CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2013, n. 27093
Tributi – IVA – Riscossione – Eredi – Rinuncia all’eredità dopo l’accertamento – Rilevanza
Osserva
La CTR di Milano ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 19/05/2006 della CTP di Bergamo che aveva accolto il ricorso di Z.A. – ed ha perciò annullato la cartella di pagamento concernente sanzione per omesso versamento di IVA (accertata con avviso divenuto definitivo per mancanza di impugnazione e non versata) relativa all’anno 1998. L’avviso in questione era stato notificato alla Z. quale esercente la potestà di genitore su G.D che era ritenuto responsabile per l’obbligazione di imposta siccome erede di G.
La CTR ha motivato la propria decisione sul rilievo che la cartella, per quanto inequivocabilmente diretta alla Z., non ne specificava la qualità di coobligata, ciò che sarebbe stato elemento essenziale per l’individuazione del soggetto contro cui si agisce. La Z. infatti non era mai stata soggetto dell’obbligazione tributaria ma aveva acquistato la qualità di coobligato “poiché genitore convivente” del G.D., il quale ultimo neppure era mai stato obbligato, siccome mai era divenuto erede dell’originario debitore.
L’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata si è difesa con controricorso.
Il ricorso ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc. Infatti, con il secondo motivo di censura (improntato alla violazione dell’art. 60 comma 1 del DPR n.633/1972; dell’art. 13 commi 1 e 2 del D.Lgs. 471/1997;
dell’art. 11 del D.Lgs.472/1997) la parte ricorrente – dopo avere dato atto che la questione controversa attiene a sanzione per tardato o omesso pagamento dell’imposta derivante dalla definitività del provvedimento di accertamento non impugnato destinato a G.D. – evidenziava che la cartella era stata notificata alla Z. alla luce della previsione dell’art. 11 del D.Lgs.472/1997, il quale prevede l’autonoma responsabilità del rappresentante legale della persona fisica che non assolva all’obbligo connesso con il suo ufficio, sebbene anche la persona nell’interesse della quale la violazione è stata commessa è tenuta al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata. La sanzione era stata dunque correttamente irrogata alla Z. e la cartella era stata del tutto legittimamente destinata a quest’ultima in proprio quale autrice materiale della violazione, sicché il giudicante aveva errato a ritenere che la cartella dovesse contenere l’indicazione della qualità di coobligata.
Il motivo appare fondato e va accolto, essendo le premesse in fatto della questione di diritto pacifiche tra le parti, ed in specie per ciò che concerne la qualità della Z. di legale rappresentante della persona legalmente obbligata all’adempimento dell’obbligo di imposta, qualità alla cui stregua la stessa Z. è stata destinataria della sanzione connessa con l’omesso tempestivo versamento dell’imposta accertata con provvedimento ormai definitivo (senza possibilità, perciò, di riesame della questione circa la qualità di erede del G.).
Sul punto controverso, con indirizzo ormai costante questa Corte ha ritenuto (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13998 del 12/11/2001) che:”L’art. 12 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, in tema di repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, con riguardo alle infrazioni che comportano soprattassa o pena pecuniaria, commesse da persone fisiche che abbiano la rappresentanza di enti privati forniti di personalità giuridica, prevede la responsabilità solidale dell’ente, in aggiunta a quella dell’autore dell’illecito, mentre non contempla l’ipotesi inversa, con la conseguenza che, alla stregua della predetta disposizione, in caso di infrazioni direttamente imputabili all’ente quale soggetto passivo del rapporto tributario, sia pure in forza di atti o comportamenti del suo organo, resta esclusa la possibilità di affermare la responsabilità del rappresentante in solido con quella del rappresentalo.
Il principio della identificazione del trasgressore, soggetto passivo della sanzione, con l’autore materiale della violazione risulta, invece, accolto più di recente dal legislatore con il D.Lgs n. 472 del 1997, abrogativo, tra l’altro, della descritta normativa, che, all’art. 2, comma secondo, considera la persona fisica che ha posto in essere il comportamento trasgressivo come unico centro d’imputazione della sanzione, e, all’art. 11, ha poi esteso la responsabilità dell’autore della violazione, in via solidale, al contribuente, che ben può essere un ente, con o senza personalità giuridica”.
La pronuncia impugnata, che non si è attenuta agli anzidetti principi va dunque cassata nella parte in cui ha ritenuto viziata di nullità la cartella per un inesistente vizio suo proprio sicché la Corte potrà anche decidere nel merito la lite -respingendo l’impugnazione della contribuente – non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Che la predetta relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
che la sola parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa nella quale ha insistito per il rigetto del ricorso avversario ed ha contestato la proposta di decisione contenuta nella relazione;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, non condividendo gli argomenti proposti dal relatore a sostegno della proposta di accoglimento del ricorso, osserva:
Il nucleo argomentativo su cui si fondano le determinazioni del giudice di appello consiste nel rilievo che in capo al G.D. (in relazione al quale la Z. aveva acquisito la qualità di “coobligata”, siccome “genitore convivente”) non era “mai sorta l’obbligazione tributaria, poiché questi non è mai divenuto erede dell’originario debitore”, sicché la cartella doveva ritenersi viziata per essere rivolta ad un soggetto – la Z.A., che nella cartella era erroneamente indicata come soggetto d’imposta – che non poteva ritenersi obbligato.
