contrasto con la volontà delle parti, che era palesemente quella di porre in essere un finanziamento a medio e lungo termine”.

5. Il primo, il terzo ed il quarto motivo, che, per la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.

6. Secondo l’art. 4 del contratto di finanziamento, quale trascritto a pag. 6 del ricorso, le norme generali che regolano i conti correnti di corrispondenza ed i servizi connessi, (il cui art. 6 consente all’istituto di credito la facoltà di recesso ad nutum) sono richiamate e costituiscono parte integrante del contratto di finanziamento stesso, “se non in contrasto con quanto oggi convenuto tra le parti”.

7. Nell’affermare che “nel contratto in esame” era prevista la possibilità per l’istituto di credito “di recesso svincolata da inadempimento o ritardo”, la CTR ha interpretato la volontà delle parti ritenendo, appunto, che la clausola del recesso ad nutum costituisse parte del regolamento contrattuale.

8. L’assunto dei ricorrenti, secondo cui, così opinando, la CTR avrebbe infranto i principi in tema d’interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362, 1363 e 1366 cc, non esplicita in che modo quei giudici avrebbero deviato da dette norme (eloquente al riguardo è il richiamo indifferenziato ai precetti invocati, contenuto nel quesito a corredo del quarto motivo), né, in particolare, espone in che modo la circostanza che la controversa clausola sia contenuta nella disciplina del contratto di conto corrente piuttosto che in quella del contratto di finanziamento – che pur richiama la prima – osterebbe alla conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito, alla stregua, beninteso, dei menzionati canoni ermeneutici.

9. Il dedotto vizio motivazionale è insussistente: la conclusione cui è pervenuta la CTR, di cui al punto n. 7, è esposta con motivazione stringata, ma sufficiente a fame comprendere le ragioni, risultando chiaro l’iter logico giuridico seguito dai giudici d’appello per pervenire alla loro decisione.

10. Nel perorare l’inapplicabilità della facoltà di recesso senza giustificato motivo, le censure tendono, in conclusione, a sollecitare, in questa sede, un’inammissibile interpretazione della convenzione diversa da quella operata dalla CTR (come si deduce dall’esame del quesito a conclusione del terzo motivo, che si riferisce, in modo diretto, alle clausole contrattuali), in violazione del consolidato principio (cfr. Cass. n. 10131 del 2006; n. 24539 del 2009; n. 16254 del 2012), secondo cui in materia di interpretazione del contratto, né la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica né dei vizio di motivazione può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, in quanto, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili.

11. Il secondo motivo è infondato. In base all’art. 15, u.c., del dPR n. 601 del 1973, per “operazioni di credito a medio e lungo termine” – beneficiami dell’esenzione dalle imposte e dalla tassa indicate nel primo comma dalla stessa norma e sottoposte all’applicazione dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 17 a carico degli enti che le effettuano – si intendono quelle operazioni di “finanziamento la cui durata contrattuale sia stabilita in più di diciotto mesi”.

12. Questa Corte (Cass. n. 1585 del 1994, n. 4792 del 2002, n. 14046 del 2006; n. 28879 del 2008) ha condivisibilmente affermato che ciò che assume rilievo, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione, è l’assunzione di un vincolo negoziale per un arco di tempo minimo stabilito dalla legge, indipendentemente dal successivo evolversi dalle vicende del rapporto, sicché la previsione, nel contratto di finanziamento, di una clausola in base alla quale l’azienda di credito ha, come nella specie, la facoltà di recedere unilateralmente e senza preavviso anche prima della scadenza dei diciotto mesi (della facoltà di recesso per giustificato motivo la sentenza non tratta) priva dall’origine il credito della sua natura temporale (medio lunga), richiesta dalla norma di agevolazione tributaria, degradando la durata del rapporto ad elemento variabile in funzione dell’interesse dell’azienda di credito.

12. Il ricorso va respinto.

13. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 2.200,00, oltre a spese prenotate a debito.