CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2013, n. 26856
Lavoro subordinato – Lavoro autonomo e lavoro subordinato – Lavoro parasubordinato – Avvocato – Compagnia assicurativa – Controversia sui compensi
Svolgimento del processo
Con decreto ingiuntivo dell’11/5/2004 il Giudice di Pace di Napoli ingiungeva ad A. S.p.A. di pagare all’avvocato Carmela P. F. la somma di euro 280,94 oltre spese, dovuta, a dire della ricorrente, per attività di difensore svolta in un processo nel quale era convenuta l’A. L’ingiunta proponeva opposizione al decreto ingiuntivo e la causa era decisa dal Giudica di Pace di Napoli che, in accoglimento dell’opposizione, dichiarava la nullità del decreto per incompetenza per materia e rimetteva la causa al giudice del lavoro, ritenendo trattarsi di controversia relativa ad un rapporto di lavoro parasubordinato ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c. L’avvocato P. F. proponeva appello chiedendo l’accoglimento delle domande di merito previa declaratoria della competenza del Giudice di Pace; l’appellante deduceva inoltre che sulla competenza sì era formato un giudicato esterno. A. chiedeva il rigetto dell’appello ribadendo che la prestazione professionale era stata resa nell’ambito di un rapporto di lavoro parasubordinato.
Con sentenza del 3/3/2007 il Tribunale di Napoli, decidendo quale giudice di appello, rigettava il gravame.
Il giudice di appello premette, in diritto, che sussiste la parasubordinazione quando l’attività professionale di assistenza e patrocinio, di natura prevalentemente personale è svolta dall’avvocato in modo non occasionale, ma coordinato e continuativo. In fatto il giudice di appello rileva che la natura personale dell’attività svolta è insita nel tipo di attività e non è neppure contestata e che:
– il rapporto si è svolto in modo continuativo perché lo stesso avvocato sia nel ricorso per decreto ingiuntivo, sia in altro processo ha riconosciuto, come del resto affermato anche da A., che l’attività professionale per A. si è svolta per un periodo ininterrotto dì sei^^inni dal 1997 al 2003, durante i quali l’avvocato non solo ha assistito, rappresentato e difeso la compagnia assicuratrice, ma ha anche intrattenuto tutti i rapporti con il suo Ispettorato di Napoli;
– il rapporto si è svolto, secondo il giudice di appello, in modo coordinato per quanto emerge dai fatti narrati negli atti e dai documenti prodotti, non disconosciuti, dai quali risulta che l’avvocato concordava con la società e per essa con il suo Ispettorato le strategie processuali in ordine alle quali rendeva puntuale informativa diretta a consentire alla società di impartire le direttive di massima in ordine alle modalità di gestione de processi affidati;
– che dallo stesso fac-simile dell’incarico conferito risulta che l’avvocato era tenuto a contestare genericamente la domanda, il fatto storico, l’an e il quantum debea tur e ad eccepire la carenza di legittimazione passiva, la mancata presentazione della denuncia di sinistro, il rifiuto di sottoposizione a perizia del veicolo; il giudice di appello prosegue osservando che nel fac simile dell’incarico, prodotto in causa, la Compagnia dichiarava di restare in attesa di copia della comparsa di costituzione e risposta.
Il Tribunale valorizza, sotto questo profilo, anche l’accettazione dei minimi tariffari e tre documenti nei quali, rispettivamente, si inviava la comparsa di risposta per la lettura delle eccezioni in rito e in diritto, si restava in attesa di disposizioni in ordine alla cancellazione della causa dal ruolo, si informava la Compagnia, in relazione ad una proposta transattiva, che la controparte aveva assunto un teste falso.