A fronte di questo accertamento di fatto, il primo motivo di impugnazione proposto dall’Agenzia (centrato sulla violazione dell’art. 19 comma 3 del D.Lgs. 546/1992, siccome la cartella non era stata impugnata per vizio proprio ma per contestare le premesse dell’avviso di accertamento ormai definitivo) appare in primo luogo privo del carattere di autosufficienza (poiché nulla di specifico vi si riferisce in ordine al contenuto dell’avviso di accertamento come atto presupposto di siffatta cartella) ed in secondo luogo infondato, perché il giudice del merito ha esplicitamente dato atto che il difetto di correlazione tra il provvedimento di accertamento e la conseguente cartella esattoriale era da addebitarsi ad un fatto sopravvenuto rispetto all’adozione dell’avviso di accertamento (e cioè la rinuncia all’eredita da parte del G.i, in data 8.6.2007 e con le modalità esplicate nella parte narrativa della sentenza impugnata che la ricorrente non ha in alcun modo contestato), sicché non vi è ragione di escludere che il giudicante avesse il potere di annullare la cartella di pagamento, per un vizio suo proprio, indipendentemente dalla definitività dell’avviso di accertamento, la cui efficacia (nei confronti del G.D.) è stata dal giudicante ritenuta soggetta alla condizione risolutiva della menzionata rinuncia all’eredità da parte di quest’ultimo, – con conseguente vizio di “erronea individuazione del soggetto titolare di imposta” – determinazione che non ha ricevuto nessuna specifica censura da parte della odierna ricorrente.
Venendo perciò al secondo motivo di ricorso (che si è detto essere improntato alla violazione dell’art.60 comma 1 del DPR n.633/1972; dell’art. 13 commi 1 e 2 del D.Lgs. 471/1997; dell’art. 11 del D.Lgs.472/1997) l’assunto di parte ricorrente è fondato sul fatto che l’ufficio abbia “correttamente irrogato, nei confronti della signora Z., la sanzione del trenta per cento accertata e divenuta definitiva”, sicché “erroneamente” la CTR ha ritenuto che la cartella di pagamento dovesse indicare la qualità di coobligata, anziché considerarla come diretta responsabile dell’omesso pagamento per essere stata autrice della violazione, sia pure nella qualità di rappresentante legale dell’effettivo obbligato al pagamento dell’imposta (e cioè il figlio minore G.D.).
Orbene, da parte il dubbio se un siffatto “errore” imputato alla CTR debba costituire oggetto di una censura centrata sulla violazione di legge ovvero sul vizio di motivazione, ciò che conta concretamente mettere in rilievo è che la ricostruzione della vicenda di fatto prospettata dalla parte ricorrente come premessa della richiamata censura appare del tutto difforme da quella che può ricavarsi (non senza difficoltà) dalla sentenza impugnata e che non è stata oggetto di esplicita censura da parte dell’Agenzia ricorrente, se non – appunto – come divergente ricostruzione delle premesse di fatto.
Risulta invece dalla narrativa dei fatti di causa contenuta nella pronuncia qui impugnata (che costituiscono la premessa logica delle determinazioni conclusive adottate dalla CTR) che l’accertamento e la cartella di cui qui si tratta si riferiscono ad IVA non versata relativa all’anno 1998, epoca nella quale è da escludersi che la Z. potesse considerarsi “personalmente” obbligata al versamento omesso, sia pure nella veste di legale rappresentante del minore, proprio atteso che è sempre la sentenza qui impugnata a riferire che nell’accertamento presupposto della cartella sia la Z. che il G.D. erano stati attinti come soggetti di imposta nella sola qualità di “erede di G. S.”.
Non vi è dunque emergenza alcuna (che sia stata debitamente delucidata dalla parte ricorrente, in ossequio al canone dell’autosufficienza) che consenta di supporre che la Z. sia stata attinta dall’accertamento prima e dalla cartella poi per ragione di una violazione commessa in prima persona, con la inevitabile conseguenza della impossibilità di fare applicazione alla fattispecie di causa delle norme che sono richiamate dalla patte ricorrente a sostegno del secondo motivo di impugnazione, che è da considerarsi perciò infondato.
Alla declaratoria di rigetto conseguenza condanna alla rifusione delle spese di questo grado.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 3.000,00 oltre € 100,00 per esborsi ed accessori di legge.
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