CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 dicembre 2013, n. 27198
Tributi – IVA – Detrazione – Impresa che non opera per la crisi – Beneficio fiscale – Sussiste
Svolgimento del processo
Con avvisi di rettifica parziale IVA notificati da parte dell’Agenzia delle Entrate, l’Ufficio contestava alla G.I. srl quale incorporante delle società L.L. ed E. di non avere diritto alla detrazione dei crediti di imposta in relazione all’acquisto di un capannone industriale (lo stesso per entrambe le società e per entrambi gli anni) in quanto esse sin dalla loro costituzione e fino all’incorporazione non risultavano avere mai svolto le operazioni commerciali oggetto dell’attività dichiarata cioè fabbricazione di poltrone e divani.
La contribuente presentava ricorso avverso gli avvisi di rettifica davanti alla Commissione Tributaria provinciale di Bari la quale rigettava il ricorso pur in presenza di condono per il periodo di imposta in questione rilevando la mancanza di prova contraria circa l’inoperatività delle due società.
Su ricorso in appello proposto dalla società contribuente, la Commissione tributaria regionale delle Puglie, con sentenza nr. 121/05/05 depositata in data 3/1/2006, riformava la sentenza di primo grado e dichiarava infondata la pretesa tributaria stante il perfezionamento dell’istanza di condono ex art. 9 comma 10 legge 289/2002. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale delle Puglie ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con tre motivi e la società G.I. srl ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 9 legge 289/2002 in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 cpc in quanto la CTR ha ritenuto che il condono preclude ogni accertamento tributario sia in ordine ai debiti che in ordine ai crediti.
Il motivo è fondato in quanto (Sez. 5, Sentenza n. 375 del 12/01/2009 Presidente: Cicala M. Estensore: Magno) “In tema di condono fiscale, la previsione dell’art. 9, comma 9, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, per il quale la definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, se comporta che nessuna modifica di tali importi può essere determinata dalla definizione automatica, non sottrae all’ufficio il potere di contestare il credito. Pertanto, quando sia stato chiesto rimborso dell’IVA e l’ufficio abbia motivo di ritenerla mai versata, trattandosi di operazioni inesistenti, l’Erario non è tenuto, automatico effetto del condono, a procedere al rimborso, né gli è inibito l’accertamento diretto a dimostrare l’inesistenza del diritto a conseguirlo, atteso che il condono fiscale elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, i quali restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’ufficio.”Resta da chiarire che il potere di accertare e valutare i crediti al fine di disconoscere eventualmente il diritto al rimborso deve ritenersi legittimo non solo in caso di operazione inesistenti ma anche, come nella fattispecie, di acquisto di un bene come il capannone non inerente all’attività d’impresa. Tuttavia nella fattispecie la fondatezza del motivo non opera a favore della ricorrente Agenzia per quanto di seguito esposto.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 53 e 57 D.L.gs 472/97 ed art. 2697 cc in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 cpc, fin quanto la CTR ha ritenuto che le società, che sin dalla loro costituzione e fino all’incorporazione non risultavano avere mai svolto le operazioni commerciali oggetto dell’attività dichiarata cioè fabbricazione di poltrone e divani, non portavano avanti l’iniziativa economica solo perché costrette a causa di circostanze economicamente sfortunate quali la crisi finanziaria o le fluttuazioni di mercato.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 30 legge 724/94 e 45 legge 662/96 ed art. 2697 e 2727 cc in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3 cpc in guanto la CTR ha ritenuto che le società non si trovavano in un periodo di normale svolgimento dell’attività per situazioni di carattere straordinario che tuttavia la società contribuente non aveva mai provato.
Il secondo e terzo essere trattati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati e devono essere respinti. Infatti poiché risulta pacifico l’inoperatività della società contribuente, spetta all’Ufficio l’onere della prova in ordine alla illiceità fiscale della operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo ipotizzare circostanze non provate.
Infatti secondo sez. 5, Sentenza n. 5739 del 16/03/2005) Presidente: C. O. F.
Estensore: Sotgiu S. ” La detrazione dell’IVA regolata dall’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, connessa all’inerenza dei “beni o servizi acquistati o importati” all’attività d’impresa, è configurabile, in presenza di documentate spese di investimento, sostenute in vista dello svolgimento di attività lucrativa articolata in un’iniziativa complessa e quantitativamente rilevante, anche in assenza di operazioni attive, non potendo escludersi che una società intenda perseguire lo scopo per cui è stata costituita solo perché costretta ad una stasi da una temporanea crisi finanziaria o da fluttuazioni del mercato (la sentenza impugnata aveva invece ritenuto che una società di capitali, avente per oggetto attività immobiliare, non avesse diritto alla detrazione assolta sull’acquisto di un immobile, per il quale due anni dopo aveva ottenuto licenza edilizia, sul rilievo della non riferibilità di quell’acquisto ad attività d’impresa, atteso che ad esso non erano seguite operazioni attive idonee a consentire la rivalsa, il che si sarebbe dedotto dall’inerzia della società a fronte del cospicuo investimento iniziale, inerzia non contraddetta, secondo la decisione gravata, dalle difficoltà economiche pignoramento immobiliare – affrontate dalla contribuente).”
Per quanto sopra il ricorso deve essere respinto e l’Agenzia condannata alle spese del giudizio di legittimità stante la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore di G.I. srl che si liquidano in € 10.500,00 complessivamente.
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