Il Tribunale rileva ancora:
– che la causa non poteva essere decisa nel merito e il decreto opposto doveva essere annullato per la dichiarata incompetenza per materia anche al mutamento del rito in quello di cui agli artt. 28 e 29 L 794/1942 onde ottenere l’ordinanza prevista dalla specifico rito camerale;
– che i precedenti decreti ingiuntivi del Giudice di Pace, passati in giudicato per mancata opposizione, non costituivano giudicato esterno sulla competenza sulla quale non era intervenuta alcuna decisione in quanto la questione non era mai stata proposta ed inoltre erano contraddetti da ulteriori, pronunce rese in giudizi di opposizione a decreti ingiuntivi nella quali era stata ritenuta l’incompetenza per materia.
L’avvocato P. F. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo nel quale sono congiuntamente dedotte violazioni di norme processuali e sostanziali e vizi di motivazione.
INA A. ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 409 e 414 c.p.c., dell’art. 7 c.p.c., dell’art. 38 c.p.c, degli artt. 633 e ss. c.p.c, degli artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2229 e ss e dell’art. 2697 c.c., nonché il vizio di motivazione.
La ricorrente sostiene:
che non era provato il rapporto di parasubordinazione;
– che di conseguenza era stata illegittimamente dichiarata l’incompetenza per materia del giudice adito in favore del giudice del lavoro;
– che gli elementi ritenuti rilevanti dal giudice di appello per la prova della parasubordinazione (l’invio alla cliente della comparsa di costituzione e risposta, atto normale nel rapporto tra cliente e avvocato o il fac simile di incarico che non poteva avere attinenza ad ogni singola controversia), non erano, invece, rilevanti;
– che non era provata l’accettazione dei minimi tariffari, che non era provato l’inserimento nell’organizzazione aziendale attraverso l’assoggettamento a ingerenze e direttive. Formulando il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c, ora abrogato, ma applicabile ratiene temporis, la ricorrente chiede:
– se il rapporto professionale che si instaura tra il professionista e una compagnia di assicurazioni per la costituzione di essa compagnia in distinti e autonomi giudizi promossi contro la stessa sia da qualificarsi di natura parasubordinata ex art. 409 c.p.c. pur in mancanza di qualsivoglia prova in proposito da parte V della Compagnia di Assicurazioni, di tanto onerata in presenza di una espressa contestazione in proposito formulata dal Professionista interessato, dell’esistenza dei relativi presupposti;
se per ottenere il pagamento di una somma costituente corrispettivo di tal genere il professionista creditore della predetta Compagnia di assicurazione debba rivolgersi per ragioni di competenza per materia, al Giudice del Lavoro.
1.1. Il giudice di appello ha applicato, in diritto, i principi affermati da questa Corte secondo i quali perché sia configurabile un rapporto dì collaborazione ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c., con conseguente devoluzione della controversia alla competenza per materia del tribunale quale giudice del lavoro, devono sussistere tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante del prestatore a favore del committente; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull’opera svolta dai collaboratori e sull’utilizzazione di una struttura di natura materiale (cfr. Cass. 9/7/1988 n. 4546, Cass. 9/3/2001 n. 3485 Cass. 19/4/2002 n. 5698).
Più recentemente questa Corte (Cass. sez. L 27/9/2010 n. 20269) giudicando sull’applicazione dell’art. 429 comma 3 c.p.c. alle prestazioni di un avvocato che espletava l’attività giudiziale e stragiudiziale di recupero crediti di una società, ha valorizzato l’elemento della continuità e della coordinazione delle prestazioni eseguite per conto di una società.
Con particolare riferimento al requisito della coordinazione, il giudice di appello non ha disatteso i suddetti principi e non ha omesso di motivare, ma al contrario, ha supportato la su decisione con una adeguata motivazione valutando complessivamente gli elementi documentali rilevando che l’avvocato concordava con l’ispettorato della Compagnia le strategie processuali in ordine alle quali rendeva puntuale informazione finalizzata a consentire alla Compagnia di impartire le direttive di massima; ha ravvisato una conferma degli assunti della Compagnia in alcuni documenti nei quali la Compagnia dava indicazioni sul comportamento processuale (il fac simile di un incarico) il contenuto di una nota con la quale era inviata la comparsa di costituzione con la specificazione che vi si potevano leggere le eccezioni in rito e in diritto sollevate e altre due note rispettivamente di richiesta di disposizioni per la cancellazione dal ruolo e di informativa.
Questa Corte ha affermato che ai fini dell’applicazione dell’art. 409 n. 3 c.p.c. il requisito del coordinamento altro non significa se non che il collaboratore autonomo deve svolgere la sua attività in connessione o collegamento con l’azienda preponente per contribuire al raggiungimento delle finalità cui essa mira; nel caso in cui la prestazione continuativa e personale sia quella di un avvocato, il coordinamento va ravvisato “qualora l’attività del^^legale, in relazione all’inserimento nell’organizzazione aziendale del preponente e al collegamento con gli scopi di essa, sia assoggettata ad ingerenza e direttive pur compatibili con l’autonomia professionale” (Cass., Sez. Un., 5 giugno 1989, n. 2698).
Alla configurabilità del requisito del coordinamento della prestazione svolta dal legale non ostano tuttavia “né la mancanza di direttive diverse dall’indicazione del risultato da ottenere, attesa oltretutto la ben difficile compatibilità delle medesime con la natura professionale dell’attività, né la mancanza di un precedente contratto di clientela e l’unicità dell’incarico conferito al professionista” (Cass. 15 aprile 1991, n. 4030).
Come detto, in punto di diritto il giudice di appello, sulle base degli elementi di fatto anche indiziari, non si è discostato dagli enunciati principi.
L’affermazione della ricorrente secondo le quali il giudice avrebbe errato nel ritenere prova della parasubordinazione quando la prova non risultava dagli atti di causa, non può fondare l’accoglimento del motivo sotto il profilo dell’omessa pronuncia o dell’error in procedendo o dell’omesso esame dì un punto decisivo, perché nella sentenza si dà conto degli elementi istruttori posti a base della decisione e che nella valutazione dei merito del giudice dimostrano in positivo la parasubordinazione.
la ricorrente contesta inoltre che alcuni elementi istruttori (l’invio della copia della comparsa di costituzione, il fac simile di incarico, i minimi tariffari, in mancanza di prova della loro accettazione) utilizzati per la decisione non sarebbero rilevanti e che mancherebbe la prova di una attività svolta in connessione o collegamento con il preponente.
La censura, nella sostanza attinge la valutazione del materiale probatorio complessivamente considerato.
Per quanto attiene agli elementi istruttori che si assumono non rilevanti, occorre osservare che la ricorrente isola i singoli elementi istruttori e così operando ne evidenzia la loro inidoneità a costituire una prova, tuttavia gli elementi istruttori devono essere considerati e valutati complessivamente, come bene ha fatto il giudice di appello e non isolandoli dal complesso delle circostanze di fatto.
Per quanto attiene la mancata prova dell’accettazione dei minimi tariffari, il Tribunale ha dato adeguata motivazione osservando l’avvocato accettava i minimi di tariffa secondo un accordo rispettato per tutto l’arco di tempore come afferma, senza smentite, la difesa dell’appellata”; la contestazione secondo la quale non vi sarebbe la prova dell’accettazione dei minimi tariffari non attinge, dunque, la motivazione fondata sulla non contestazione.
Anche in ordine alla prova dell’elemento della coordinazione il Tribunale, come detto in precedenza, ha motivato congruamente.
Ciò premesso, si deve concludere che il presupposto di fatto (mancanza della prova degli elementi della parasubordinazione) sul quale è fondato il ricorso con i conseguenti quesiti è espressamente smentito dal giudice di appello il quale, con motivazione adeguata e con l’applicazione di principi coerenti con la giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto invece sussistenti e provati proprio quegli elementi.
2. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna Carmela P. F. a pagare a INA A. S.p.A. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in euro 1.000, 00 per compensi oltre euro 200,00 per esborsi.
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